C’è una scena iniziale nel documentario Plastic Fantastic della regista tedesca Isa Willinger che rende bene l’idea di come il sistema della plastica sia diventato insostenibile e come lo siano ugualmente le soluzioni prospettate per risolverlo. Vediamo dei montacarichi che trasportano sacchi con un contenuto non identificato e li ammassano sotto terra in una grotta. Solo alla fine si scoprirà che sono le ceneri dei termovalorizzatori che bruciano plastica: non si sa dove metterle e allora vengono sepolte sottoterra.
Ecco, l’idea di risolvere la crisi mondiale della plastica bruciandola spiegata in un’immagine: al massimo è ridurne il volume, ma il problema resta ed è soltanto rimandato. Intanto però la plastica si accumula: nelle città, nei fiumi, nelle spiagge, negli oceani e persino nell’aria. Mentre tonnellate e tonnellate di rifiuti occidentali, dagli abiti del fast fashion alle bottiglie di Coca Cola, invadono l’Africa e il Sudest asiatico, dove sono ammassati in discariche a cielo aperto o vengono scaricati nei fiumi.
Per rendersi conto della dimensione del fenomeno: negli oceani del mondo c’è una quantità di particelle di plastica 500 volte superiore a quella delle stelle della nostra galassia, come si legge nei titoli di testa del documentario Plastic Fantastic, trasmesso alla platea del festival di giornalismo “Le parole giuste”, organizzato da A Sud ed EconomiaCircolare.com, in una proiezione con il patrocinio del Goethe Institute Italia e la partecipazione da remoto della documentarista Isa Willinger, che ha raccontato alla platea la genesi di Plastic Fantastic, il suo ultimo documentario, a pochi anni dal pluripremiato Hi, Ai.
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Plastic Fantastic: conoscere i lobbisti per capire come ci ingannano
Niente di nuovo sotto il sole, si dirà: ma il punto di forza del lavoro di Isa Willinger non è tanto l’inchiesta, perché la crisi della plastica è già stata documentata più e più volte, ma come riesce ad addentrarsi nelle maglie del sistema attorno a cui prolifera l’industria della plastica. Un’industria che ha intenzione di espandere la propria attività nei prossimi decenni, come emerge chiaramente dalle parole dell’amministratore delegato di un’azienda chimica, tra le prime persone intervistate nel documentario.
È questa l’altra caratteristica distintiva di Plastic Fantastic: non incontriamo solo scienziati, attivisti e cittadini, ma lobbisti della plastica e amministratori delegati di aziende chimiche, che con le loro parole sollevano il velo su un’industria altamente redditizia, resa potente dall’influenza del denaro, e che consolida ogni giorno il proprio potere alimentando la dipendenza dell’uomo dalla plastica nella vita quotidiana. Per farlo persuade l’opinione pubblica che questo materiale migliori la nostra esistenza grazie alle tecnologie più avanzate e all’innovazione, nascondendo il fatto che sta invece contribuendo a distruggere il pianeta e la vita degli esseri viventi.

“La plastica serve per conservare gli alimenti e riduce gli sprechi, se non la utilizzassimo scateneremmo una crisi alimentare di proporzioni gigantesche”, sostiene Joshua Baca, del American Chemistry Council, un’associazione di categoria dell’industria della plastica, cercando di minimizzare, “Non possiamo cambiare il passato, guardiamo avanti, a ciò che possiamo fare meglio ora” aggiunge. Piuttosto che smantellare il proprio business le aziende per proteggere il loro giro di affari milionario creano una narrazione più convincente, in cui la plastica è qualcosa di necessario e inevitabile, grazie ai vantaggi come la facilità di lavorazione o la molteplicità di utilizzi.
È interessante notare nel documentario come il loro “campo di battaglia” per influenzare il pubblico ormai non è più soltanto la pubblicità e il marketing, mentre adottano strategie più sofisticate (subdole), come una comunicazione in apparenza interessata alla sostenibilità e all’ambiente, che in realtà è puro greenwashing, non risparmiando neppure le scuole: Plastics Europe distribuisce kit in tutta la Germania affinché i bambini possano fare esperimenti creando oggetti in plastica in classe, in un’attività divertente pensata per farli familiarizzare con la plastica e combattere l’allarme diffuso sugli imballaggi che creano inquinamento.
A parlare ai bambini vediamo Ingemar Bühler, direttore generale di Plastics Europe: la sua comunicazione è ragionevole, pacata, ma resta il messaggio di fondo della narrazione ribaltata: il problema sono le discariche, la gestione dei rifiuti, i comportamenti dei cittadini e non l’industria della plastica, impegnata a innovare e cercare prodotti sempre meno ingombranti e a impatto ridotto.
