giovedì, Novembre 6, 2025

Polimeri PFAS dannosi per salute, ambiente, clima: il report dell’Agenzia europea dell’ambiente

I polimeri fluorurati, ritenuti generalmente meno preoccupanti dei PFAS, secondo la più recente letteratura scientifica non lo sono

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Sottovalutati per le loro dimensioni maggiori rispetto ai più noti PFAS, i “polimeri PFAS” si stanno dimostrando altrettanto preoccupanti. A tracciare un quadro delle conoscenze sui polimeri fluorurati è un recente report dell’Agenzia europea per l’ambiente (AEA): “PFAS polymers in focus: supporting Europe’s zero pollution, low-carbon and circular economy ambitions” (I polimeri PFAS al centro dell’attenzione: sostenere le ambizioni dell’Europa in materia di inquinamento zero, basse emissioni di carbonio ed economia circolare).

Spiega l’AEA che “l’uso diffuso dei polimeri PFAS, dai prodotti di consumo alle tecnologie verdi, può portare alla contaminazione di acqua, aria, suolo, cibo e persone”. L’analisi fornisce le ultime conoscenze scientifiche sui potenziali impatti sulla salute, sull’ambiente e sul clima e fa da sfondo al lavoro europeo su possibili limitazioni all’uso delle sostanze per e polifluoroalchiliche in Europa.

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Cosa sono i “polimeri PFAS”

L’AEA spiega che costituiscono attualmente “una parte significativa (24-40%) del volume totale di PFAS immessi sul mercato dell’UE e sono ampiamente utilizzati in una vasta gamma di prodotti e tecnologie”. Ma cosa sono questi polimeri e in cosa si differenziano dai PFAS? Come questi ultimi sono caratterizzati da forti legami fluoro carbonio, ma, in parole povere, “consistono in molecole più grandi”.  Per questo, finora, i rischi connessi sono stati considerati inferiori: una dimensione molecolare maggiore “limita il loro assorbimento nelle cellule viventi (e quindi limita la loro potenziale tossicità)”. Tuttavia, avverte i documento dell’agenzia, “sono state sollevate preoccupazioni in relazione a una serie di potenziali impatti durante il ciclo di vita dei polimeri PFAS”.

Valutare i rischi lungo il ciclo di vita

La produzione di polimeri PFAS e il lori impiego massiccio moltiplicano i rischi: “È dimostrato che le emissioni di PFAS non polimerici possono verificarsi lungo tutto il ciclo di vita” di questi polimeri. Possono infatti essere emessi in tutte le fasi, “dalla produzione degli ingredienti alla produzione del polimero, dalla sua trasformazione in un prodotto all’uso del prodotto stesso, dal suo riciclaggio o riutilizzo allo smaltimento tramite riempimento del terreno o incenerimento”.

È la stessa presenza di PFAS polimerici nell’ambiente a rappresentare “una fonte significativa a lungo termine di PFAS non polimerici”. Questi polimeri contribuiscono quindi al diffuso inquinamento da sostanze per e polifluoroalchiliche. Inquinamento contro il quale non abbiamo ancora strumenti efficaci: “Nonostante le molte risorse destinate allo sviluppo di metodi di bonifica e gli indubbi progressi compiuti, attualmente è praticamente ed economicamente impossibile risanare l’inquinamento con le tecniche attualmente disponibili”, rimarca l’AEA.

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I rischi dei polimeri PFAS

Ogni fase del ciclo di vita, dalla produzione al consumo allo smaltimento, contribuisce al rischio. Queste le preoccupazioni espresse dalla letteratura scientifica:

  • Effetti tossici per i lavoratori, l’ambiente e le comunità vicine alle fabbriche. Questi rischi possono derivare sia dalle sostanze chimiche utilizzate nella produzione dei polimeri PFAS, sia da diversi sottoprodotti generati durante i processi produttivi;
  • Effetto serra e riduzione dell’ozono. Durante la produzione possono essere rilasciati potenti gas a effetto serra, come ad esempio il trifluorometano. Noto anche come fluoroformio, è un gas serra con un potere climalterante estremamente elevato: il suo Global Warming Potential, cioè il potenziale climalterante misurato paragonandolo a quello del biossido di carbonio, è molto alto: alcuni studi che lo stimano oltre 17 mila volte superiore. Altri gas emessi durante i processi produttivo (ad esempio il diclorofluorometano – HCFC-22) possono degradare lo strato di ozono che nell’atmosfera ci protegge dagli effetti negativi della radiazione solare;
  • Degradazione nel tempo. Desta preoccupazione anche la degradazione nel tempo di alcuni polimeri PFAS in composti più piccoli e persistenti, che, avverte l’Agenzia, “possono avere una tossicità maggiore rispetto ai loro composti di partenza”;
  • Compromissione della circolarità. La presenza diffusa di polimeri PFAS nei prodotti e nei materiali “può potenzialmente rappresentare una barriera futura per il riciclaggio, poiché è difficile rintracciare e separare questi materiali nella fase dei rifiuti”. Ciò significa che i prodotti contenenti PFAS sono spesso mescolati con altri flussi di rifiuti e lasceranno queste molecole tossiche in eredità nelle materi prime seconde ottenute dal riciclo;
  • Fine vita. I polimeri PFAS possono essere degradati in sostanze potenzialmente dannose per la salute dell’uomo e dell’ecosistema e per lo strato di ozono o in gas a effetto serra anche nelle fasi di smaltimento dei rifiuti in discarica o del loro incenerimento.

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