lunedì, Dicembre 8, 2025

Alla Cop30 di Belèm il fondo per l’adattamento resta senza fondi

Alla Cop30 fallisce, per il terzo anno di fila, l'obiettivo di raccolta minima per finanziare l'adattamento dei Paesi del Sud globale. Un segnale assai preoccupante, perché dimostra la scarsa volontà dei Paesi industrializzati di rimediare agli effetti delle emissioni prodotte. Ma l'adattamento è un obbligo

Marica Di Pierri
Marica Di Pierri
Vicedirettrice EconomiaCircolare.com. Giornalista e divulgatrice, è co-fondatrice del CDCA - Centro Documentazione sui Conflitti Ambientali, di cui coordina l'equipe di ricerca promuovendo attività di reporting e informazione su ambiente, energia, cambiamenti climatici, conflitti ecologici. Dal 2007 è nel direttivo dell'Associazione A Sud. Autrice di articoli e saggi e co-autrice di diverse pubblicazioni, collabora con quotidiani, riviste, portali di informazione e testate radiofoniche e televisive. Laureata in Giurisprudenza, è Dottoressa di ricerca in Diritti Umani presso l'Università di Palermo, con focus di ricerca su Climate Change and Human Rights.

(da Belèm)

Lo hanno affermato più volte i rappresentanti della società civile e dei paesi del Sud globale riuniti nella Cop30: il finanziamento climatico per l’adattamento nei Paesi vulnerabili non è carità. È un obbligo legale, oltre che etico e politico.

Lo stabilisce l’articolo più nominato in assoluto dell’Accordo di Parigi, il 9.1, poco più di due righe che fondano le dinamiche economiche e politiche delle ultime 10 conferenze sul clima: i Paesi sviluppati devono fornire risorse finanziarie ai Paesi in via di sviluppo per aiutarli a mitigare e ad adattarsi.

cop30 adattamento
@ALEXFERROFOTOGAFO

A questo obbligo però a Belèm i Paesi industrializzati si sono sottratti ancora una volta. Nel corso del Dialogo di Alto Livello sull’Adaptation Fund (AF) che si è riunito oggi i Paesi donatori hanno annunciato gli impegni per il 2026.

Il Fondo istituito dalla UNFCC (laConvenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, in inglese United Nations Framework Convention on Climate Change) per finanziare l’adattamento climatico nei Paesi vulnerabili; indicava come obiettivo stabilito dal Consiglio la mobilitazione di 300 milioni di dollari per il 2025, una cifra già molto al di sotto delle risorse necessarie ai paesi vulnerabili per far fronte ai crescenti impatti climatici e appena un terzo del miliardo di dollari cui ammontano i progetti attualmente in valutazione.

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“Le parole gentili non proteggeranno le comunità”

L’incontro di oggi avrebbe dovuto segnare una svolta nel finanziamento dell’adattamento climatico nei Paesi in via di sviluppo. Invece per il terzo anno consecutivo gli stanziamenti non hanno raggiunto il minimo stabilito. Solo Spagna, Irlanda, Belgio e Lussemburgo sono arrivati al dialogo portando nuovi impegni per un totale di 44 milioni di dollari; che assieme ai contributi già in campo si stima non arriveranno alla metà dell’obiettivo, ripetendo l’insuccesso del 2024 che ha visto una raccolta di appena 132 milioni di dollari.

Secondo Julia Grimm, Senior Advisor Climate Finance di Germanwatch, facilitatrice del Gruppo delle Organizzazioni della Società Civile del Fondo per l’Adattamento: “Il Fondo per l’Adattamento gioca un ruolo unico e vitale nel sostenere le comunità più vulnerabili del mondo nell’adattarsi agli impatti climatici in peggioramento. Il finanziamento basato su sovvenzioni, prevedibile e accessibile tramite il Fondo è essenziale per proteggere vite e mezzi di sussistenza. Tuttavia, mentre gli impatti climatici intensificano, il finanziamento per l’adattamento continua a essere ben al di sotto di quanto necessario. Troppi Paesi sviluppati stanno spostando le loro risorse pubbliche verso il finanziamento proveniente dal settore privato – principalmente crediti – che non può colmare il divario di adattamento per chi ne ha più bisogno. Ma il Fondo per l’Adattamento, con il suo supporto basato su sovvenzioni, può farlo. I Paesi sviluppati devono urgentemente aumentare gli impegni con contributi pluriennali più forti per garantire che il Fondo per l’Adattamento possa adempiere al suo mandato cruciale”.

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Mentre si svolgeva l’incontro negoziale, nei corridoi della Cop andava in scena la protesta delle ong con gli slogan “Adapt to live” e “Adaptation Finance Now”, con un centinaio di attivisti dai cinque continenti e decine di cartelli sulla necessità di fondi pubblici, continuativi e sicuri per sostenere le economie dei paesi in via di sviluppo.

L’adattamento, ripetevano gli interventi, non è un’opzione ma una necessità per iPpaesi del Sud globale. Le politiche di adattamento significano per le comunità vulnerabili la possibilità di sopravvivere ad eventi estremi, alluvioni, ondate di calore, incendi, perdita dei mezzi di sussistenza. Le risorse necessarie a finanziare queste politiche sono una condicio sine qua non.

Pooja Dave, cordinatrice delle politiche di CAN International, ha commentato la notizia chiarendo che “Il finanziamento per l’adattamento è il test più chiaro della solidarietà globale. Il Rapporto sul Gap di Adattamento UNEP ci dice che i bisogni ora superano i finanziamenti attuali di un fattore di 12-14. Questa carenza non è solo un numero — è un avvertimento. Le parole gentili non proteggeranno le comunità. Solo impegni concreti e aumentati verso il Fondo per l’Adattamento trasformeranno gli impegni in azioni reali per proteggere e costruire resilienza”.

Il segnale che esce oggi dalla Cop30 è dunque assai preoccupante: il mancato raggiungimento della soglia definita per il Fondo per tre anni consecutivi racconta la mancanza di volontà politica dei Paesi industrializzati di rispettare gli impegni sottoscritti attraverso l’accordo di Parigi.

Leggi anche: lo Speciale sulla Cop30 

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