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giovedì, Novembre 14, 2024

La liberazione animale passa per i femminismi. Intervista a Federica Timeto

Antispecismo, ecofemminismo ed ecovegfemmismo: Federica Timeto, docente all’Università Ca Foscari di Venezia e scrittrice, ci aiuta a fare chiarezza tra concetti e definizioni utili a delineare una società in divenire che ha bisogno di guardare al mondo animale con occhi nuovi

Cristina Petrucci
Cristina Petrucci
Socia di Tuba quindi femminista e accanita lettrice. Da sempre appassionata di Medio Oriente, scrive e pensa solo dopo aver verificato sul campo

Federica Timeto insegna Studi culturali e studi della tecnoscienza all’Università Ca Foscari di Venezia, si definisce ecotransfemminista e antispecista. Ha da poco pubblicato con Tamu il libro Animali si diventa, femminismi e liberazione animale. Ne parliamo insieme.

Partiamo dal titolo del libro.

liberazione animaleCi sono diversi femminismi e tra questi femminismi non necessariamente la questione dello specismo e l’ideologia specista sono tematizzati. Diciamo che l’incontro tra il femminismo e l’antispecismo è abbastanza recente mentre tra il femminismo e la questione animale può essere datato alla fine dell’Ottocento. Le femministe a cavallo tra la fine dell’Ottocento e primi del Novecento partono da posizionamenti molto diversi fra di loro, che vanno dal socialismo all’anarchismo al riformismo, alle azioni dirette. Molte di loro compiono anche azioni violente, per esempio ingaggiano forme di protesta come lo sciopero della fame anche per mostrare la animalizzazione delle donne. Quindi in realtà la questione animale entra già prepotentemente in questo tipo di femminismo, che noi conosciamo come suffragista. Però il tema viene discusso in termini più che altro di analogia cioè le donne trattate come gli animali e quindi gli animali da proteggere e le donne da liberare; oppure gli animali addomesticati e le donne addomesticate nello spazio domestico, e quindi questo parlare di animali, occuparsi di animali, offre alle donne la possibilità sia di parlare della loro condizione ma anche di occupare lo spazio pubblico come attiviste, di uscire dalle pareti di casa e di fare politica. Anche se parlare di protezione degli animali comporta sempre una elargizione di diritti che mantiene sempre al suo centro l’umano.

Quando si arriva quindi a coniare la parola antispecismo

Quando parliamo di antispecismo partiamo da una lotta in cui non c’è una distinzione tra diritti umani e diritti animali e tra viventi umani e viventi non umani perché i viventi umani sono chiaramente anche animali. La definizione di antispecismo nasce nel 1970 ad Oxford per protestare nella strade della città soprattutto contro la sperimentazione sugli animali, o sull’uso di abbigliamento legato agli animali quali le penne, le piume, la pelle e le pellicce. Viene coniato da Richard Ryder nell’Oxford Group che è composto da attivisti soprattutto universitari sia docenti che studenti. È già un primo momento in cui si crea questo ponte tra l’Accademia e la strada, ed è questa una caratteristica che rimarrà tipica dell’antispecismo a cavallo tra la teoria e prassi. È su questo che si avvicina al femminismo che critica da sempre il dualismo. A partire dagli anni 80 e 90 si evolve verso l’ecovegfemminismo, non solo quindi ecofemminismo in generale ma ecofemminismo legato anche alla pratica del veganismo. E poi questo pensiero si istituzionalizza a metà anni 2000, cioè ritorna ancora una volta dentro l’accademia con i primi corsi, le prime riviste, le prime associazioni.

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Quindi ecofemminismo e ecovegfemmismo non sono la stessa cosa?

