giovedì, Novembre 6, 2025

Cosa c’è da sapere sulla Cop30: le priorità climatiche, quelle del Brasile e il ruolo dell’Italia

Dal 10 al 21 novembre a Belém, a fianco la foresta amazzonica brasiliana, si terrà la 30esima edizione della Conferenza delle Parti. Il Brasile, Paese ospitante, preme per una diplomazia climatica multilaterale. Mentre per l’Italia sembra già profilarsi, di nuovo, un ruolo da non protagonista

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Tra le prime cose da fare c’è la costruzione di un sito online: e in effetti anche per la Cop30 a febbraio c’è stato il lancio del sito web. Nel momento in cui scriviamo siamo esattamente a metà strada del percorso che porterà, dal 10 al 21 novembre a Belém, in Brasile, la 30esima edizione della Conferenza delle Parti, l’appuntamento annuale sui cambiamenti climatici sotto l’egida dell’Onu.

Si tratta certamente dell’edizione più attesa da alcuni anni a questa parte. Innanzitutto per via del numero tondo, che porta sempre a tracciare dei bilanci – e in questo caso è ancor più importante farlo, dato che dalla prima Cop del 1995, che si è tenuta a Berlino, il cambiamento climatico si è fatto sempre più intenso e presente nelle nostre vite. 

Inoltre c’è molta attenzione sul luogo scelto, vale a dire Belém, nello stato brasiliano del Para, cioè nell’area amazzonica, nel cuore della foresta pluviale più nota al mondo e che, attraverso la propria estensione in buona parte dell’America del Sud, fornisce un contributo fondamentale nella mitigazione delle emissioni di gas serra.

Infine c’è una questione più prettamente politica: il Brasile governato da Luiz Inácio Lula da Silva, più noto semplicemente come Lula, è un Paese che non solo vuole avere un ruolo fondamentale nella diplomazia climatica ma intende farlo alla guida dei Paesi del Sud globale, finora sempre marginalizzati negli esiti delle varie Cop nonostante siano spesso i Paesi più colpiti dagli effetti della crisi climatica. Il Brasile, inoltre, fa parte dei BRICS +, cioè la coalizione di Stati che intende costruire un modello alternativo all’egemonia occidentale e del G7 attraverso la cooperazione economica e politica.

Dall’1 gennaio 2024 i BRICS+ sono diventati 10 –  Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Secondo la Banca Mondiale, i BRICS+ rappresentano oggi il 45,6% della popolazione mondiale e il 28,6% del Prodotto Interno Lordo a livello globale. E con l’ulteriore allargamento agli Stati partner, deciso nel corso di quest’anno, la coalizione comprende più della metà della popolazione mondiale. Non solo: tra i BRICS+  ci sono poi alcune delle potenze energetiche più importanti del mondo, come Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Iran.

La domanda sorge dunque spontanea: che Cop potrebbe essere? Davvero la Cop30 potrebbe essere ricordata come la prima Cop realmente multipolare?

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I temi della Cop30 (e la tangenziale nella foresta)

Il punto di partenza di ogni nuova Cop non può che essere l’esito della precedente. Come ricorda ECCO, il think tank italiano per il clima, “i finanziamenti per il clima continuano a rappresentare un tema centrale nel dibattito internazionale. Il principale risultato della Cop29 è stato l’adozione del Nuovo Obiettivo Collettivo Quantificato (NCQG), con cui le Parti si sono impegnate a mobilitare almeno 300 miliardi di dollari all’anno per sostenere i Paesi in via di sviluppo nell’affrontare i cambiamenti climatici. A questo impegno si accompagna la creazione della Roadmap Baku-Belém, finalizzata a rafforzare la cooperazione internazionale e ad aumentare in modo significativo le risorse finanziarie, sia pubbliche che private, destinate ai Paesi in via di sviluppo”.

