Mentre aspettiamo di sapere se e come i risultati delle elezioni cambieranno le priorità del ministero della transizione ecologica, in via Cristoforo Colombo continuano i lavori per mettere a punto un decreto sulla responsabilità estesa del produttore (EPR – extended producer responsibility) per i rifiuti tessili. Ne parliamo con Andrea Fluttero, presidente dell’Unione delle Imprese Raccolta Riuso e Riciclo dell’Abbigliamento Usato (Unirau, in ambito Unicircular).
“Col ministero abbiamo avuto scambi informali, ma al momento non siamo ancora stati coinvolti ufficialmente. Anche se ci hanno detto che lo saremo, credo che sarà alla prossima riunione”.
Riunione che dovrebbe tenersi questo mese, salvo cambiamenti di programma. Unirau ha titoli per essere ascoltata su questo tema: rappresenta le imprese che consentono il riuso gli abiti usati, e poi sull’EPR per i tessili ha presentato un position paper. Ce ne vuole illustrare i punti salienti?
Certo. Intanto ci interessa che l’EPR chiarisca bene la differenza tra raccolta differenziata e raccolta a fini benefici. Su questo argomento c’è ancora troppa confusione: un conto sono le raccolte benefiche, un conto è la differenziata, che tratta rifiuti.
Un’altra questione: la raccolta differenziata dei rifiuti tessili è finalizzata principalmente al riuso. Questa è una specificità della filiera che porta con sé conseguenze importanti. Gran parte delle raccolte differenziate, infatti, è finalizzata al riciclo: pensiamo agli imballaggi, che appunto non vengono riutilizzati ma riciclati. Per questo possono essere raccolti con meno cura, cosa che non vale per i rifiuti tessili, per i quali la raccolta deve essere più attenta e raffinata. Questa specificità della filiera tessile mette in evidenza l’importanza del ruolo dei raccoglitori, imprese e cooperative che si sono specializzate in questi anni nel fare le raccolte finalizzate appunto al riuso: se raccogli male rovini il materiale destinato al riuso. Se non si riconosce questo, si possono creare problemi alla raccolta, che va fatta in modo appropriato e attento. Diversamente si rischia di avere del materiale che nessun selezionatore è più interessato ad acquistare, vanificando lo sforzo della raccolta.
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La filiera tessile ha dunque delle specificità che devono essere tenute in conto nella stesura dell’EPR. Altri punti indicati nel vostro position paper?
Altra cosa da sottolineare è l’esigenza di un flusso costante del materiale: che, a differenza ancora ad esempio dei materiali che vanno a riciclo, non può stare fermo in un magazzino. Se staziona troppo tempo, la raccolta tessile si deteriora e poi non si riesce più ad avviarla a riuso, di fatto vanificandola. L’importanza della costanza del flusso mette in evidenza un ruolo che non in tutte le filiere esiste, quello delle aziende commerciali e degli intermediari che garantiscono che i raccoglitori abbiano sempre sbocchi presso i selezionatori.
Altra caratteristica specifica dei tessili è la figura, anch’essa poco nota, dei selezionatori. Poiché la finalità della raccolta differenziata, come abbiamo detto, è il riuso, il selezionatore è un’impresa che compra le raccolte differenziate in Italia e sul mercato europeo, e le seleziona per avviarle al riuso: sa come selezionare e sa a chi vendere tutto quello che è riusabile. Questo va sottolineato perché abbiamo osservato approcci che ignorano queste specificità e immaginano una raccolta differenziata e un sistema EPR come quello per gli imballaggi: raccolgo senza particolari attenzioni, butto negli impianti, fondo, riciclo.
C’è poi il tema del perimetro dell’EPR: nel nostro position paper abbiamo messo in evidenza la necessità di chiarire bene quale sarà il campo di applicazione. Non tutto il tessile è abbigliamento e non tutto l’abbigliamento è tessile: c’è il mondo del tessile domestico, c’è quello degli arredi, dei materassi, dei ristoranti e alberghi.
