Naturale, sostenibile, riciclabile. Sono parole che ricorrono sempre più spesso nelle pubblicità di diverse tipologie di prodotto: in moltissimi casi si tratta di greenwashing, un apparente impegno da parte di un’azienda verso l’ambiente che però non si traduce in azioni concrete.
Il marketing, d’altronde, ha regole ben precise entro cui muoversi e, anche per innovarlo in chiave green, è necessario mantenere coerenza e trasparenza in tutte le fasi di produzione, distribuzione e promozione del prodotto.
Conoscere i principi base del marketing è dunque essenziale per mettere in campo idee di successo che abbraccino la sostenibilità in maniera razionale, ma anche per crescere come consumatori consapevoli, in grado di discernere una comunicazione efficace da una manovra di greenwashing. Questo, e molto altro, è quanto emerso nel corso della lezione dedicata a green marketing e comunicazione del workshop Ecodesign the future: packaging edition, tenuta da Chiara Perelli, docente del corso Consumer Behaviour in the Circular Economy presso l’Università degli Studi della Tuscia.
Dopo aver introdotto gli elementi cardine del marketing strategico ed operativo, ci si è focalizzati sul ruolo chiave della comunicazione, un passaggio fondamentale per la buona riuscita di un’operazione di marketing.
Il green marketing
Il green marketing si basa un processo di marketing classico ma ingloba al suo interno le dinamiche della sostenibilità: nasce con l’obiettivo di sviluppare, promuovere e valorizzare prodotti e servizi in grado di generare un ridotto impatto ambientale.
Negli ultimi anni la spinta dei consumatori verso scelte di acquisto consapevoli si è fatta sempre più insistente: una ricorrente narrazione dei cambiamenti climatici anche nei media tradizionali ha condotto a un’accresciuta sensibilità dei consumatori verso queste tematiche. In questo senso, le esigenze del consumatore si sono evolute e così le caratteristiche che rendono un prodotto più o meno sostenibile assumono sempre più importanza sul mercato.
Su questo rinnovato bisogno dei consumatori, un’impresa riadatta il suo processo di marketing, ponendo una maggiore attenzione alle dinamiche ambientali sia nella definizione del prodotto, sia nella comunicazione.
“In un primo momento, – ha spiegato Perelli – nelle esperienze pioneristiche delle multinazionali nell’ambito del green marketing, si credeva che il consumatore green fosse un consumatore di nicchia, facente parte di un vero e proprio segmento di mercato che si distingueva dagli altri per delle semplici variabili socio-economiche, come età, sesso e occupazione. Si pensava quindi che ci fosse una nicchia specifica e che all’interno di questa nicchia i consumatori fossero green a 360 gradi, cioè che acquistassero prodotti sostenibili a prescindere da altre variabili come la qualità o la prestazione”.
“Questo primo approccio – prosegue la docente – si rivelato essere limitativo e fuorviante: alcuni studi hanno poi dimostrato che non esiste un consumatore orientato in ogni caso alle scelte di consumo ecologico. I consumatori, infatti, si suddividono in dei segmenti complessi e non sempre ricercano dei prodotti green: fanno attenzioni agli aspetti della sostenibilità con riferimento a specifici prodotti e servizi, quindi possono essere attenti all’impatto ambientale in alcuni casi ma non esserlo in altri”.
È dunque essenziale, per un’impresa che intende intraprendere una strategia di marketing ambientale, accompagnare all’analisi del consumatore una valutazione delle dinamiche di mercato volta ad indentificare e valutare i singoli fattori che motivano l’acquisto di prodotti ecologici, legate sia alla tendenza della domanda, sia a delle caratteristiche dell’offerta dei prodotti.
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Il green marketing mix
A questo proposito, un interessante spunto di riflessione può derivare dal comprendere le variazioni dei diversi pilastri del marketing operativo in un’ottica di sostenibilità ambientale. Il marketing operativo rappresenta la dimensione di azione del concetto di orientamento al mercato e si basa sull’utilizzo di mezzi tattici derivanti dalle politiche di prodotto, prezzo, distribuzione e promozione: il cosiddetto marketing mix.
Un prodotto è definito ecologico se è stato fabbricato senza l’uso di sostanze tossiche e rispettando misure volte a limitare i danni ambientali. Per definire un prodotto green, è necessaria un’attenzione all’ambiente lungo tutta la filiera, dal processo produttivo, alle caratteristiche fisiche, al packaging sino alla distribuzione.