Tuttavia la finanza climatica si è finora rivelata ampiamente insufficiente e secondo molte stime servirebbero quote dieci volte superiori a quelle finora promesse. In una lettera il presidente della Cop30, l’ambasciatore brasiliano André Corràa do Lago, ha ricordato che la Cop30 “segnerà 20 anni dall’entrata in vigore del Protocollo di Kyoto e 10 anni di adozione dell’Accordo di Parigi”, e che in questi tre decenni il “regime multilaterale” ha fatto buoni passi in avanti. Ma resta ancora molto da fare.

Secondo André Corràa do Lago “il 2025 deve essere l’anno in cui portiamo la nostra tristezza e indignazione verso un’azione collettiva costruttiva”. Nella lunga lettera non poteva mancare un riferimento ai popoli indigeni che, si spera, potranno essere protagonisti di questa Cop. “La cultura brasiliana – spiega il presidente della Cop30 – ha ereditato dai popoli indigeni nativi brasiliani il concetto di mutirìo in lingua Tupi-Guarani. Si riferisce a una comunità che si riunisce per lavorare su un compito condiviso, sia che si tratti di raccogliere, costruire o sostenersi a vicenda. Condividendo questa preziosa saggezza ancestrale, la futura presidenza della Cop30 invita la comunità internazionale a unirsi al Brasile in un mutirào globale contro il cambiamento climatico, uno sforzo globale di cooperazione tra i popoli per il progresso dell’umanità”.

C’è poi un ampio richiamo all’adattamento climatico, cioè alla capacità di saper fronteggiare le conseguenze del cambiamento climatico, nonché, ovviamente, anche un richiamo all’importanza delle foreste. Eppure proprio su quest’ultimo punto sono sorte alcune polemiche per la costruzione di tangenziale a quattro corsie lunga 13,3 chilometri che taglia in due un pezzo di foresta a est di Belém, la città dove si svolgerà la Cop30. Un’area che, come ricorda un articolo de Il Post, è all’interno di una zona protetta. Nella città brasiliana sono attese in ogni caso più di 50mila persone, compresi molti capi di stato e di governo, e il timore dei movimenti per il clima è che si crei il più insostenibile dei paradossi: parlare di come risolvere le questioni climatiche aumentando l’impatto ambientale.

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L’Italia si prepara per la Cop30

E l’Italia? Finora il nostro Paese ha parlato poco e niente della Cop30, almeno in ambito pubblico. Sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) si trova finora una scarna pagina che rimanda al sito ufficiale della Cop30 e alla manifestazione di interesse per il settore privato, dove si invita a partecipare al Padiglione Italia. Le candidature sono aperte fino al 30 maggio 2025.

“Il Padiglione – scrive il MASE – sarà un punto di riferimento per il dialogo istituzionale, la presentazione di soluzioni innovative e la valorizzazione delle eccellenze italiane, articolandosi in due aree complementari:

 – “Made for Our Future”, situata nella Zona Blu della Cop30, ospiterà incontri istituzionali, side event e momenti di confronto internazionale.

– “AquaPraça”, un’installazione progettata da Carlo Ratti e presentata alla Biennale di Architettura 2025 di Venezia, rappresenterà un simbolo duraturo e concreto dell’impegno italiano per la sostenibilità e l’azione climatica”.

Oltre ai soliti richiami all’eccellenza, dunque, non c’è molto altro. Ed è vero che in questi anni il governo Meloni si è contrassegnato per avere giocato un ruolo defilato alle Cop sul clima, sostenendo al massimo gli interessi fossili. Tutto ciò, unito all’assenza degli Usa guidati da Donald Trump, lascia presagire che anche a Belém l’Italia preferirà stare in mezzo tra un’Unione Europea che sta ridimensionando le ambizioni ambientali e climatiche e i BRICS+ che, tra mille contraddizioni, potrebbero approfittare delle debolezze occidentali per provare a inaugurare un nuovo corso.

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