“Al pianeta non importa dove riduciamo le emissioni, dobbiamo solo ridurle, e quello che possiamo fare come umanità è ridurle al minor costo possibile”. Wopke Hoestra, commissario europeo per il clima e autore dell’inserimento dei crediti nel target europeo di riduzione al 2040, sintetizzava così la direzione politica dell’Europa in materia ambientale alla conferenza stampa del Consiglio ambiente del 5 novembre.
Con il dibattito nato attorno al target di riduzione delle emissioni al 2040 nella legge sul clima europea, si è infatti tornato a parlare di crediti di carbonio in Europa. Gli esecutivi degli Stati membri, in particolare di Italia, Polonia e Germania, hanno richiesto la possibilità di ridurre le proprie emissioni anche acquistando crediti all’estero: l’accordo del stabilisce un massimo di 5% di crediti internazionali sotto l’articolo 6 dell’Accordo di Parigi del 2015 – lo storico accordo sul clima firmato alla Cop21 – più un eventuale 5% aggiuntivo in fase di revisione. L’Italia, in particolare, sta già operando nel settore attraverso i progetti del Piano Mattei, il programma di cooperazione strategica con l’Africa. In partenza per la Cop30, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin ha infatti ricordato che tra le iniziative di ordine finanziario c’è “l’impegno verso i Paesi più vulnerabili in Africa attraverso il Piano Mattei”.
Non è una richiesta così nuova. All’interno dell’azione per il clima sono molti gli Stati che intendono diminuire le proprie emissioni attraverso l’utilizzo di crediti internazionali. Nel caso dell’Europa, però, la richiesta consente di utilizzare i crediti all’interno di un target obbligatorio rendendo così lo strumento una parte strutturale dell’accordo e non una semplice opzione di convenienza, in linea con una tendenza politica che si sta affermando anche alla Cop30. L’altro elemento degno di nota è che la norma cita l’articolo 6, che è il framework normativo per il meccanismo di scambio e rendicontazione, ma non definisce i criteri con cui saranno individuati questi crediti.
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Per l’UE i crediti di carbonio sono un’opportunità
Alla Cop30 di Belém si sta discutendo proprio di questo: quali crediti possono essere utilizzati per ridurre le emissioni e come potrà essere migliorato il meccanismo di regolamentazione per la compravendita e il conteggio tra i vari Paesi, non solo europei. Come scrive anche l’Unep (il Programma delle Nazioni Uniti per l’Ambiente), “più viene perfezionato il meccanismo dei crediti internazionali (articolo 6), più questi rappresentano un’opportunità per gli istituti finanziari”. L’Unep sottolinea anche che “i governi e le istituzioni di monitoraggio stanno lavorando per garantire un’elevata integrità, quadri armonizzati, soluzioni durevoli per la rimozione del carbonio, solide garanzie sociali e ambientali e la conservazione dei pozzi naturali di assorbimento del carbonio”.
E l’inserimento dell’articolo 6 nella legge clima europea del meccanismo è la dimostrazione che i crediti già sono considerati un’opportunità, per diversi pratici motivi: da un lato si riducono le emissioni e si preservano gli ecosistemi, dall’altro, per alcuni Stati, sono anche un modo per dilazionare l’azione per il clima nel tempo ed esternalizzare alcuni interventi di riduzione domestica.

Nella pratica, poi, sono già numerosi i casi in cui i crediti di carbonio si sono rivelati inefficaci. Non ultimo, la sospensione per la seconda volta del progetto Northetn Kenya Tangeland Carbon Porject, da parte di Verra, il principale organismo di certificazione dei crediti. Il più grande progetto di stoccaggio di carbonio, i cui crediti erano stati acquistati anche da Netflix e Meta, si è dimostrato una minaccia per le popolazioni indigene in Kenya.
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La discussione alla Cop30 sull’articolo 6
L’articolo 6 dell’Accordo di Parigi – elaborato nell’ambito della Cop26 di Glasgow – si articola principalmente in due parti. L’articolo 6.2 fornisce agli Stati interessati indicazioni in materia di contabilità e rendicontazione per l’utilizzo dei risultati di mitigazione trasferiti a livello internazionale ai fini dei loro contributi determinati a livello nazionale (NDC – nationally determined contribution), in breve scambi bilaterali tra Paesi. L’articolo 6.4 istituisce invece un meccanismo centralizzato e supervisionato dalle Nazioni Unite per la riduzione certificata delle emissioni. I progetti possono derivare da soluzioni basate sulla natura (NBS – nature based solution) come ripristino, protezione e gestione degli ecosistemi, o soluzioni ingegneristiche come la cattura della CO₂.
