Per economia blu l’Unione europea intende “tutte le industrie e i settori economici connessi agli oceani, ai mari e alle coste, sia che si svolgano direttamente nell’ambiente marino che sulla terraferma”. E non è un mistero che l’Ue punti anche su quest’ambito per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità, come testimoniano numerosi atti adottati in questi anni: si pensi ad esempio alla Strategia Ue per la biodiversità, che ha indicato l’obiettivo di stabilire aree protette per almeno il 30% della superficie marina, con un ulteriore 10% che dovrà prevedere una tutela molto stretta.
Già nel 2021, in occasione del lancio dell’ambizioso Green Deal, la Commissione europea scriveva che “tutti i settori dell’economia blu, tra cui pesca, acquacoltura, turismo costiero, trasporto marittimo, attività portuali e costruzioni navali, dovranno ridurre il loro impatto ambientale e climatico. Per affrontare la crisi climatica e la crisi relativa alla biodiversità sono necessari mari in salute e un uso sostenibile delle loro risorse, al fine di creare alternative ai combustibili fossili e alla produzione alimentare tradizionale”.
Ma a che punto siamo? Cosa c’è oltre gli annunci e i buoni propositi? Per scoprirlo si può consultare la settima edizione del rapporto Blue Economy, pubblicato negli scorsi giorni. La relazione EU Blue Economy è una pubblicazione annuale redatta dal Joint Research Center (il centro studi a cui si affida la Commissione europea) e dalla direzione generale Affari marittimi e pesca della Commissione europea. In 51 pagine l’edizione 2024 esamina attentamente la portata e l’ampiezza dell’economia blu all’interno dell’UE, offrendo orientamenti ai responsabili politici e alle parti interessate nella promozione del progresso sostenibile degli oceani e delle risorse costiere.
Rispetto alle precedenti edizioni quella di quest’anno comprende una sezione sulla transizione energetica e i cambiamenti climatici nel settore del trasporto marittimo dell’UE, sulla flotta peschereccia dell’UE e sul partenariato nel settore della pesca e dell’acquacoltura, nonché una sezione sugli impatti delle inondazioni costiere dovuti ai cambiamenti climatici lungo le coste dei 27 Stati membri dell’Ue.
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I numeri dell’economia blu
La relazione esamina i progressi compiuti dal 2009 e traccia gli sviluppi tra il 2020 e il 2021 (ultimi dati disponibili da Eurostat). Secondo i dati più recenti, nel 2021 l’economia blu era in via di ripresa dalla pandemia: il risultato operativo lordo (utile) è cresciuto del 73% rispetto al 2020, raggiungendo 76,4 miliardi di euro, mentre l’occupazione è aumentata del 17%, rappresentando una quota dell’1,8% della forza lavoro dell’UE.
I settori consolidati dell’economia blu dell’UE impiegavano direttamente quasi 3,59 milioni di persone e hanno generato un fatturato di circa 623,6 miliardi di euro e 171,1 miliardi di euro in valore aggiunto lordo (GVA). Questi settori consolidati comprendono le risorse biologiche marine, le risorse marine non viventi, le energie marine rinnovabili, le attività portuali, la costruzione e la riparazione navali, il trasporto marittimo e il turismo costiero. A fare la parte del leone è il turismo costiero, che ha mantenuto la quota maggiore di occupazione e valore aggiunto lordo nell’economia blu dell’UE, con rispettivamente il 54% e il 29%, anche se ancora in fase di ripresa dalla crisi pandemica del 2020.
Anche le risorse biologiche marine e le energie rinnovabili marine – principalmente l’eolico offshore – hanno registrato risultati particolarmente positivi, raggiungendo rispettivamente il 2% e il 45% dei profitti lordi rispetto al 2020. Le energie rinnovabili marine sono il settore in più rapida crescita in termini relativi e probabilmente uno dei settori in più rapida crescita nell’economia dell’UE nel suo complesso. Il fatturato di questo settore è passato da 91 milioni di euro nel 2009 a 3,4 miliardi di euro nel 2021 in termini nominali.
