Cerchiamo di essere ottimisti: a Davos si colgono segnali che potrebbero evolvere in un nuova forma di multilateralismo climatico. Il condizionale è quantomeno doveroso, ma sarebbe miope non vedere questi segnali. Siamo in una fase che appare critica sotto tanti punti di vista (quello climatico incluso): ma questo giudizio, senza dubbio fondato, paga dazio alle lenti con le quali siamo abituati a guardare la realtà, lenti inforcate in un contesto di relazioni internazionali sedimentate e in qualche modo stabili. Un contesto molto diverso da quello attuale, insomma. Per restare alla metafora oftalmica, sarebbe come fidarsi dell’immagine che ci restituiscono i nostri occhiali quando l’oculista ha diagnosticato un rilevante peggioramento della miopia.
Trump contro “l’imbroglio green”
Ma cosa è successo al World Economic Forum di Davos? La non novità è anche ieri Donald Trump, intervenendo in video-conferenza dopo aver già decretato l’uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi sul clima, ha coerentemente fatto Donald Trump. “Ho dichiarato un’emergenza energetica nazionale: un’emergenza energetica nazionale per sbloccare l’oro liquido sotto i nostri piedi e aprire la strada per approvazioni rapide di nuove infrastrutture energetiche. Gli Stati Uniti possiedono la maggiore quantità di petrolio e gas di qualsiasi Paese sulla Terra e lo utilizzeremo”, ha detto. E poi, per fugare i dubbi residui: Il Green Deal? “Un imbroglio”.
Tutto questo dopo che il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha ricordato che diverse istituzioni finanziarie e industrie stanno facendo marcia indietro rispetto agli impegni climatici assunti: una mossa “miope e, paradossalmente, egoista e anche autolesionista. Siete dalla parte sbagliata della storia. Siete dalla parte sbagliata della scienza. E siete dalla parte sbagliata dei consumatori che vogliono più sostenibilità, non meno”.
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L’orgoglio europeo
E fin qui niente di nuovo. Ha invece stupito, almeno chi scrive, il contegno della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Con una sicurezza forse anche troppo esibita – ma la diplomazia funziona anche così, immagino – ha preso atto del nuovo corso imposto da the Donald, proponendo il nostro continente come uno dei protagonisti di un nuovo multilateralismo, con segno climaticamente opposto a quello statunitense. “L’accordo di Parigi continua a essere la migliore speranza per tutta l’umanità”, ha detto: “Quindi l’Europa manterrà la rotta e continuerà a lavorare con tutte le nazioni che vogliono proteggere la natura e fermare il riscaldamento globale“. Non il ciascuno per sé trumpiano, ma appunto una nuova idea di multilateralismo adeguata ai tempi: un multilateralismo non ecumenico, ad assetto variabile, non vincolato e zavorrato dalla ricerca dell’unanimità (quella che ha imbrigliato le ultime Conferenze delle parti su clima e biodiversità, o le sessioni negoziali per il trattato globale sull’inquinamento da plastica).
Che è poi la possibilità di progressi nonostante Trump che qualcuno come il World Resources Institute aveva segnalato.
E giusto stamattina, per dare sostanza alle sue queste, Ursula von der Leyen ha presentato il Forum globale sulla transizione energetica. “Non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente. Si tratta anche di aumentare la produzione. Ogni regione deve essere in grado di produrre le tecnologie di cui ha bisogno. Si tratta di reti, di costruirne o aggiornarne 25 milioni di chilometri entro il 2030, di stoccaggio, di sviluppare la capacità di tenere accese le luci se il vento non soffia o il sole non splende” ha detto. “Tutto questo richiede investimenti massicci e nessuna azienda, nessun Paese e nessuna regione può farlo da sola. Dobbiamo lavorare insieme e dobbiamo agire ora. Ed è per questo che oggi lanciamo il Forum globale sulla transizione energetica“. Un’idea alla quale la Commissione sta già lavorando: “Stiamo riunendo partner da tutto il mondo, dal Brasile al Regno Unito, dagli Emirati Arabi Uniti, dagli Stati Uniti – sic – al Kenya, dal Sudafrica al Canada e molti altri, e molti altri ancora a venire”, ha aggiunto.
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Il ruolo della Cina
Chi potrebbe essere dalla stessa parte della barricata – per ragioni geopolitiche e commerciali, visto che possiede tecnologie e capacità produttiva senza eguali nella filiera delle energia rinnovabili – è la Cina. Che in occasione dell’insediamento di Trump e della firma dell’ordine esecutivo che chiama fuori gli Usa dagli accordi sul clima, per bocca di Guo Jiakun, portavoce del ministero degli Esteri, ha confermato che “La Cina è fortemente impegnata nella risposta alla crisi climatica e promuoverà in modo congiunto la transizione energetica su scala globale”
Un aggettivo, “congiunto”, che risuona con gli assunti del forum presentato da von der Leyen: “Il forum globale sulla transizione energetica collega i punti del quadro, assicurando che governi, aziende, investitori trovino, in questi tempi di dura competizione geostrategica, prevedibilità, certezza e affidabilità. Voglio essere molto chiara: l’Europa resta sulla rotta e siamo pronti a lavorare con tutti gli attori globali per accelerare la transizione verso l’energia pulita”. Multilateralismo, insomma, stabilità, prevedibilità. Più facile a dirsi che a farsi, certamente, ma almeno potremo dire di averci provato.
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