Alla Cop30 di Belém sono emersi così due blocchi di Paesi che stanno dialogando sulle modifiche da apportare sia al 6.2 che al 6.4. Federica Dossi, analista di Carbon Market Watch e inviata alla cop30 di Belém, chiarisce a Economiacircolare che “non si tratta di vere e proprie negoziazioni ma discussioni che orienteranno la rotta tra maggiore e minore ambizione”.

Sull’articolo 6.2, aggiunge Dossi,“ci sono due schieramenti: alcuni Paesi vogliono attendere la revisione programmata per il 2028 prima di iniziare a pensare a cosa va migliorato nel meccanismo, mentre un secondo gruppo, più ambizioso, sostiene che si debba iniziare fin da ora a considerare le lezioni apprese, così che la revisione porti a miglioramenti concreti del meccanismo e contribuisca agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Questi Paesi – continua l’analista – stanno lavorando per garantire più accountability” (responsabilità, nda).
Per il 6.4 la faccenda si fa più complessa. A ottobre 2025 l’organismo di controllo dell’articolo 6 delle Nazioni unite ha adottato uno standard su come si gestisce il rischio di non permanenza (cioè quanto tempo dura l’effetto di assorbimento della CO₂). Soprattutto per i crediti generati dai progetti di soluzioni basate sulla natura, la permanenza della CO₂ catturata nelle foreste o nel suolo è infatti soggetta a rischi legati a incendi, siccità o tagli illegali. Inoltre, con le nbs c’è il rischio di double-counting – doppio conteggio – quando un Paese include nel proprio ndc il carbonio assorbito da una foresta riforestata e allo stesso tempo vende i crediti generati da quel sequestro a un altro Paese, la stessa riduzione verrebbe contabilizzata due volte.
“Sulle Nbs il meccanismo è agnostico rispetto al tipo di attività ed è importante che resti tale”, afferma Dossi. “Tutte le attività possono partecipare, ma solo se rispettano le regole e i requisiti pensati per tutelare l’integrità ambientale”. Un Paese può finanziare quindi iniziative di riduzione delle emissioni in un altro Paese e conteggiare quei crediti per i propri obiettivi climatici, ma si sta cercando di eliminare la possibilità del doppio conteggio, aumentando la trasparenza e rafforzando la fiducia tra i Paesi del Nord e del Sud Globale, dove questi progetti vengono sviluppati.
Per alcuni attori di mercato che si occupano di conservazione si tratta di regole troppo stringenti che “potrebbero portare all’esclusione di foreste, mangrovie e altre soluzioni basate sulla natura da questo mercato minando l’efficienza finanziaria dei progetti”, hanno scritto in una lettera 17 organizzazioni per la conservazione il 12 novembre, mentre alcune ong tra cui Carbon Market Watch avvertono “che lo scambio di quote di emissione non deve diventare un sostituto della riduzione delle emissioni a livello nazionale”. Le regole sulle nbs non sono però state messe in discussione alla Cop30. Per Carbon Market watch si tratta di una lettera strumentale per annacquare ulteriormente gli standard di regole sulla permanenza. “Se si fa compensazione è giusto che gli effetti del progetto durino nel tempo“, precisa Dossi.
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Lo stallo alla Cop30 e il rischio di minori ambizioni
Per Dossi durante la discussione sul 6.4, i Paesi presenti alla Cop devono accordarsi sulle raccomandazioni da dare all’organismo di controllo che implementa il meccanismo”. Uno stallo che è diventato palese, spiega ancora Dossi, al turno dell’Indonesia si è scelto di cambiare il testo “in quanto sono state ripetute alcune richieste riportate nella lettera”. Per l’analista “la bozza ora in discussione non si presentava nel migliore dei modi, ma lunedì le cose sono migliorate”. Nella bozza di testo ci sono dei paragrafi in cui “le argomentazioni legate alla fattibilità economica potrebbero minare la capacità di prendere decisioni dell’ente di controllo, mettendo a rischio la credibilità dell’intero meccanismo”
Sebbene non vincolanti, le decisioni comportano conseguenze significative, poiché molti soggetti interessati ai mercati guarderanno al nuovo meccanismo come riferimento e potrebbero decidere di stabilire regole simili per altri mercati del carbonio. Se dovesse passare una linea meno ambiziosa, dunque, anche l’Europa potrà avvalersi di crediti internazionali che si basano su criteri meno stringenti, o sono più a rischio di deperimento, come progetti agricoli o forestali.
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