Per quanto concerne il prezzo, come sappiamo, spesso il costo dei prodotti ecologici risulta incrementato rispetto a quelli tradizionali: questo deriva in genere da costi di produzione maggiori, come ad esempio l’utilizzo di filtri. In alcuni casi, questi costi non sono economicamente sostenibili per molti e rappresentano un ostacolo all’acquisto di alternative più sostenibili. Tuttavia, come fa notare Perelli, spesso i consumatori sono disposti a spendere di più nel momento in cui riconoscono nella sostenibilità del prodotto un valore aggiunto: se per esempio al supermercato si trovano a dover scegliere tra due prodotti, di cui uno tradizionale ed uno con caratteristiche più green, è possibile che scelgano quest’ultimo perché attribuisco a quel prezzo una motivazione e delle qualità oggettive.
Terzo pilastro del green marketing mix è la distribuzione, termine con cui intendiamo tutti gli attori che si inseriscono tra il produttore e il consumatore finale. La distribuzione fa riferimento alla logistica e allo sforzo di ridurre le emissioni di inquinanti legate ai trasporti.
In ultimo, la comunicazione svolge un ruolo fondamentale all’interno del marketing operativo. L’impegno che l’impresa ha profuso nell’essere sostenibile e nella realizzazione di un prodotto eco-friendly necessita di essere adeguatamente comunicato: il mercato deve essere cosciente e il prodotto ben riconoscibile come green. La comunicazione può riguardare, ad esempio, il possesso di specifiche certificazioni, il fatto che l’impresa ha sostenuto ingenti spese per la protezione dell’ambiente o che è impegnata in diverse azioni per preservare il patrimonio naturale.
La comunicazione, dicevamo, è fondamentale ma non sufficiente: se ha lo scopo di convincere il consumatore che il prodotto in questione è sostenibile, deve essere accompagnata necessariamente da un elemento concreto; da una parte il prodotto promosso come sostenibile ed ecocompatibile deve esserlo davvero, dall’altra la comunicazione deve essere fatta in modo accurato e non generico, altrimenti si incorre nel problema del greenwashing.
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La trappola del greenwashing
Sul trend della sostenibilità, sempre più aziende puntano a dare un’apparenza verde ai loro prodotti, anche se in molti casi si tratta, appunto, solo di apparenza: parliamo di greenwashing quando un’azienda impiega più risorse ad affermare la propria sensibilità ambientale, attraverso la pubblicità e il marketing, piuttosto che mettere in atto misure realmente in grado di ridurre l’impatto ambientale.
L’adozione di una strategia di green marketing basata su una comunicazione generica e soprattutto non sorretta da impegni e risultati concreti espone però l’impresa al rischio di ledere la propria immagine e credibilità sul mercato fino alla perdita dei clienti e all’erosione delle quote di mercato da parte dei concorrenti.
Oggi il cliente può infatti accedere facilmente alle informazioni di cui necessita dunque, se emerge questo divario tra comunicazione e realtà dei fatti, si rischia di perdere credibilità e clientela, anche se non sempre è un comportamento voluto.
“L’impresa – precisa Perelli – non sempre è in malafede, a volte semplicemente pecca nella sua attività di comunicazione, agendo in modo generico e non prestando attenzione alle caratteristiche del prodotto e alle sua reale e completa sostenibilità, e quindi incappa per errore nel greenwashing, con tutti i rischi annessi e connessi”.
Ogni sforzo verso la sostenibilità è prezioso, si intende, ma per definire un prodotto green e spingere i consumatori verso il suo acquisto è importante che l’azienda tenga conto di ogni fase della sua produzione e non solo di un determinato aspetto.
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I passi dell’Europa per aiutare il consumatore
E se come consumatori facciamo fatica ad orientarci in questo nuovo mondo tra greenwashing e sostenibilità di facciata, i cambiamenti devono arrivare dall’alto.
Un anno fa la Commissione europea ha presentato la nuova agenda dei consumatori, con lo scopo di coinvolgere attivamente i consumatori nella transizione verde e digitale. Il documento presenta le priorità e i punti di azione cruciali su cui in cinque anni gli Stati membri lavoreranno a livello europeo e nazionale.
A gennaio 2021 la Commissione Europea ha lanciato la prima iniziativa realizzata nell’ambito della nuova agenda dei consumatori, il Green Consumption Pledge, cui hanno aderito alla fase pilota aziende come Gruppo Colruyt, Decathlon, LEGO Group, L’Oréal e Renewd.
Le società dovranno adottare misure concrete in almeno tre delle cinque aree di impegno individuate dalla Commissione Europea. Tra queste, c’è la questione della trasparenza e dell’accessibilità dei dati, devono cioè garantire che le informazioni fornite ai consumatori in relazione all’azienda e all’impronta di carbonio del prodotto siano di facile accesso, accurate e chiare. E mantenere queste informazioni aggiornate a seguito di eventuali riduzioni o aumenti delle impronte.
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