No. Intanto ecovegfemminismo è un termine che è stato coniato in Italia dall’antropologa e psicologa Annalisa Zabonati e non è un termine riconosciuto all’estero. Quindi l’attivista Carol J. Adams non si definisce una ecovegfemminista. Però è un termine comodo perché differenzia l’ecofemminismo in generale con l’ecofemminismo attento alla questione animale. Quindi se parliamo dell’ecofemminismo in generale sappiamo che c’è sicuramente una attenzione all’ecologia, alle questioni della natura, alla lotta contro il nucleare e anche all’ambiente, ma non c’è un focus così netto sulla questione animale come invece nel pensiero ecovegfemminista che possiamo far risalire ad Adams e al suo famoso testo The Sexual Politics of Meat del 1990 e che verrà tradotto in italiano con Carne da macello. La politica sessuale della carne soltanto venti anni dopo nel 2020. L’ecofemminismo in generale ha comunque una matrice marxista e è raro che affronti la questione animale nello specifico.

Federica timeto liberazione animale
Federica Timetu | Foto: Claudia Persimoni per Festival Internazionale del Giornalismo
Nel tuo libro parli molto dell’intersezionalità tra razzismo, animalizzazione e colonialismo.

I processi di animalizzazione riguardano sia gli umani che gli animali cioè qualsiasi vivente può essere animalizzato in senso ovviamente negativo e viceversa può essere più o meno umanizzato, pure gli animali possono essere umanizzati. Ovviamente è un processo gerarchico, perché se uno animalizza lo fa per subordinare e dominare, per marginalizzare. Tutti processi che sono stati messi ben evidenza da un’altra importante ecovegfemminista, la filosofa australiana Val Plumwood di cui parlo nella parte centrale del libro che è la più teorica. Quindi se nel primo capitalo analizza le teorie delle femministe bianche queste cominciano a vacillare quando ci si avvicina al secondo capitolo in cui discuto della posizione antispecista dell’intersezionalità e l’apporto della teoria femminista della razza al pensiero antispecista che allarga molto di più e problematizza il femminismo bianco occidentale e lo complica perché inserito in una serie di relazioni molto più complesse.

Anche i nuovi materialismi danno un apporto molto importante alla teoria antispecista e così pure il tecnofemminismo o la filosofia femminista della scienza.

E questo come si lega alla storia dell’evoluzione della specie e a Darwin?

Questo è importante. Nello specifico l’ecovegfemminismo non è particolarmente attento alle questioni della scienza, addirittura la matrice per alcune pensatrici è teologica come per Adams per esempio. Invece il cyber e techno femminismo per esempio di Donna Haraway che incontra il post umanesimo e che incontra i nuovi materialismi femministi è un pensiero che ha una matrice più scientifica, che riflette sulla evoluzione della specie e che per esempio con Haraway recupera le nozioni come quella di simpoiesi che vengono chiaramente dalla biologia e dalla scienza e che rileggono in questa chiave l’evoluzione. Cioè nella chiave del mutualismo e della collaborazione che è uno degli altri punti che unisce l’antispecismo al pensiero anarchico.

Quindi il divenire è anche nel titolo del mio libro non solo perché si diventa anche con gli animali ma anche perché l’animalità cioè la vita animale è in continuo divenire e in questo è un continuo intreccio di relazioni tra specie diverse, di attraversamenti di specie, di corpi che sono porosi e che non possono esistere senza l’altro.

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In questo periodo storico, il turbocapitalismo spinge sempre di più al consumo giornaliero di carne e quindi agli allevamenti intensivi. Parallelamente c’è una generazione, a partire da Greta Thunberg, che ha posto nell’agenda politica temi quali l’ecologia, ma anche la Palestina. Quanto si intrecciano questi argomenti?

È importante notare che per esempio oggi la politica delle nuove generazioni è una politica che ha perfettamente presente questa interconnessione delle vite e questa interdipendenza dei problemi. L’approccio delle proteste studentesche alla questione palestinese, penso anche all’Università dove io insegno e dove ancora l’occupazione continua e questo è veramente molto lodevole e sicuramente anche molto serio da parte di studenti e studentesse che stanno portando avanti una riflessione che appunto è una riflessione intersezionale e che ha la sua origine anche nell’attenzione per l’ecosistema dove ovviamente la questione Palestinese rientra a pieno titolo. Infatti quello palestinese non è solo un genocidio di esseri umani ma è un vero e proprio ecocidio cioè è uno sterminio totale della vita che riguarda l’acqua, che riguarda la terra, che riguarda la vita vegetale, che riguarda la vita animale e che riguarda anche la vita umana che è chiaramente dipendente e interdipendente con tutte queste cose.

