giovedì, Novembre 6, 2025

Dazi, la risposta alle tariffe di Trump è l’economia circolare

Di fronte allo stravolgimento nei mercati internazionali per i dazi Usa, l’economia circolare non solo riduce la necessità di importare beni ma può migliorare il commercio internazionale, spingendole aziende a innovare e creare nuovi sbocchi di mercato. Ma bisogna fare attenzione alle conseguenze sulle nazioni a basso reddito

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

La risposta ai dazi imposti dall’amministrazione statunitense di Donald Trump, che hanno sconvolto i mercati e spaventano le aziende di tutto il globo, non è la corsa al protezionismo ma un radicale cambio di paradigma. Per passare dal mercato globalizzato a un approccio più circolare al consumo. Con una sorpresa: sebbene per molti prodotti il chilometro zero e la vicinanza geografica siano elementi fondanti dell’economia circolare, promuovere il riciclo e il riutilizzo dei beni e dei materiali ha un effetto positivo anche sul commercio internazionale.

Lo sostengono già da tempo vari studi, tornati di attualità adesso sulla spinta delle scelte di Trump che costringono a riconsiderare in fretta i rapporti commerciali su scala globale dopo i dazi. Il motivo è semplice: se finora tutti hanno puntato a importare materie prime vergini a basso costo da altre zone del mondo o prodotti tecnologici “di tendenza”, ora che le tariffe faranno inevitabilmente lievitare i prezzi di alcuni materiali o prodotti conviene ottenere il massimo con quello che si ha in casa. 

La professoressa Deborah de Lange, esperta in Global Management Studies alla Toronto Metropolitan University ha indagato, tuttavia, anche gli effetti dell’economia circolare sul commercio internazionale nello studio “Circular economy international trade: An investigation of the relationship between european union circularity and international trade”. Se accelerare la transizione è una necessità per proteggere l’ambiente, la crescente scarsità di molte materie prime o l’impennata dei prezzi invita a farlo anche per ragioni economiche. E in base alle sue conclusioni, è una buona idea anche per migliorare la bilancia commerciale di una nazione.

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I benefici dell’economia circolare al commercio internazionale

Adesso, dunque, l’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) e le nazioni che vi fanno parte hanno l’opportunità di contrastare i potenziali effetti negativi delle prossime politiche statunitensi, diversificando gli scambi con altri Paesi e aumentando il commercio internazionale attraverso l’economia circolare, ovvero di materie prime seconde e prodotti riparati e riutilizzati. Il ruolo del WTO, secondo la professoressa de Lange, potrebbe essere quello di un forum inclusivo di discussione su “iniziative volte a promuovere l’economia circolare per distribuire la ricchezza, migliorare l’ambiente e ridurre le tensioni a livello internazionale”.

Utilizzando serie storiche di dati provenienti da tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea, lo studio di de Lange ha evidenziato un chiaro legame tra l’impiego di materiali circolari e le esportazioni internazionali nei principali flussi commerciali di rifiuti: metalli, plastica e prodotti chimici. “Le mie analisi hanno dimostrato che, tra i vari tipi di materiali, una maggiore circolarità nazionale determina il commercio internazionale di rifiuti e scarti. In altre parole, i Paesi con tassi di circolarità più elevati sono impegnati in un maggiore commercio internazionale”, è la conclusione della professoressa.

Commercio internazionale

Questo legame diretto evidenzia il potenziale di investimento delle imprese nell’economia circolare, che può riflettersi nei commerci internazionali. Quando un Paese sviluppa infrastrutture e competenze per trasformare i rifiuti in risorse, può esportare materie prime seconde a nazioni che ne hanno bisogno per la produzione industriale, stimolando così il commercio estero. Inoltre le politiche e gli investimenti in ricerca e innovazione circolare migliorano le capacità industriali di un Paese, rendendolo più competitivo nel mercato globale.

Secondo de Lange la crescita del commercio internazionale spinto dall’economia circolare può avere effetti positivi anche sulle nazioni a basso reddito. “Oggi più che mai – sostiene de Lange – le economie emergenti e in via di sviluppo hanno bisogno di maggiori fonti di reddito e occupazione: l’economia circolare permetterà loro di partecipare a un maggior numero di scambi internazionali. “Ad esempio – si legge nello studio di de Lange – se i Paesi in via di sviluppo ricevono rifiuti dalle nazioni ricche, possono sfruttare questa opportunità dal punto di vista economico costruendo sistemi di riciclo per produrre beni specializzati per i mercati locali a prezzi più bassi e/o esportazioni di valore”.

