Attese, quasi invocate, le linee guida sull’agrivoltaico sono adesso realtà. Fino a questo momento, infatti, gli operatori e gli agricoltori si erano mossi in maniera sparsa per realizzare impianti fotovoltaici in terreni agricoli, con lo scopo di integrare energia e coltura. Tra una crisi energetica e una guerra, il gruppo di lavoro coordinato dal ministero della Transizione Ecologica ha messo a punto, come si legge sul sito del MiTE, “le caratteristiche minime e i requisiti che un impianto fotovoltaico dovrebbe possedere per essere definito agrivoltaico, sia per ciò che riguarda gli impianti più avanzati, che possono accedere agli incentivi PNRR, sia per ciò che concerne le altre tipologie di impianti agrivoltaici, che possono comunque garantire un’interazione più sostenibile fra produzione energetica e produzione agricola”.
A far parte del gruppo che ha redatto le linee guida sono gli esperti e le esperte del Crea – il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, di ENEA – l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, del GSE – Gestore dei servizi energetici, e di RSE – Ricerca sul sistema energetico.
Ma cosa prevedono queste linee guida? E quanto potrebbero contribuire a una minore dipendenza dai combustibili fossili? Domande fondamentali in questa calda estate che preannuncia un inverno particolarmente preoccupante, con la Russia che sembra sempre più intenzionata a tagliare del tutto i rifornimenti di gas all’Unione europea, dopo i pesanti tagli degli scorsi giorni. Un problema enorme soprattutto per il nostro Paese, che fino all’anno scorso dipendeva per il 40% dei propri consumi proprio dai gasdotti russi.
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Definizioni e incidenze dell’agrivoltaico
Prima di entrare nel merito del documento di 39 pagine che mira a diventare il punto di riferimento per chi vorrà cimentarsi con l’agrivoltaico (in attesa di una legge ad hoc), vale la pena ricordare che per lo sviluppo di questa energia il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto un investimento di 1,1 miliardi di euro, con lo scopo di installare una capacità produttiva pari a 1,04 gigawatt. Serve dunque partire dalle definizioni. Quando siamo in presenza di un impianto agrivoltaico? Le linee guida pubblicate dal MiTe definiscono due condizioni. Si parla di impianto agrivoltaico quando:
- “adotta soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione
- prevede la contestuale realizzazione di sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici”
Se la prima definizione è ormai assodata, anche a livello internazionale, una parziale novità giunge dal secondo punto, in cui si introduce un obbligo di monitoraggio – ampio e su diversi fronti – che potrebbe scoraggiare qualche operatore, soprattutto piccole e medie imprese, per la complessità delle operazioni richieste.
Se è vero, come si legge nelle linee guida, che “il settore agricolo da sempre si caratterizza per una forte integrazione con gli altri settori, molto spesso per contrastare il fenomeno di bassi redditi derivanti dall’attività primaria”, è altrettanto innegabile che uno dei costi maggiori che le imprese agricole devono affrontare, specie con l’aumento dei prezzi di questi mesi, è proprio quello relativo all’energia. Ecco perché l’installazione di impianti agrivoltaici sarebbe quantomeno auspicabile, almeno per l’autoconsumo e soprattutto per compensare la povertà energetica del nostro Paese.
“I costi di approvvigionamento energetico a carico delle aziende agricole, includendo anche fonti fossili per carburante e combustibile, rappresentano oltre il 20% dei costi variabili, con percentuali più elevate per alcuni settori produttivi, quali ad esempio gli erbivori e i granivori (circa 30%). Pertanto, investimenti dedicati all’efficientamento energetico e alla produzione di energia rinnovabile per l’autoconsumo si traducono in un abbattimento di costi in grado di innalzare, anche sensibilmente, la redditività agricola”.
