“Che sta succedendo al mondo della finanza sostenibile?”. È la domanda che sei mesi fa si poneva Il Sole 24 Ore. Il quotidiano di Confindustria faceva notare che “sembrano ormai tramontati i giorni delle lettere di Larry Fink, numero uno della più grande società di asset management al mondo BlackRock (circa 10mila miliardi di dollari in gestione), che chiedeva ai manager di mezzo mondo di investire in modalità ESG”.
In questa torrida estate, in cui sempre più persone sono costrette a riconoscere l’inevitabilità (irreversibilità?) del collasso climatico, la domanda è ancora attuale. Specie perché, nonostante i tanti sforzi, il mondo della finanza sostenibile sembra essersi confermato pieno di buone intenzioni ma non di altrettante pratiche: da una parte valgono le autovaluzioni delle imprese o gli affidamenti a società specializzate che però, questa è la sensazione più diffusa, vengono selezionate proprio affinché forniscano risultati positivi; dall’altra i criteri ESG (Environmental, Social, Governance, cioè una sostenibilità ambientale, sociale, organizzativa) sono difficilmente valutabili in maniera univoca.
A luglio l’esperto Alessandro Volpi faceva notare sul proprio profilo Facebook che “la principale agenzia mondiale di attribuzione dei rating ESG è MSCI, che ha per azionisti di riferimento Vanguard, Black Rock e State Street, detentori di circa il 25% dell’azionariato dell’agenzia, a cui va aggiunto un altro 10% nelle mani di fondi partecipati dai primi tre. Dunque i parametri di sostenibilità sociale, ambientale e finanziaria sono assegnati da una agenzia di proprietà dei padroni del mondo. Il capitalismo si veste dal proprio migliore stilista per assumere i caratteri del grande benefattore”.
Ma quella di Volpi non è l’unica lettura possibile.
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Per capire la finanza sostenibile bisogna superare i pregiudizi
In questi anni va registrato il lavoro indefesso, preciso e appassionato del Forum per la Finanza Sostenibile: si tratta della più nota associazione italiana del settore, nata nel 2001 con l’obiettivo di incoraggiare l’inclusione dei criteri ambientali, sociali e di governance (ESG) nei prodotti e nei processi finanziari. La base associativa è multi-stakeholder: ne fanno parte operatori finanziari e altre organizzazioni interessate all’impatto ambientale e sociale degli investimenti. Con oltre 20 anni di esperienza e una cinquantina di ricerche pubblicate, il sito del Forum per la Finanza Sostenibile è una lettura imprescindibile per chi vuole saperne di più.
A tal proposito segnaliamo qui due ricerche che ci appaiono particolarmente importanti. La prima, più recente, si intitola “Finanza sostenibile e biodiversità. Una guida per gli operatori” ed è stata realizzata con il supporto di ADVANT Nctm, AXA Investment Managers ed Etica Egr. Lo scopo della ricerca è di “aumentare la consapevolezza sull’importanza della biodiversità anche dal punto di vista economico e finanziario, e fornire indicazioni concrete a investitori, banche e compagnie di assicurazione”.
Come ricorda il report, ogni giorno nel mondo scompaiono circa 50 specie viventi, un tasso che si stima fino a 1.000 volte superiore a quello di estinzione naturale (dati ISPRA). Gli ecosistemi necessitano urgentemente di azioni di conservazione e ripristino: è fondamentale dunque riorientare anche il mercato dei capitali in modo da colmare il gap di risorse per la biodiversità (che arriva, secondo le stime, fino a 824 miliardi di dollari all’anno) e ridurre gli investimenti con impatto negativo sulla natura.
“Gli operatori finanziari – si legge – possono adottare diversi strumenti, metodologie e approcci per tenere in considerazione la biodiversità nei loro processi e prodotti: indicatori per analizzare i piani di transizione degli emittenti; esclusioni e disinvestimento per i settori, le aziende e i Paesi con gli impatti più negativi sulla biodiversità; green bond e Sustainability-Linked Bond per finanziare progetti di conservazione o ripristino degli ecosistemi; certificati legati alla natura e crediti di biodiversità per attestare miglioramenti quantificabili; coperture assicurative ad hoc per mitigare i rischi fisici e di transizione, anche grazie a nature-based solution (soluzioni basate sulla natura, su cui abbiamo scritto qui, nda)”.
L’altro report che vogliamo segnalarvi è più datato (risale a novembre 2023) ma attualissimo. Si intitola “La finanza sostenibile oltre i pregiudizi” e si prefigge lo scopo di “esaminare alcuni dei principali argomenti sollevati a riguardo, offrendo un’analisi basata sul quadro di riferimento europeo per sfatare tali critiche e mettere in evidenza i benefici concreti offerti dalla finanza sostenibile. Attraverso argomentazioni basate su prove tecniche e scientifiche, il Forum mira a ribadire l’importanza della finanza sostenibile come motore del progresso economico, sociale e ambientale”.
Dunque “il paper risponde a dieci falsi miti, spesso diffusi da fonti basate su opinioni ideologiche e politiche o condizionate da lobby, offrendo un’analisi chiara e puntuale in cui, pur riconoscendo le questioni ancora aperte, si evidenzia che la finanza sostenibile non solo crea valore a lungo termine e riduce i rischi, ma ha anche un impatto positivo su aziende, comunità e il sistema finanziario nel suo insieme”.
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I colori preferiti della finanza sostenibile UE? Il nero e il grigio
Da tempo l’Unione Europea sta provando a ritagliarsi un ruolo decisivo nel mondo della finanza sostenibile. La “nuova” Commissione presieduta da Ursula von der Leyen dovrà proseguire i tavoli lasciati aperti dalla “vecchia” Commissione (anch’essa guidata da von der Leyen): la tassonomia, la direttiva sulla rendicontazione delle informazioni non finanziarie da parte delle imprese (Non Financial Reporting Directive, NFRD), il regolamento sull’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (Sustainable Finance Disclosure Regulation, SFDR), i green bond e molto altro.
Uno sforzo innegabile che tuttavia fa registrare ancora un percorso opaco. Lo ha denunciato il portale Climate Home, che ha scoperto che molti fondi denominati green, e soprattutto regolamentati come tali dall’UE, detengono in realtà azioni per un valore di almeno 65 milioni di dollari nelle principali società del carbone in Cina, India, Stati Uniti, Indonesia e Sud Africa. Ricordiamo che il carbone, il cui uso è ancora massicciamente diffuso in quasi tutti i continenti, è la più inquinante delle fonti fossili, che a loro volta sono le principali responsabili del collasso climatico in atto.
“Gli investimenti sono di proprietà di importanti società finanziarie – si legge – tra cui BlackRock, Goldman Sachs e Fideuram, una controllata della più grande banca italiana Intesa Sanpaolo. La maggior parte delle aziende analizzate sono firmatari della Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ), i cui membri si impegnano ad allineare i loro portafogli con investimenti rispettosi del clima. I gestori patrimoniali hanno detto a Climate Home che le loro proprietà di carbone non contraddicono le politiche verdi dell’UE o l’accordo di Parigi del 2015 per affrontare i cambiamenti climatici”.
Parafrasando un noto detto, la strada per una reale finanza sostenibile è lastricata di buone intenzioni.
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