giovedì, Agosto 14, 2025

Il countdown di Lancet su plastica e salute

Parte il “Lancet Countdown on health and plastics”, un sistema globale di monitoraggio basato su indicatori legati alla salute. L’obiettivo è fornire un sistema affidabile e indipendente per monitorare i progressi nella riduzione dell’esposizione alla plastica e mitigare i danni associati alla salute umana e planetaria

Enrica Muraglie
Enrica Muraglie
Giornalista indipendente, ha scritto per il Manifesto e L'Espresso. È coautrice di uno dei reportage del libro “Fuori classe. Vent'anni di scuola di giornalismo Lelio Basso”, edito da Altreconomia. Fa parte della rete FADA.

La clessidra è stata girata, è cominciato il conto alla rovescia. Presto, il conto da fare sarà quello dei danni. La rivista scientifica The Lancet ha pubblicato un nuovo rapporto sulle connessioni tra plastica e salute umana in concomitanza con i lavori per il Trattato globale sulla plastica in corso a Ginevra, di cui abbiamo parlato e continueremo a parlare su EconomiaCircolare.com.

I dati sulla plastica

A livello globale si stima che meno del 10% della plastica venga riciclata: la restante parte viene accumulata nell’ambiente, bruciata o seppellita in discarica. Non c’è partita rispetto alle percentuali che riguardano il riciclo di carta, vetro, acciaio e alluminio. Inoltre, rispetto agli altri rifiuti, le plastiche chimicamente complesse non possono essere riciclate con facilità. La plastica non si biodegrada né si decompone nei suoi elementi costitutivi: si frammenta in particelle sempre più piccole (MNP – micro e nanoplastiche) che possono persistere per decenni in acqua, nella terra e negli organismi viventi. “Alcuni polimeri come il PVC e sostanze chimiche come i PFAS sono particolarmente resistenti”. Il risultato è che almeno l’80% di tutta la plastica mai prodotta è ancora presente nell’ambiente, con gli oceani che ne rappresentano “il principale deposito finale”.

La frazione di plastica gestita in modo inadeguato è bassa in Cina (1,5%), Nord America (2,7%) ed Europa (3,6%), ma molto più alta nel resto del mondo (circa il 43%). Dunque “il rilascio di plastica nell’ambiente mostra forti differenze tra e all’interno dei Paesi”. Le differenze regionali sono legate soprattutto ai sistemi più o meno organizzati di raccolta dei rifiuti e all’esistenza o meno di impianti adeguati per il trattamento delle plastiche.

plastica copertina

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Lavoratori a rischio

Se i lavoratori addetti alla raccolta e al trattamento dei rifiuti sono di per sé soggetti a sostanze tossiche come pesticidi, farmaci e prodotti chimici industriali, i lavoratori informali (che non hanno un regolare contratto e non sono soggetti alle legislazioni nazionali sul lavoro, dunque alla protezione sociale e ad altri benefici) sono esposti a condizioni ancora più precarie e pericolose. Nei Paesi a basso reddito, ma non soltanto, questi lavoratori svolgono un ruolo cruciale nella gestione dei rifiuti e spesso lavorano con macchinari pesanti e in discariche esposte a incendi, senza adeguati dispositivi di protezione, né alcuna forma di tutela o assistenza sanitaria.

Succede anche da noi

In Italia è tristemente nota la cosiddetta “Terra dei fuochi”, un’area che comprende fino a 90 comuni tra le province campane di Napoli e Caserta. Qui l’abbandono e lo smaltimento illegale dei rifiuti sono ampiamente documentati, insieme alle dure conseguenze sull’ambiente e sulla salute degli abitanti. Uno dei più seri disastri ambientali del territorio italiano, ma non l’unico.