Dalla scarsità d’acqua alla distruzione dei raccolti, alla distruzione dei campi da parte dell’esercito israeliano e degli ulivi che sono una delle prime risorse della popolazione palestinese ma anche al totale e del tutto inavvertito a livello mediale, sterminio degli animali non umani di cui non si sa nulla anche in termini di cifre, dell’uccisione degli animali non umani a Gaza perché di fatto non è mai importato niente a nessuno. Come dice sempre Haraway sono le classiche vite che non vengono neanche contate nelle rilevazioni demografiche e che sarebbe necessario fare in chiave multi specie. Le nuove generazioni di questo sono perfettamente consapevoli come anche che la Palestina chiama direttamente in causa lo specismo perché quella palestinese è oggi tra le popolazioni più animalizzate a scopi chiaramente ideologici per essere sterminate perché vengono in questo modo rese uccidibili. Se animalizzi in maniera essenziale un corpo secondo l’ideologia occidentale sedicente democratica lo puoi ammazzare. O è una risorsa oppure è semplicemente qualcosa da eliminare.

Ci sono riflessioni all’interno della comunità palestinese su questo?

Assolutamente sì. C’è una ampia letteratura che ho anche raccolto perché quest’anno ho dedicato il mio corso all’Università su Colonialismo animali e Palestina. Quindi si c’è una riflessione molto viva che viene anche dall’interno ed esistono anche delle associazioni animaliste in realtà quella ufficiale è una sola ed è Sulala Animal Rescue a Gaza e che si trova anche in difficoltà perché effettivamente non riesce a fare la conta dei morti animali perché non esistono delle statistiche precedenti al 7 ottobre. Poi ci sono delle riflessioni che vengono dal femminismo per esempio o delle riflessioni che addirittura vanno indietro nel tempo e raccontano come le tecnologie riproduttive israeliane, essendo un paese sempre all’avanguardia sulle bio tecnologie e le tecnologie produttive, hanno sempre riguardato insieme i corpi delle donne e i corpi delle animali non umane per esempio le vacche da latte importate perché in Palestina non esisteva questo tipo di animale c’erano soprattutto ovini a causa del clima. Su internet si può trovare tanto materiale anche sul veganwashing.

Uno dei tuoi ultimi paragrafi pone una riflessione molto attuale: ti chiede se uccidere sia inevitabile?

Ecco uccidere purtroppo è inevitabile ma uccidere consapevolmente è assolutamente evitabile. Questa domanda io me la pongo insieme ad Haraway perché è lei che per la prima volta ha fatto questa riflessione secondo me assolutamente brillante sul fatto che nessun è mai totalmente innocente soprattutto oggi che viviamo in un mondo globalizzato e connesso. Se cominciassimo ad osservare questo qualcosa a cui siamo connessi e ci rendessimo conto che possiamo conoscere queste relazioni e possiamo farci responsabili di queste relazioni quindi uccidere non è evitabile ma sicuramente è evitabile come conseguenza della nostra conoscenza. Cioè se io so quello che so, se io ho studiato quello che ho studiato sullo sfruttamento animale non posso da femminista chiaramente restare con le mani in mano, devo mettere in atto una serie di pratiche che sono etiche e che sono politiche, che mi consentono di rispettare il più possibile l’altra da me, che poi vuol dire rispettare me stessa e la relazione che ho con me. Quindi assumere un posizionamento consapevole significa rendersi responsabili della vita altrui, di quella di cui ovviamente possiamo essere responsabili. È chiaro che ognuna di noi vive in un luogo, vive in una serie di relazioni più o meno circoscritte, che però ha il dovere di curare e soprattutto di conoscere e rispettare.

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