Per le imprese agricole, dunque, il documento del MITe suggerisce di diversificare la produzione, puntando anche alla distribuzione di energia. Specie perché ciò si inserisce anche nelle richieste della PAC, la Politica Agricola Comune che l’Europa mette in campo e che si traduce spesso in aiuti e sovvenzioni a imprese che, senza di questi, non sarebbero in grado di reggere economicamente.
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Caratteristiche e requisiti dell’agrivoltaico
“Un sistema agrivoltaico è un sistema complesso – si legge ancora nelle linee guida – essendo allo stesso tempo un sistema energetico ed agronomico. In generale, la prestazione legata al fotovoltaico e quella legata alle attività agricole risultano in opposizione, poiché le soluzioni ottimizzate per la massima captazione solare da parte del fotovoltaico possono generare condizioni meno favorevoli per l’agricoltura e viceversa. Ad esempio, un eccessivo ombreggiamento sulle piante può generare ricadute negative sull’efficienza fotosintetica e, dunque, sulla produzione; o anche le ridotte distanze spaziali tra i moduli e tra i moduli e il terreno possono interferire con l’impiego di strumenti e mezzi meccanici in genere in uso in agricoltura. Ciò significa che una soluzione che privilegi solo una delle due componenti – fotovoltaico o agricoltura – è passibile di presentare effetti negativi sull’altra. È dunque importante fissare dei parametri e definire requisiti volti a conseguire prestazioni ottimizzate sul sistema complessivo, considerando sia la dimensione energetica sia quella agronomica”.
Il documento passa poi in rassegna alcune esperienze già acquisite di agrivoltaico, soprattutto in Francia e in Germania. Con alcuni risultati che possiamo dare ormai per certi. Ci sono dunque le colture non adatte a integrarsi con l’installazione di pannelli fotovoltaici, cioè “le piante con un elevato fabbisogno di luce, per le quali anche modeste densità di copertura determinano una forte riduzione della resa come ad esempio frumento, farro, mais, alberi da frutto, girasole. Ci sono poi le colture poco adatte, ad esempio “cavolfiore, barbabietola da zucchero, barbabietola rossa”; le colture adatte “per le quali un’ombreggiatura moderata non ha quasi alcun effetto sulle rese (segale, orzo, avena, cavolo verde, colza, piselli, asparago, carota, ravanello, porro, sedano, finocchio, tabacco); infine le colture mediamente adatte come “cipolle, fagioli, cetrioli, zucchine” e le colture molto adatte, “ovvero colture per le quali l’ombreggiatura ha effetti positivi sulle rese quantitative come ad esempio patata, luppolo, spinaci, insalata, fave”.
Una volta stabilite le possibili combinazioni, serve poi garantire che la produzione energetica non soppianti quella agricola. Ecco perché gli esperti e le esperte consultate da MiTe suggeriscono che “si dovrebbe garantire sugli appezzamenti oggetto di intervento che almeno il 70% della superficie sia destinata all’attività agricola, nel rispetto delle buone pratiche agricole”. Un modo, dunque, per impedire quelle enormi distese di fotovoltaico in campi agricoli, marginali e non, che finora hanno caratterizzato il paesaggio.