Guardando più indietro, la maggior parte dei settori dell’economia blu dell’UE ha migliorato i risultati economici. Tra il 2015 e il 2021 si è registrato un netto aumento del VAL nominale per l’energia eolica offshore (+ 326%), la costruzione e la riparazione navale (+54%), il trasporto marittimo (+29%), le risorse biologiche marine (+27%) e le attività portuali (+11%).
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Le nuove tecnologie dell’economia blu
Per la settima edizione del rapporto Ue Economia Blu, “gli ambiziosi obiettivi di decarbonizzazione dell’UE per i settori dell’economia blu stanno stimolando nuove opportunità commerciali”. Ma con quali mezzi? Il report redatto dal JRC segnala che “l’energia oceanica, la biotecnologia blu e la desalinizzazione sono settori innovativi e emergenti dell’economia blu che offrono un potenziale di crescita economica, creazione di posti di lavoro e transizione verde. Gli ultimi due mostrano tassi di crescita relativamente più elevati”.
Si tratta di tre ambiti che attirano sempre più investimenti pubblici e privati, come stiamo vedendo anche in Italia, dove una delle risposte più immediate alla siccità offerte dal governo è il ricorso ai dissalatori. Soprattutto, in un’epoca fondata sull’energia, si guarda agli oceani anche per il potenziale energetico che le distese d’acqua potrebbero offrire.
“L’energia delle maree è la prima di tali fonti alternative di energia oceanica ad aver raggiunto applicazioni commerciali su larga scala (ad esempio in Francia dal 1966) – si legge nel report – Diverse tecnologie energetiche delle onde si trovano in diverse fasi di sviluppo (ad esempio in Portogallo e Svezia) o di diffusione (ad esempio in Spagna e in Italia), mentre la potenza del gradiente di salinità (utilizzando le differenze di contenuto di sale tra acqua dolce e acqua salata) è in fase di sperimentazione in diversi bacini marittimi europei. L’Europa è in prima linea nel settore dell’energia oceanica, con quasi due terzi della capacità globale situata all’interno dei bacini marittimi dell’UE”.
La desalinizzazione, come è noto, è un settore in rapida evoluzione che affronta la scarsità d’acqua, specie alla luce dei cambiamenti climatici ma anche per sfruttare gli sviluppi tecnologici che consentono di ridurre i costi operativi e gli impatti ambientali. In questo senso gli Stati membri dell’Ue che hanno scelto di investire in questo settore sono tanti. Ad esempio il governo spagnolo nel 2023 ha annunciato un piano di investimenti di oltre 12 miliardi di euro per la costruzione di impianti di desalinizzazione e il miglioramento delle infrastrutture idriche.
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I paesi dell’UE e l’economia blu
I quattro maggiori paesi dell’UE a livello economico – Germania, Spagna, Italia e Francia – sono anche i maggiori contributori all’economia blu dell’UE. “La quota dell’economia blu nelle economie nazionali – spiega il report – varia da un Paese all’altro dell’UE, in quanto l’economia blu dei paesi insulari o quelli con arcipelaghi contribuiscono maggiormente al GVA nazionale e all’occupazione. In termini di occupazione, le quote variano dall’11,4% in Grecia allo 0,2% in Austria. Quando si tratta di GVA, la gamma si estende dal 6% in Croazia allo 0,1% in Lussemburgo”.
La relazione include inoltre anche una sezione sugli impatti delle inondazioni lungo le coste dei 27 Stati membri dell’Unione europea. Quel che emerge è interessante e preoccupante allo stesso tempo. “Circa 72mila persone nell’UE sono esposte a inondazioni costiere ogni anno, mentre i danni economici ammontano a 1 miliardo di euro all’anno. Con il riscaldamento globale, si prevede che i danni aumenteranno bruscamente se gli attuali livelli di protezione costiera non saranno aumentati. Entro il 2100, i danni annui ammonterebbero rispettivamente a 137 miliardi di euro e a 814 miliardi di euro nell’ambito di scenari di mitigazione moderata e di emissioni elevate”.
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