giovedì, Novembre 6, 2025

La “decarbonizzazione” delle banche, in un grafico

Le grandi banche mondiali stanno dismettendo anzitempo i propri impegni di decarbonizzazione: ma quanto erano seri questi impegni? Lo possiamo capire da un grafico di BloombergNEF

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Le grandi banche mondiali, che avevano annunciato (forse con poca convinzione) programmi di decarbonizzazione, hanno messo la retromarcia. Le prime a dare le dimissioni dalla Net-Zero Banking Alliance (NZBA) – “un gruppo di banche leader a livello mondiale che si impegna ad allineare le proprie attività di prestito, investimento e mercato dei capitali con emissioni nette di gas serra pari a zero entro il 2050”, spiega il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (UNEP) – sono state Goldman Sachs and Wells Fargo: era la fine dello scorso anno. Poi è arrivata la valanga: anche Bank of America, Citigroup e Morgan Stanley hanno fatto marcia indietro. Per poi arrivare al punto che in seno alla NZBA, le banche che restano voteranno a breve per rimuovere il riferimento  agli 1,5°C  (quelle degli accordi di Parigi sul clima) e allentare la presa. L’alibi, o l’occasione, è stata l’elezione di Donald Trump e la gragnuola di ordini esecutivi per fare a pezzi tutto quello che a livello federale sosteneva e incoraggiava le politiche ambientali e climatiche.

banche decarbonizzazione clima
Fonte: BloombergNEF

Ma cosa intendevano veramente le banche quando hanno affermato pubblicamente di volersi allineare agli obiettivi degli accordi di Parigi? Un’idea ce la possiamo fare con l’ultimo Annual Energy Supply Investment and Banking Ratios di BloombergNEF: “I finanziamenti bancari per le tecnologie di approvvigionamento energetico a basse emissioni di carbonio hanno raggiunto l’89% di quelli per i combustibili fossili nel 2023. Il che significa che per ogni dollaro destinato al petrolio, al gas naturale e al carbone, 89 centesimi sono stati destinati ad attività come l’eolico, il solare e le reti”. Con “decabonizzare”, dunque, i banchieri intendono una cosa diversa da quelle dei comuni mortali.

Gli investimenti nell’economia reale in energia a basse emissioni di carbonio hanno superato per la prima volta quelli in combustibili fossili: sono passati da 2,1 trilioni di dollari nel 2022 a 2,3 trilioni di dollari nel 2023, con un rapporto di 1,11:1. Le cose vanno diversamente nel mondo bancario, dove se è vero che i finanziamenti per i combustibili fossili sono diminuiti rispetto agli anni precedenti, restano comunque maggioritari: l’Energy Supply Banking Ratio, o ESBR (rapporto tra i fondi alle rinnovabili e quelli alle fossili), è passato da 0,74:1 nel 2022 a 0,89:1 nel 2023. Sempre più fondi alle rinnovabili, insomma, ma ancora di più alla trinità fossile gas carbone e petrolio.   

Dopo il terzo anno di analisi, Bloomberg non lascia spazio alle interpretazioni: “Nonostante i miglioramenti, il rapporto non si sta evolvendo al ritmo necessario per raggiungere il livello di 4:1 richiesto in questo decennio, secondo gli scenari comunemente indicati, per limitare il cambiamento climatico a 1,5 gradi centigradi”. Per stare negli obiettivi di Parigi, le banche dovrebbero investire 4 dollari in rinnovabili e solo 1 in fossili, ma la realtà come abbiamo visto era (nel 2023) ben diversa. E viste i recenti smantellamenti dei piani di decarbonizzazione possiamo scommettere che mentre il Pianeta ha vissuto il primo anno con temperature sopra il grado e mezzo rispetto all’era preindustriale, le banche continueranno a guardare altrove.

Ciliegina sulla torta:” Il carbone continua ad attrarre più capitale di quanto sia compatibile con un obiettivo di 1,5 C. Il rapporto tra investimenti nel carbone e nei combustibili fossili è stato di 0,18:1, il triplo dell’obiettivo”.

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