Il 94,5% dei comuni italiani è a rischio idrogeologico. Ciò significa che i comuni interessati da aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, da aree a pericolosità idraulica media, da erosione costiera e/o da aree valanghive sono in totale 7.463.
È quanto emerge dal report “Dissesto idrogeologico in Italia: pericolosità e indicatori di rischio”, redatto dall’Ispra in riferimento al 2024.
In particolare, considerando singolarmente le quattro categorie di dissesto, sono 5.753 i comuni con aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata, 6.384 quelli con aree a pericolosità idraulica media, 556 con erosione costiera e 1.354 quelli con aree valanghive.
Le cause, fa sapere l’Ispra, non sono da ricercare solo nella morfologia del Bel Paese ma anche nell’urbanizzazione senza criterio e nell’avanzamento della crisi climatica. L’Italia si trova infatti nel cosiddetto “hot spot mediterraneo”, un’area identificata come particolarmente vulnerabile ai cambiamenti climatici che stanno determinando un aumento della frequenza degli eventi pluviometrici intensi e, come conseguenza, un aumento della frequenza delle frane superficiali, delle colate detritiche e delle alluvioni, incluse le cosiddette flash flood, cioè le piene rapide ed improvvise.
Cosa sappiamo delle frane
Il fenomeno franoso rappresenta una delle minacce più significative. L’Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI) – progetto realizzato dall’ISPRA e dalle Regioni e Province Autonome che fornisce un quadro dettagliato sulla distribuzione dei fenomeni franosi sul territorio italiano – ha catalogato oltre 636.000 frane tra l’anno 1116 e il 2024, confermando l’Italia come uno dei Paesi europei più esposti a questo rischio. In particolare, il 28% di queste frane sono classificate come fenomeni rapidi con un’elevata capacità distruttiva.
La nuova mappatura del 2024 condotta dall’ISPRA indica che circa 69.500 chilometri quadrati, ovvero il 23% del territorio nazionale, ricade in aree a pericolosità da frana e attenzione. All’interno di questa classificazione, le aree a pericolosità elevata e molto elevata, che sono soggette a vincoli d’uso restrittivi, coprono il 9,5% del territorio.
Il report aggiorna poi la mappa nazionale della pericolosità da frana dei Piani di Assetto Idrogeologico – PAI, realizzata dall’ISPRA mediante l’armonizzazione e la mosaicatura delle aree perimetrate dalle Autorità di Bacino Distrettuali, e gli indicatori di rischio. Rispetto all’edizione 2020-2021, si registra un aumento del 15% della superficie totale classificata dal PAI e del 9,2% per le aree a pericolosità elevata e molto elevata, grazie a una migliore conoscenza e mappatura dei fenomeni.
La situazione risulta ancora più critica se si guardano i numeri delle persone coinvolte nel rischio: gli indicatori aggiornati mostrano che nelle aree a maggiore pericolosità si trovano oltre 1,28 milioni di residenti, oltre 582.000 famiglie, circa 742.000 edifici, quasi 75.000 imprese locali e circa 14.000 beni culturali.

aggiornamento giugno 2025
Ma cosa innesca i fenomeni franosi? I fattori più importanti sono le precipitazioni brevi e intense, quelle persistenti e i terremoti.
“Negli ultimi decenni – scrivono nel report – i fattori antropici, quali tagli stradali, scavi, sovraccarichi dovuti a edifici o rilevati, hanno assunto un ruolo sempre più determinante tra le cause predisponenti delle frane. L’abbandono delle aree rurali montane e collinari ha determinato un mancato presidio e manutenzione del territorio e dei manufatti antropici”.
“In particolare, – aggiungono – i versanti con terrazzamenti agricoli, estremamente diffusi in Liguria, Valtellina e Val Chiavenna (Sondrio), in Penisola Sorrentina, Cilento, Gargano, Calabria e Sicilia orientale, in assenza di una costante manutenzione dei muretti a secco e dei sistemi di drenaggio, sono particolarmente suscettibili all’innesco di fenomeni gravitativi in concomitanza di piogge intense”.
I cambiamenti climatici in atto, lo dicevamo, stanno inoltre determinando alle nostre latitudini un incremento della frequenza degli eventi pluviometrici brevi e intensi con un conseguente aumento dei fenomeni di instabilità dei versanti, in particolare interessando le frane superficiali e le colate detritiche. Allo stesso tempo, la riduzione dei valori di precipitazione totale annua e l’incremento dell’evapotraspirazione, fanno sapere, potrebbero comportare una riduzione delle attivazioni delle frane più profonde o che coinvolgono terreni a bassa permeabilità.
Altri fattori scatenanti sono l’aumento di temperatura in alta quota che ha effetti sulla degradazione del permafrost, con un incremento dei fenomeni di instabilità. Tra gli impatti indiretti dei cambiamenti climatici sulla franosità, si cita un incremento tendenziale della frequenza degli incendi associato a periodi prolungati di siccità, che privando il suolo della copertura vegetale, lo rendono più vulnerabile all’innesco di frane superficiali.