Anche in Sicilia, nella cosiddetta “fascia trasformata” – 80 chilometri di serre tra le province sud-orientali di Ragusa e Siracusa – nel 2022 sono stati posti sotto sequestro 62 mila metri quadrati della spiaggia di Marina di Acate. Una discarica a cielo aperto con scarti agricoli, plastica delle serre, elettrodomestici, fitofarmaci, diserbanti e un fascicolo aperto contro ignoti per disastro ambientale e discarica abusiva. Gli abitanti della città di Vittoria e dintorni lamentano spesso l’emissione di “fumarole”, colonne di fumo altamente tossiche che derivano dagli incendi nella discarica abusiva. Ma a respirare questi fumi sono soprattutto i braccianti agricoli, per la maggior parte stranieri, spesso sottoposti a sfruttamento lavorativo, sprovvisti di qualsiasi dispositivo di sicurezza e tutela sanitaria.

Nei Paesi meno industrializzati, chi lavora nello smaltimento dei rifiuti elettronici è spesso ulteriormente esposto alla combustione all’aperto di cavi rivestiti in PVC per recuperare il rame, che rilascia fumo nero contenente diossine, benzene e particolato.

Lancet stima infatti che il “57% dei rifiuti plastici venga bruciato all’aperto senza controlli, rilasciando annualmente circa 52 milioni di tonnellate di inquinanti atmosferici” ogni anni, il corrispondente di 2,6 milioni di camion a pieno carico, che su strada occuperebbero circa 39.000 km. Quasi quanto la circonferenza della Terra. Inoltre la combustione libera “sostanze pericolose come metalli pesanti, monossido di carbonio, cianuro di idrogeno, stirene, inquinanti organici persistenti e particelle di microplastica non bruciate”.

Leggi anche: Plastic Fantastic, il greenwashing della plastica nel documentario di Isa Willinger

La plastica come vettore di malattie

I rifiuti plastici contribuiscono alla diffusione di malattie trasmesse da vettori, come dengue, Zika e chikungunya. “Le zanzare del genere Aedes, vettori di queste malattie, prosperano in ambienti urbani e prediligono uova deposte in contenitori artificiali come bottiglie, pneumatici e sacchetti di plastica”, dice il rapporto. L’aumento dei casi di dengue negli ultimi decenni è favorito anche dall’urbanistica non pianificata, ossia dalla tendenza crescente a leggere le città come luoghi di produzione e consumo più che luoghi dell’abitare.

Plastica solubile in acqua
Credit: Canva

Microplastiche e sicurezza alimentare

A questi impatti si somma un’altra minaccia crescente: la difficoltà di accedere a cibo sicuro e nutriente, legata spesso alle disuguaglianze socio-ambientali. Infatti l’inquinamento da plastica, in particolare da microplastiche, minaccia la sicurezza alimentare globale a diversi livelli, dalla contaminazione degli alimenti alla compromissione della catena alimentare.

Molti studi dimostrano che i detriti plastici e le particelle micro e nanoplastiche (MNP) creano habitat particolari detti “plastisfera”, che favoriscono la crescita e le interazioni tra microrganismi. Per Lancet questi “aumentano i rischi per la salute umana e animale e per la sicurezza alimentare, poiché batteri resistenti si diffondono attraverso l’ambiente”.

A rimetterci è anche la salute di animali e piante: gli MNP “alterano il comportamento degli animali, ne riducono la capacità di nuotare e aumentano la vulnerabilità ai predatori; causano danni e morte in specie vegetali fondamentali come mangrovie, praterie di fanerogame e paludi salate, compromettendo la stabilità degli ecosistemi”.

Le MNP riducono inoltre la fotosintesi nelle piante terrestri e acquatiche, minacciando la sicurezza alimentare del pianeta.

Soltanto in Italia 3,4 milioni di persone sono in condizione di insicurezza alimentare moderata o grave. Ciò comporta la difficoltà di reperire e assumere cibo di qualità, sicuro e accessibile, come riporta la Fondazione diabete e ricerca. In questa fascia della popolazione trovano terreno fertile malattie come obesità e diabete. In tutto il mondo, solo nel 2024, il 28% della popolazione ha vissuto in condizioni di insicurezza alimentare. Sono più persone di quante vivano nell’intera Cina e nell’Unione Europea insieme, il segno che salute, ambiente e giustizia sociale non sono sfide separate.

Leggi anche lo SPECIALE | Trattato sulla Plastica

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