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Plastic Fantastic denuncia i danni della plastica alla salute delle persone
Invece la questione è ancora più grave dell’inquinamento ambientale e i danni alla salute appaiono in tutta la loro drammatica evidenza dai racconti dei cittadini costretti a vivere ai margini di una inquinante industria chimica della Louisiana, negli Stati Uniti, dove nella comunità a basso reddito e a maggioranza afroamericana di St. James Parish, il cancro dilaga tra gli abitanti, come spiega a Isa Willinger l’attivista Sharon Lavigne dell’associazione di cittadini RISE.
Mentre il chimico e ingegnere dei processi Michael Braungart evidenzia altri problemi per la salute legati alla plastica. “Nel fiume Elba la metà di tutta la microplastica che si trova lì proviene dall’abrasione degli pneumatici”, spiega il professore dell’Università Leuphana di Lüneburg. Nato nel 1958, aggiunge: “La fertilità della generazione più giovane si è dimezzata rispetto alla mia generazione”. Mentre una professoressa che vive alle Hawaii e raccoglie la plastica nelle spiagge dell’arcipelago ricorda come le microplastiche rilasciate dai nostri abiti le respiriamo continuamente e si accumulano nei polmoni, penetrano nelle cellule e nel cervello, aumentando il rischio di tumori.
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Il greenwahsing intorno al riciclo e le bioplastiche
Eppure la quantità di rifiuti da imballaggio che oggi si produce in Germania è il doppio di quella che si produceva nel 1995, si scopre vedendo Plastic Fantastic. La Germania è tra i primi Paesi al mondo per il tasso di riciclo degli imballaggi in plastica. Il problema è che solo una piccola percentuale della plastica è riciclabile, intorno al 9%, mentre per molti beni di consumo gli additivi chimici e la varietà delle tipologie di plastica mescolate in un unico prodotto rendono impossibile il riciclo.
L’industria chimica rivendica i miliardi investiti nella ricerca sui processi di riciclo chimico, ma il documentario dimostra come questa non sia una “soluzione concreta” ma piuttosto un caso di greenwashing perché è un metodo estremamente complesso, costoso e soprattutto energivoro, che quindi contribuisce ugualmente a creare emissioni. All’Università di Lüneburg si studiano alternative. Come ad esempio le plastiche a base di amido di cereali – più costose, ma biodegradabili – per le suole delle scarpe, il cui consumo altrimenti danneggerebbe l’ambiente.
“Il problema però è che non tutte le bioplastiche sono uguali – ha fatto notare Isa Willinger nel suo intervento al termine della proiezione di Plastic Fantastic – e alcune non sono neppure biodegradabili, oppure sono ottenute ugualmente bruciando combustibili fossili”. La ricerca sta cercando soluzioni innovative e potenzialmente rivoluzionarie. Al termine del documentario Michael Braungart illustra una plastica prodotta per immagazzinare anidride carbonica, invece di liberarla nell’atmosfera. “Ma per il momento si tratta di una soluzione troppo costosa ed energivora, impossibile da applicare su larga scala, dove potrebbe fare la differenza”, precisa Willinger.

Il trattato sulla plastica destinato a naufragare
I limiti del riciclo, insomma, sono evidenti e su questo ha completamente ragione Ingemar Bühler, di Plastics Europe, “Anche se la bottiglia viene completamente riciclata è comunque un consumo di energia”, spiega. E ha ragione quando sostiene che il problema è la plastica monouso, mentre il riutilizzo risolverebbe il problema. Il fatto è che ribalta la questione, addossando la colpa totalmente sui consumatori: “Ci sono molti di questi piccoli peccati: una piccola confezione di patatine, una piccola decisione d’acquisto e i pochi minuti di tempo che servono per farla. Invece posso portare con me il mio bicchiere riutilizzabile e non devo necessariamente comprare una bottiglia”.
Come se i cittadini fossero messi nelle condizioni di poter scegliere, a parte alcune pratiche virtuose di riutilizzo, ancora troppo rare e di nicchia. “Quello che possiamo fare, piuttosto – ha spiegato Willinger – è far sentire la nostra voce. Si possono firmare petizioni, scrivere a politici e, soprattutto, scrivere alle catene di supermercati, anche tramite i social media, dove tanti altri cittadini leggono e commentano e possiamo far notare le assurdità legate al consumo di plastica”
Quanto siano potenti gli interessi delle aziende dei combustibili fossili, spesso le stesse che investono in produzione di plastica, si è visto recentemente con le discussioni in sede Nazioni Unite per un trattato mondiale sulla plastica. I titoli di coda del documentario, rilasciato nel 2024, chiudevano con uno slancio di ottimismo: per la prima volta le nazioni del mondo si erano riunite per discutere su un trattato che limitasse la produzione e il consumo di plastica.
Ebbene, pochi mesi dopo la triste verità è che per il momento si è concluso con un nulla di fatto. “Difficilmente sarà possibile trovare un accordo, con le pressioni di nazioni come la Russia, l’Iran e gli Stati Uniti con fortissimi interessi nel consumo dei combustibili fossili”, conclude la regista di Plastic Fantastic. L’amara conclusione al termine della proiezione del documentario è che il consumo e la produzione di plastica è destinato ancora ad aumentare.
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