Quello dei beni culturali è una ricchezza del nostro Paese che non possiamo permetterci di perdere: in totale i Beni Culturali complessivi a rischio frane in Italia sono oltre 45.000 pari al 19,8% del totale (calcolati su una totalità di 229.530 Beni Culturali al 1° novembre 2024). L’attività di studio e analisi del rischio dei Beni Culturali sul territorio nazionale è portata avanti dal 2009 in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Restauro, ICR, attraverso protocolli d’intesa e convenzioni. Naturalmente va riservata un’attenzione speciale a tutti quei beni architettonici che, a differenza dei beni mobili, come quadri e sculture, non sono delocalizzabili e necessitano quindi di adeguate misure strutturali di salvaguardia.
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L’acqua che fa paura: alluvioni ed erosione costiera
Le alluvioni sono diventate un’emergenza tristemente ricorrente in molte zone d’Italia, con esiti terribili come le inondazioni avvenute in Emilia-Romagna nel maggio 2023 che hanno causato 17 decessi e ingenti danni.
Con 6,8 milioni di persone che vivono in aree a rischio di inondazione con pericolosità idraulica media, è evidente come sia necessario intervenire nella gestione del rischio. Il rapporto descrive le attività in corso per il terzo ciclo di gestione (2022-2027) della Direttiva Alluvioni, con l’aggiornamento delle mappe di pericolosità previste per il 2026.

Anche l’erosione costiera continua a essere un problema, con 1.899 chilometri di spiagge che hanno subito cambiamenti significativi tra il 2006 e il 2020. Di questi, 934 chilometri sono in erosione, mentre 965 chilometri sono in avanzamento. Questo cambiamento di tendenza, con una prevalenza dei tratti in avanzamento, è considerato un probabile effetto degli interventi di mitigazione, come i ripascimenti e le opere di protezione.
D’altra parte le aree costiere italiane subiscono da decenni gli effetti dell’antropizzazione e dello sfruttamento da parte dell’uomo, che hanno mutato profondamente la dinamica morfologica naturale, dando origine ad un’alterazione profonda della costa, specie in termini di erosione. Anche in questo caso, agli effetti diretti delle azioni antropiche, negli ultimi anni stanno cominciando ad aggiungersi gli effetti dovuti alla crisi climatica, che alterano ulteriormente gli equilibri naturali rendendo il quadro generale complesso e gravoso da affrontare.
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Le valanghe, un rischio da non sottovalutare
Le valanghe possono sembrare eventi più distanti e meno frequenti ma sono 1.896 gli incidenti documentati nella banca dati AINEVA dal 1984 a oggi in Italia, con complessivamente oltre 800 morti. In questi ultimi 30 anni nei Paesi del centro Europa sono morte a causa di una valanga mediamente oltre un centinaio di persone per stagione invernale e, tra queste, circa venti sul versante italiano.
Naturalmente le valanghe rappresentano un rischio significativo soprattutto nelle aree montane, ma tutte le attività umane in ambiente innevato, quindi edifici, strade, impianti sciistici e reti di servizi, devono tenere conto del possibile rischio.
Le aree valanghive mappate ammontano a 9.283 chilometri quadrati, pari al 13,8% del territorio montano oltre gli 800 m di altitudine. L’Ispra segnala però un problema nel monitoraggio: “A livello nazionale si riscontrano alcune differenze nella classificazione del pericolo da valanga nei vari strumenti di pianificazione, e sarebbe auspicabile l’adozione di linee guida comuni”.
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La gestione del rischio
Nel quadro appena tracciato mitigare i pericoli e gestire i fattori di rischio risulta fondamentale. Le piattaforme IdroGEO e ReNDiS sono fondamentali in questo contesto. l rapporto presenta dunque due piattaforme gestite da ISPRA:
- IdroGEO: una piattaforma web open source che raccoglie e diffonde dati e mappe sul dissesto idrogeologico, incluse le mappature di pericolosità, gli indicatori di rischio e un’anagrafe nazionale dei sistemi di monitoraggio delle frane.
- ReNDiS: il Repertorio Nazionale degli interventi per la Difesa del Suolo, che gestisce e rende disponibili le informazioni sugli interventi di mitigazione finanziati dal 1998 al 2024, per un totale di 19,2 miliardi di euro distribuiti su quasi 26.000 interventi. A fine 2024, il 34% degli interventi risultava concluso, mentre un altro 34% era ancora da avviare o con dati non comunicati.
Tuttavia, l’efficacia di questi strumenti, sottolinea in ultimo Ispra, dipende dall’aggiornamento costante dei dati e dalla rapidità con cui gli interventi vengono attuati. Il rapporto evidenzia che circa il 34% degli interventi censiti in ReNDiS deve ancora essere avviato o non ha fornito dati di aggiornamento. “L’Italia – conclude – si trova quindi di fronte alla necessità di unire una conoscenza approfondita dei rischi con una pianificazione territoriale rigorosa e l’accelerazione degli interventi. Solo un approccio integrato e sinergico potrà garantire la sicurezza del territorio e la salvaguardia del patrimonio naturale e umano del Paese”.
Per quel che concerne i finanziamenti, quasi 600 milioni di euro sono stati stanziati nel 2025 per la mitigazione del rischio idrogeologico, di cui quasi 350 milioni destinati alle Regioni. “Queste risorse – fanno sapere dal MASE – saranno destinate alla mitigazione del rischio e a interventi ‘integrati’, finalizzati a coniugare sicurezza e tutela ambientale”. A questi stanziamenti si aggiungono 240 milioni di euro del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC) per gli anni 2021-2027.
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