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Economia circolare e nazioni a basso reddito: attenzione agli effetti

Non tutti gli economisti condividono, però, la visione di de Lange, o quantomeno invitano a considerare i possibili impatti negativi sulle economie più povere. Gli autori di “Circular Economy and International Trade: a Systematic Literature Review”, ad esempio fanno notare come “diversi ricercatori sostengono che l’aumento della circolarità dei prodotti avrà l’effetto opposto, per cui i prodotti secondari di alta qualità verranno trattenuti all’interno del mercato sviluppato (poiché diventa più conveniente ripararli, aggiornarli e riciclarli a livello nazionale). Di conseguenza, solo i prodotti da cui non si può facilmente estrarre valore o che sono diventati obsoleti potrebbero essere spediti ai mercati a basso reddito”.

Tutto ciò si rifletterà sull’occupazione: sicuramente aumenteranno i posti di lavoro nella circolarità, ma il rischio è la disparità tra nazioni ricche e povere. Nelle prime ci sarà una crescita di lavori ad alto valore e qualifica, ad esempio nell’ecodesign, nella riparazione e rigenerazione dei prodotti, “mentre le nazioni a basso reddito possono guadagnare solo in posti di lavoro di basso valore che si occupano di rifiuti e rottami”. Allo stesso tempo le economie emergenti potrebbero anche “affrontare l’ostacolo opposto di dover soddisfare i rigorosi standard dell’economia circolare” quando tentano di esportare beni riparati e ricondizionati verso i mercati ricchi: se non riuscissero a soddisfarli, “potrebbero trovarsi di fronte a significative barriere commerciali non tariffarie”.

Infine bisogna ricordare come molti Paesi in via di sviluppo si affidano all’export di materie prime critiche nelle nazioni più ricche e potrebbero adottare misure protezionistiche per salvaguardare il mercato interno dalle perdite economiche causate dal calo di domanda delle nazioni occidentali con un’economia circolare sviluppata.

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Dazi Usa
Fonte: Canva

I danni dei dazi limitati dall’economia circolare

Invece, dal lato di chi importa, investire in economia circolare non ha nessuna controindicazione, soprattutto che il commercio internazionale potrebbe subire un rallentamento. I dazi del 25% sulle importazioni di alluminio e acciaio adottate da Trump hanno già portato la Cina ad adottare in risposta contro dazi sulle esportazione di minerali critici, tra cui tellurio, bismuto e tungsteno. Si tratta di materiali fondamentali per la produzione di pannelli solari, per la produzione di smartphone, mentre l’alluminio e l’acciaio sono essenziali per l’espansione della rete e la costruzione di data center. Settori di cui gli Stati Uniti non possono fare a meno.

La prima conseguenza più prevedibile è che i prezzi al consumo di questi materiali vitali aumenteranno in modo generalizzato per compensare l’aumento del prezzo dei materiali. Inoltre i produttori statunitensi rischierebbero di non essere più competitivi perché i loro prodotti finiti costeranno troppo per le esportazioni. Già si parla di iPhone a oltre 2.300 euro. L’unico modo per contrastare il crescente fabbisogno di minerali rari vergini è allora orientare l’economia domestica sul riutilizzo dei metalli provenienti da rifiuti e scarti per integrare l’offerta e limitare i danni. Questo, naturalmente, vale per qualsiasi nazione del mondo, non solo per gli Stati Uniti.

Senza dimenticare il sostegno diretto all’occupazione che altrimenti si rischierebbe di perdere proprio per le conseguenze negative dei dazi che mettono in crisi intere filiere. Serviranno però misure per incoraggiare la transizione: oltre agli incentivi alle imprese, per favorire il commercio internazionale “sarà necessario armonizzare gli standard e le definizioni di economia circolare, con l’aggiornamento della struttura del Sistema Armonizzato dei codici e dei processi doganali per consentire meglio il commercio di beni e servizi circolari e l’integrazione degli obiettivi dell’economia circolare negli accordi di libero scambio”, riassumono gli autori della review.

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