Le politiche climatiche da sole non sono sufficienti ad arrestare il peggioramento costante fino al 2100 di quasi tutti i planetary boundaries. Serve un approccio più ampio e sistemico nella formulazione delle politiche, che vada oltre il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità, tenendo conto delle sinergie e dei compromessi tra i diversi limiti planetari: politiche climatiche ambiziose, combinate con una dieta con ridotto consumo di carne, riduzione degli sprechi alimentari, uso efficiente dell’acqua possono arrestare e in alcuni casi invertire i danni ai processi del sistema Terra.
Lo ribadisce un nuovo studio dedicato ai planetary boundaries e pubblicato recentemente sulla rivista Nature, dal titolo “Exploring pathways for world development within planetary boundaries” (Esplorare percorsi per lo sviluppo mondiale all’interno dei confini planetari). Tra gli autori dello studio Johan Rockström dello Stockholm Resilience Centre, che per la prima volta insieme a un gruppo di altri scienziati ha proposto questo concetto nel 2009. I planetary boundaries, in italiano confini o limiti planetari, sono una serie di soglie ecologiche che secondo la scienza delimitano lo “spazio operativo sicuro” del pianeta Terra, che non dovrebbero mai essere superati per mantenere un ambiente stabile e favorevole alla vita.
Sono nove: il cambiamento climatico, l’impoverimento dello strato di ozono, l’acidificazione degli oceani, l’alterazioni dei cicli di acqua dolce, il carico di aerosol atmosferico, nuove entità (sostanze chimiche e sintetiche come le microplastiche), integrità della biosfera, modifica dei flussi biogeochimici e cambiamento del sistema Terra. Le soglie rappresentano solitamente livelli oltre i quali lo stress ambientale potrebbe portare a un degrado sistemico su larga scala e potenzialmente irreversibile.
Questa teoria dei limiti planetari ha attirato notevole attenzione sia dal mondo scientifico che da quello politico. L’Unione Europea, ad esempio, indica nel suo 8º Programma d’azione ambientale che, entro il 2050 al più tardi, gli europei dovrebbero “vivere bene, entro i limiti planetari”. Eppure l’ultima valutazione fatta dagli scienziati nel 2015 mostra che sei dei nove limiti planetari sono già stati superati, con le uniche eccezioni della riduzione dello strato di ozono, che è in miglioramento.
Un modello integrato di valutazione per previsioni attendibili dei planetary boundaries
Il modello per la definizione dei panetary boundaries, perché possa tradursi in politiche che permettano di ridurre le pressioni ambientali e rientrare all’interno dei limiti planetari, oltre a fotografare l’evoluzione storica e la situazione attuale, deve essere applicato anche per monitorare le tendenze future e mostrare le conseguenze di diverse decisioni politiche legate allo sviluppo sostenibile. La capacità di valutare le tendenze nel tempo può aiutare a esplorare le conseguenze di decisioni politiche alternative e a identificare percorsi per vivere entro i limiti planetari.
In questo studio i ricercatori hanno utilizzato il Modello Integrato per Valutare l’Ambiente Globale (IMAGE) per proiettare le variabili di controllo di otto dei nove limiti planetari secondo scenari alternativi fino al 2050, sia in presenza di misure ambientali forti sia in assenza di interventi. IMAGE affronta gli impatti dei futuri sistemi energetici e agricoli su problematiche ambientali globali come il cambiamento climatico, i cicli biogeochimici, l’inquinamento atmosferico, la perdita di biodiversità e la scarsità d’acqua. Questi sistemi sono stati identificati come principali fattori del degrado ecologico su scala globale.

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I risultati dell’analisi nello scenario mitigazione cambiamenti climatici
“I risultati mostrano che, con le tendenze e le politiche attuali – si legge nello studio – la situazione è destinata a peggiorare entro il 2050 per tutti i limiti planetari, ad eccezione della riduzione dello strato di ozono. Interventi mirati, come l’attuazione dell’Accordo di Parigi sul clima, possono ridurre efficacemente il livello di superamento dei limiti planetari, orientando l’umanità verso una traiettoria più sostenibile (a condizione che possano essere attuati, tenendo conto della fattibilità sociale e istituzionale)”.
Per prima cosa, dunque, i ricercatori hanno studiato l’impatto delle politiche da attuare se si vuole raggiungere l’obiettivo di 1,5 °C previsto dall’Accordo di Parigi. La drastica riduzione dei combustibili fossili è essenziale, ma non consente comunque di rientrare nel confine planetario per il cambiamento climatico entro il 2050, sebbene naturalmente le emissioni nette negative di CO₂ comportino una riduzione degli effetti del riscaldamento globale.
I principali fattori di inerzia che impediscono di rientrare nella soglia sicura del confine planetario entro il 2050 includono: i processi del sistema Terra (ad esempio, il rilascio di CO₂ dagli oceani nell’atmosfera dopo aver raggiunto una concentrazione di picco), i limiti tecnologici e fisici al potenziale delle emissioni negative (ad esempio, la disponibilità di terre per riforestazione e bioenergia, così come il potenziale di sequestro), e la velocità ridotta dei cambiamenti sociali.
