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La prevenzione è in cima alla gerarchia dei rifiuti e la norma, giustamente, vincola i sistemi EPR a darle priorità. Al di là degli ambiti di riduzione vera e propria, affrontati soprattutto nell’ambito delle regole su Ecodesign ed imballaggi, e al di là dei prevedibili effetti di riduzione stimolati dall’eco-modulazione dei contributi ambientali, il campo di intervento più interessante per i sistemi EPR appare essere quello del Riutilizzo.
EPR e riutilizzo
Un’opzione a volte trascurata dalle politiche pubbliche, anche a causa della magmaticità delle filiere esistenti; in Italia, secondo l’associazione di categoria Rete ONU, esistono circa 100.000 addetti del riutilizzo che sono divisi in una molteplicità di anime e comparti. Il grosso del volume del riutilizzo e del numero addetti lavora nei comparti dei negozi dell’usato conto terzi e dell’ambulantato, e quest’ultimo comparto opera soprattutto nell’informalità. Nel primo rapporto sul fenomeno del riuso in Italia consegnato da Ispra alla Commissione Europea si dà conto di ben 232.000 tonnellate riutilizzate nel 2022 dal solo comparto dell’usato conto terzi. Sono state quantificate 14.000 tonnellate di tessili, 63.000 tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche, 120.000 tonnellate di mobili e 35.000 tonnellate di altre frazioni merceologiche.
ISPRA ora sta calcolando le performance di riutilizzo degli ambulanti. Queste economie popolari, di per sé virtuose ma a volte problematiche per la loro dimensione spontanea e poco organizzata, per partecipare a pieno titolo ai sistemi EPR dovrebbero dotarsi di idonei strumenti di tracciabilità, e lavorare con standard di qualità adeguati. Sarebbe immorale destinare denaro a pioggia sugli Operatori del Riutilizzo senza interessarsi alle loro condizioni di lavoro e agli impatti ambientali della loro attività. Al contrario, gli organismi collettivi dei produttori possono sostenere il Riutilizzo contribuendo all’organizzazione delle filiere, accompagnando per mano gli operatori a migliorare i loro standard, e promovendo sinergie a tutto campo con la gestione dei rifiuti: dai modi di intercettazione fino al corretto smaltimento dei residui delle loro attività.
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Riutilizzo e preparazione per il riutilizzo
In quest’ottica è importante che il Riutilizzo, ai fini del conteggio dei risultati ambientali, venga assimilato alla Preparazione per il Riutilizzo, senza dare priorità all’uno rispetto all’altra, e facendo in modo che entrambe le opzioni contribuiscano agli obiettivi di recupero. Questo approccio è importante per evitare che il perseguimento degli obiettivi di recupero dei rifiuti entri in conflitto con la necessità di fare prevenzione, e anche per far sì che la gerarchia venga applicata a fini ambientali e non in base a ottuse formulazioni di principio. Quando un bene usato torna in circolazione, per l’ambiente fa esattamente lo stesso se la sua provenienza è un canale di prevenzione o un impianto di preparazione per il Riutilizzo; però, se andiamo a monte della filiera, a volte la preparazione per il Riutilizzo è l’opzione più sicura perché garantisce la corretta separazione delle frazioni che non possono essere riutilizzate e la verifica delle performance tecniche e di sicurezza dei beni usati, che è molto importante, in particolare quando si tratta di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
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Le pratiche disoneste col pretesto del riutilizzo
Occorre inoltre evitare che il concetto di Riutilizzo come “non rifiuto” venga strumentalizzato per giustificare operazioni di cannibalizzazione e cherry picking presso gli snodi di smistamento dei rifiuti urbani, a detrimento delle economie di scala che sono necessarie a far funzionare gli impianti di preparazione per il riutilizzo e garantire il massimo risultato globale di Riutilizzo. Va infine evitato, il più possibile, che a partire da un medesimo ambito di intercettazione si producano biforcazioni dove un’opzione meno controllata entri in competizione con un’opzione più controllata.
Un serio ragionamento sul Riutilizzo deve includere anche la questione del monitoraggio e controllo delle filiere internazionali della seconda mano; il riutilizzo locale, di fatti, tende a intercettare solo le frazioni di maggiore valore, mentre quelle di qualità bassa e media trovano mercato soprattutto in paesi più poveri del nostro: ossia possono essere riutilizzate, ma in una logica di esportazione, e spesso tale esportazione è extra OCSE, quindi è diretta a paesi dove i sistemi di gestione dei rifiuti sono più deboli e meno controllati. Parallelamente, l’Italia importa ogni anno decine di migliaia di tonnellate di beni usati, essenzialmente capi d’abbigliamento, che poi vengono immessi nel nostro mercato nazionale della seconda mano e acquistati dai consumatori finali; come tutti gli altri prodotti immessi sul mercato, anche questi beni usati di importazione diventano prima o poi rifiuti che vanno gestiti correttamente, quindi è giusto che anch’essi siano soggetti a contributi ambientali in un’ottica di responsabilità estesa del produttore.
In ultima analisi, puntare al massimo riutilizzo obbligherà gli estensori delle politiche pubbliche a virare da una concezione localistica del riutilizzo a una visione di filiera articolata e complessa, piena di rivoli e interstizi che rischiano di sfuggire di mano, al pari di qualsiasi filiera di recupero dei rifiuti; in questo scenario anche per le filiere del riutilizzo, esattamente come è accaduto con le filiere del rifiuto, introdurre una cabina di regia EPR risulterà un’opzione attraente, se non indispensabile.
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