Ci sono da fare scelte sul contributo ambientale: noi proponiamo che sia esposto, cioè visibile sui prodotti, come per gli penumatici, cosa che invece non avviene ad esempio per i RAEE.
C’è la questione dei prodotti immessi sul mercato con le vendite online, che stanno crescendo esponenzialmente e che, in altre filiere, quasi mai pagano l’eco-contributo. Bisognerà fare tesoro dell’esperienza negative e positive delle altre filiere.
Immaginiamo poi consorzi su base nazionale, che dovranno garantire la raccolta per la quota percentuale dell’immesso nel mercato dei loro consorziati. Non vorremmo consorzi proprietari di impianti e piattaforme: per evitare conflitti di interesse. Vorremmo invece consorzi che comprino sul mercato dai migliori impianti e dalle migliori piattaforme i servizi di cui hanno bisogno.
Che cosa vi aspettate dell’EPR tessili?
Che permetta di lavorare avendo risorse economiche dagli eco-contributi per migliorare la qualità ambientale di processo, migliorare la legalità attraverso accreditamento delle aziende della filiera. E poi investire sull’eco-progettazione: oggi tutto quello che non è riutilizzabile è anche difficilmente riciclabile perché quasi mai è progettato in modo mirato al riciclo. Il Fast fashion è un esempio, ma quasi tutto quello che indossiamo non viene pensato per essere riciclato.
E poi l’EPR dovrà permettere di rafforzare il riciclo: oggi in Italia la capacità di riciclo delle fibre è quasi assente, se si esclude l’eccellenza della lana trattata negli impianti pratesi. Ma la lana rappresenta una limitata quantità dell’immesso sul mercato. Quello degli impianti è un enorme campo di utilizzo per le risorse provenienti dal sistema EPR.
Da questo punto di vista cosa ci si può attendere dal PNRR ?
Il PNRR prevede finanziamenti per impianti per un totale di 150 milioni euro, sono i cosiddetti progetti faro: ma bisogna vedere che tipo di impianti verranno finanziati. Sento parlare di impianti per selezionare la raccolta tessile: ma selezione per il riuso è altra cosa da quello che fa una macchina che separa un prodotto di lana da quello di alte fibre. Anche perché si tratta quasi sempre di fibre miste, ci sono i bottoni, le applicazioni di altri materiali come la pelle sintetica: è molto complicato, non è come dividere le diverse plastiche, cosa già non semplice.
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Anche Sistema moda Italia (SMI), che ha dato vita ad un consorzio, ha presentato un proprio documento sull’EPR. Lo ha letto?
Certo.
Cosa ne pensa?
Abbiamo alcune perplessità.
La prima, marginale, è relativa al perimetro della responsabilità estesa. SMI inserisce anche i semilavorati: se una ditta vende tessuti o fili ai sarti, ad esempio, secondo SMI quel tessuto e quel fino vanno assoggettati all’EPR. Su questo siamo un po’ perplessi: sarebbe come se chi vende lamiere ai produttori di frigoriferi su quella lamiera dovesse pagare l’eco-contributo. Normalmente l’EPR incide sul prodotto finito, non sul semilavorato.
Questo quanto alle perplessità marginali. Veniamo a quelle sostanziali.
Siamo molto perplessi per l’idea, che traspare dal documento, di farsi carico della raccolta e di sovrapporsi alle raccolte comunali: viene ipotizzato infatti un modello “all actors” in cui i consorzi, i produttori, i distributori (e addirittura non meglio precisati “raccoglitori e gestori privati”) possono raccogliere il rifiuto tessile in modo semplificato.
Questo porterebbe ad una situazione nella quale le raccolte comunali, che sono un costo per i cittadini, finirebbero col raccogliere solo capi di nessun valore. Mentre gli altri soggetti raccoglierebbero tutti i prodotti migliori e in modo semplificato, senza tutte le complessità del sistema dei rifiuti, alle quali dovrebbero invece sottostare tutti quelli che operano nella filiera della pubblica amministrazione.