Lo scenario di mitigazione climatica porta benefici grazie a un effetto sinergico anche per quanto riguarda l’alterazione dei flussi di azoto, l’inquinamento atmosferico e, in parte, per il cambiamento negli usi del solo, grazie a interventi come l’abbandono dei combustibili fossili, la riduzione delle emissioni di N₂O (protossido di azoto: un gas serra particolarmente potente) e la riforestazione. Tuttavia i progressi sono insufficienti ad evitare che in questo scenario la trasgressione dei confini planetari nel 2050 sia peggiore rispetto al 2015. Vi sono anche compromessi da raggiungere, in particolare legati al crescente utilizzo di bioenergia, che aumenta la pressione sull’utilizzo del suolo. Nonostante ciò, l’effetto netto resta leggermente positivo grazie a un’ulteriore riforestazione.
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Servono politiche ancora più ambiziose e integrate
Una domanda chiave, quindi, è quali politiche ambiziose, ma tecnicamente realizzabili, possano ridurre ulteriormente il superamento dei confini planetari. Nello scenario di sostenibilità, sono considerate un insieme di misure che includono una transizione verso la dieta con minore consumo di carne, il dimezzamento degli sprechi alimentari, un miglioramento significativo nell’efficienza dell’uso dell’acqua e una riduzione dei livelli di azoto.
Lo scenario di sostenibilità mostra chiaramente che è possibile ridurre in modo significativo l’incremento del degrado ambientale entro il 2050. Ciò ridurrebbe la pressione su quasi tutti i confini planetari tornando ai valori del 2015 o, in alcuni casi addirittura migliori (come per gli aerosol, ii disturbi ai flussi biogeochimici – sebbene ancora in stato ad alto rischio – e del cambiamento dell’uso del suolo). Il problema è che, visti i livelli raggiunti nel 2015, il valore di almeno sei dei confini planetari sarebbe comunque oltrepassato.
Il motivo, ancora una volta, è dovuto all’effetto di inerzia, particolarmente evidente nel caso del cambiamento climatico: sebbene negli scenari di sostenibilità c’è una riduzione del riscaldamento globale nel 2050, ci vuole tempo per annullare il superamento delle emissioni fino a quel momento (e per far sì che la temperatura reagisca). Inoltre, mettono in guardia gli autori dello studio, il superamento dei punti critici (tipping points) potrebbe persino peggiorare la situazione.

Per quanto riguarda la biodiversità, l’aggravarsi degli impatti del cambiamento climatico rappresenta un ostacolo significativo alla possibilità di invertire la la tendenza. Tuttavia, le proiezioni al 2100 mostrano che, sebbene sia presente un effetto di inerzia che limita i progressi, è comunque possibile ottenere un miglioramento significativo del clima, e in parte anche della biodiversità, proprio grazie alla riduzione degli impatti climatici nel lungo periodo.
Le tendenze legate al carico di aerosol e all’utilizzo di acqua dolce sono più facilmente reversibili, poiché presentano una minore inerzia biofisica (ad esempio, gli aerosol hanno una permanenza molto breve nell’atmosfera). Per quanto riguarda i nutrienti, le proiezioni al 2100 evidenziano un’inversione del miglioramento iniziale, qualora non si registrino ulteriori progressi in termini di efficienza. Si presume tuttavia che le rese agricole continuino ad aumentare, contribuendo così alla riduzione della superficie coltivata e al miglioramento della biodiversità.
Planetary boundaries: le questioni ancora in sospeso
Il giudizio dei ricercatori, però, non è ottimistico: “Tuttavia, anche in questo scenario, diversi limiti planetari — tra cui il cambiamento climatico, i flussi biogeochimici e la biodiversità — saranno ugualmente superati nel 2050, in parte a causa dell’inerzia. Ciò significa che saranno necessarie misure politiche ancora più efficaci per garantire che si viva realmente entro i limiti planetari”.
Tutte le azioni analizzate nello studio, “nonostante il loro carattere trasformativo” non sono in grado di riportare “il mondo pienamente entro i confini planetari prima del 2050. Questo – spiegano gli autori dello studio – è in parte dovuto al tempo necessario per invertire l’elevata pressione cumulativa e gli alti tassi attuali sulle componenti critiche del sistema Terra, come mostrano anche i risultati al 2100“.
Ci sono, per fortuna, tutta una serie di altre misure aggiuntive che non sono state incluse nello studio e che potrebbero contribuire a tornare sotto i livelli dei confini planetari prima del 2050. Sono, ad esempio la riduzione del consumo di materiali, rallentare il tasso di crescita economica o politiche ambiziose per il controllo dell’inquinamento atmosferico.
Un altro problema su cui sarà necessario concentrare l’attenzione sono i compromessi percepiti tra sostenibilità ambientale e necessità di sviluppo per affrontare la povertà. Tuttavia la Earth Commission, un team internazionale composto da scienziati ambientali e sociali, ha recentemente introdotto valori di soglia socialmente giusti per affiancare quelli biologicamente sicuri.
L’unica certezza, concludono gli autori dello studio è che “l’umanità si trova a un bivio critico. Politiche efficaci possono invertire questa tendenza, ma ciò richiede azioni ambiziose, urgenti e universali. Continuare con l’andamento attuale porterà il mondo verso una direzione sempre più pericolosa“. E il tempo per invertire la rotta, o almeno rallentare la deriva, si sta sempre più assottigliando.
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