E ancora “la configurazione spaziale del sistema agrivoltaico, e segnatamente l’altezza minima di moduli da terra, influenza lo svolgimento delle attività agricole su tutta l’area occupata dall’impianto agrivoltaico o solo sulla porzione che risulti libera dai moduli fotovoltaici. Nel caso delle colture agricole, l’altezza minima dei moduli da terra condiziona la dimensione delle colture che possono essere impiegate (in termini di altezza), la scelta della tipologia di coltura in funzione del grado di compatibilità con l’ombreggiamento generato dai moduli, la possibilità di compiere tutte le attività legate alla coltivazione e al raccolto. Le stesse considerazioni restano valide nel caso di attività zootecniche, considerato che il passaggio degli animali al di sotto dei moduli è condizionato dall’altezza dei moduli da terra (connettività)”. Le altezze previste sono:
1,3 metri nel caso di attività zootecnica (altezza minima per consentire il passaggio con continuità dei capi di bestiame);
2,1 metri nel caso di attività colturale (altezza minima per consentire l’utilizzo di macchinari funzionali alla coltivazione)
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Il monitoraggio dell’agrivoltaico
Come indicano le linee guida, “i valori dei parametri tipici relativi al sistema agrivoltaico dovrebbero essere garantiti per tutta la vita tecnica dell’impianto”. Ecco perché “l’attività di monitoraggio è utile sia alla verifica dei parametri fondamentali, quali la continuità dell’attività agricola sull’area sottostante gli impianti, sia di parametri volti a rilevare effetti sui benefici concorrenti”. Affinché si sia in presenza di un effettivo impianto agrivoltaico, sarà dunque necessario garantire il risparmio idrico (ancor più fondamentale con la siccità che grava sui terreni di tutta Italia), il recupero della fertilità del suolo, il microclima, la resilienza ai cambiamenti climatici. Si tratta di requisiti difficili da garantire di per sè, figurarsi con impianti fotovoltaici di grosse dimensioni. Non è un caso che per ciascuno di questi parametri il documento scenda poi nel dettaglio, descrivendo le modalità con cui dovranno essere monitorati.
Per quanto riguarda ad esempio il risparmio idrico, basti pensare che un efficace impianto agrivoltaico non solo può garantire un maggior ombreggiamento (e dunque una minore necessità di acqua) ma può costituire anche “un’efficace infrastruttura di recupero delle acque meteoriche che, se opportunamente dotato di sistemi di raccolta, possono essere riutilizzate immediatamente o successivamente a scopo irriguo”.
Sul microclima, invece, chi vorrà installare un impianto agrivoltaico dovrà dotarsi di “sensori di temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria unitamente a sensori per la misura della radiazione posizionati al di sotto dei moduli fotovoltaici e, per confronto, nella zona immediatamente limitrofa ma non coperta”. Allo stesso tempo, per fronteggiare la crisi climatica in atto viene chiesto un duplice sforzo:
- in fase di progettazione il progettista dovrebbe produrre una relazione recante l’analisi dei rischi climatici fisici in funzione del luogo di ubicazione, individuando le eventuali soluzioni di adattamento;
- in fase di monitoraggio il soggetto erogatore degli eventuali incentivi verificherà l’attuazione delle soluzioni di adattamento climatico eventualmente individuate nella relazione di cui al punto precedente (ad esempio tramite la richiesta di documentazione, anche fotografica, della fase di cantiere e del manufatto finale).
Come si nota, si tratta di richieste che vanno a rendere più complessa l’installazione e la gestione di un impianto agrivoltaico. Da ciò probabilmente deriva l’ultima parte delle linee guida, in cui si specifica che non si tratterà di impianti “popolari”. Ad esempio si suggerisce che “una delle opzioni da prendere in considerazione è quella di individuare un perimetro di soggetti che meglio si adattano a realizzare la produzione combinata di energia e prodotti agricoli”, attraverso magari un’associazione temporanea di imprese. Allo stesso tempo nella distribuzione dei fondi Pnrr si specifica che saranno favoriti sistemi digitali e di precisione.
Per essere ancora più chiari, le “spese di investimento connesse alla realizzazione di un impianto agrivoltaico sono connesse generalmente alle seguenti categorie:
moduli fotovoltaici;
inverter;
strutture fisse o ad inseguimento solare per il montaggio dei moduli;
componentistica elettrica (organi di manovra e protezione, cavi, cavidotti, quadri elettrici, cabine elettriche di campo, trasformatori, sensori elettrici e meteorologici);
progettazione, direzione lavori, collaudi, opere per la sicurezza;
preparazione del sito di installazione e posa in opera;
recinzione;
connessione alla rete”
Insomma: l’agrivoltaico potrebbe non essere alla portata di tutti.
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