Temete che la raccolta dei Comuni possa collassare, trascinando le vostre imprese?
Diventerebbe una differenziata per la quale ti domandi perché la differenzi, se poi va tutto nell’indifferenziato e nulla è riusabile. In più SMI auspica la liberalizzazione delle raccolte, con rifiuti tessili che girano liberamente grazie alla semplificazione di tutte le normative di trasporto e raccolta. Se così fosse, saremmo di fronte ad una concorrenza asimmetrica: chi lavora per la pubblica amministrazione che deve essere iscritto ad albo trasportatori e deve rispettare tutte le norme sui rifiuti; e chi invece non è tenuto a rispettarle.
Moltiplicare i canali di raccolta e semplificare le procedure potrebbe agevolare il raggiungimento di obiettivi di raccolta più ambiziosi, non crede?
SMI lo promuove così.
Ma in questo modo si rischia grosso, è un tana libera tutti. E poi, se deve essere così, che almeno le semplificazioni vengano applicate a tutte le filiere, anche a quella legata alla raccolta dei Comuni. Invece si prospetta una concorrenza asimmetrica. Tuttavia, che questa scelta porti problemi lo dimostra anche il fatto che dopo aver descritto questo panorama, Sistema moda Italia sottolinei sempre la necessità di una “rigorosa rendicontazione”. Ma proviamo ad immaginare le difficoltà di tracciare una filiera all actors, con il rischio di alimentare un giro di “nero” senza controllo. Noi siamo i primi a chiedere semplificazione, ma in un contesto di regole.
È vero che la filiera dei Comuni ha problemi in questo momento (ma l’EPR serve anche a monitorare, controllare, certificare e accreditare le imprese e risolvere i problemi di illegalità che non mancano, come in purtroppo in tanti altri settori), ma resta un modello in cui è tutto molto più monitorabile.
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Nascono nuovi consorzi per il fine vita del tessile. Unirau non ha pensato ad un consorzio?
Mi sembra ci sia un po’ di confusione, che nascano consorzi dove i soggetti che li hanno fondati non saranno coinvolti dal sistema EPR. Non ha senso che in un consorzio ci sia chi ricicla, perché i consorzi sono dei produttori. Oppure dentro i consorzi si trovi chi produce il filato: ma il filato non è un prodotto finito che viene immesso sul mercato e per questo assoggettato a regime EPR. Torna il discorso fatto per la lamiera degli elettrodomestici. Mi sembra stata un po’ un attivismo eccessivo: i sistemi EPR non sono sistemi per guadagnare ma per usare in modo saggio e razionale le risorse dei cittadini, per una corretta ed oculata gestione degli eco-contributi.
Se per il tessile verrà fatto un decreto EPR simile agli altri esistenti, sarà un decreto che coinvolgerà i produttori. Unirau, che rappresenta raccoglitori, intermediari e selezionatori, non ha titolo per promuovere un consorzio EPR per i suoi associati. Non saremo coinvolti nei consorzi, ma i nostri associati saranno fornitori dei consorzi e dei Comuni. È importante quindi dare il nostro contributo alla stesura un buon decreto.
In base alla sua esperienza e alle informazioni che possiede, che tempi prevede?
Credo che parte del 2023 sarà dedicata a discutere e ragionare su un testo base. Coi tempi che corrono, col governo che si deve formare e con tutti gli sforzi fatti sul PNRR, non credo ci sarà un decreto EPR tessile in tempi troppo ravvicinati.
La Commissione intende armonizzare le norme dell’UE in materia di responsabilità estesa del produttore per i tessili: non sarebbe utile attendere queste indicazioni?
Aspettare no, cercare di andare in parallelo sì. Sarebbe saggio lavorare per far maturare il decreto tenendo conto di quello che si muove a livello europeo: il mercato è europeo, e il decreto dovrà essere in linea con quanto definito in Europa. È utile lavorare guardando l’evoluzione del quadro UE.
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