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giovedì, Novembre 14, 2024

“Premio Nobel per l’ambiente” a Johan Rockström: ha individuato i planetary boundaries

Lo scienziato svedese dal 2009 nei suoi studi lancia l’allarme: la Terra sta superando i confini planetari oltre i quali la sopravvivenza di tutti è in pericolo. Adesso arriva il prestigioso riconoscimento del suo lavoro. Ma quello che serve è una rapida azione globale a difesa dei processi biofisici fondamentali per il Sistema Terra

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Lo scienziato svedese Johan Rockström ha vinto il premio Tyler, conosciuto come il Nobel per l’ambiente, per i suoi studi sui confini planetari e i processi della biosfera decisivi affinché sia mantenuto lo stato di stabilità ambientale del Sistema Terra nel quale l’essere umano si è trovato a vivere negli ultimi 11.700 anni. Rockström riceverà il premio nel corso di una cerimonia che si terrà in Germania a maggio.

“I suoi risultati scientifici, uniti alla sua capacità di influenzare la politica e di coinvolgere il pubblico, hanno dato un contributo inestimabile al benessere del nostro pianeta”, ha dichiarato la presidente del premio Tyler Julia Marton-Lefèvre. Il concetto dei limiti planetari, come si legge nelle motivazioni del premio, “ha contribuito a plasmare le risposte governative ai cambiamenti climatici e allo sviluppo sostenibile, compresi gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite”.

La teoria dei planetary boundaries

Johan Rockström è professore di scienze ambientali all’università di Stoccolma. Qui, dal 2007 al 2018, è stato direttore dello Stockholm Resilience Centre, dove ha elaborato nel 2009 la teoria dei confini planetari (planetary boundaries in inglese), individuando i sistemi naturali che sostengono la vita sulla Terra e i cambiamenti che possono essere apportati in modo sicuro al loro interno senza alterare profondamente la vita sul pianeta. Da quel momento è cominciata per Rockström un’intensa attività di divulgazione tra la comunità scientifica e il grande pubblico, con conferenze in tutto il mondo e un libro, Breaking Boundaries: The Science of Our Planet, che è diventato un documentario su Netflix.

Nel noto articolo del 2009, pubblicato su Nature, Rockström e i suoi colleghi identificavano nove processi biofisici fondamentali per il Sistema Terra. Per ciascuno di essi gli autori proponevano di assegnare dei limiti quantitativi, oltre i quali le risorse della Terra e la sua capacità di rigenerarsi sarebbero gravemente compromessi, mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa della vita sul nostro pianeta. Nel dettaglio, i confini planetari sono: cambiamento climatico, acidificazione degli oceani, riduzione dello strato di ozono, degrado forestale e altri cambiamenti di utilizzo del suolo, modifica dei cicli biogeochimici di azoto e fosforo, eccessivo sfruttamento delle risorse idriche, perdita di biodiversità, inquinamento atmosferico da aerosol, nuove sostanze chimiche artificiali.

Rockstrom planetary boundaries
Immagine: Wikimedia

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Oltrepassare i limiti di sicurezza dei confini planetari

Superarli significa accelerare i cambiamenti climatici, la riduzione dell’ozono nella stratosfera, l’inquinamento, l’acidificazione degli oceani, la perdita della biodiversità, che a loro volta innescano cambiamenti irreversibili e ingestibili nel funzionamento dei sistemi biofisici anche in zone molto distanti del pianeta, fino a estinzioni di specie a un ritmo che non si vedeva dai tempi della quinta estinzione di massa. Come ha spiegato Rockström commentando la notizia dell’assegnazione del premio “spingendo troppo oltre il sistema Terra, rischiamo che sistemi biologici e fisici critici, come le foreste e le calotte glaciali, raggiungano un punto di non ritorno, modificando radicalmente il loro stato e le loro funzioni”.

Questi rapidi cambiamenti del sistema Terra hanno impatti significativi anche sulle nostre società mettendo in pericolo la vita di milioni di persone: stiamo già assistendo alle tragiche conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento del livello del mare, l’impennata delle emissioni di carbonio a causa degli incendi nella foresta amazzonica o l’alterazione delle stagioni dei monsoni per effetto dei cambiamenti climatici con conseguente aumento di catastrofi naturali ed eventi climatici estremi. Se l’Artico e l’Amazzonia superano i confini planetari – ha spiegato Rockström in una recente intervista – aggiungeranno all’atmosfera quantità significative di carbonio immagazzinato nel permafrost e nelle foreste pluviali”.

Quali confini planetari sono stati oltrepassati

In base alle stime di Rockström, “il mantenimento della resilienza della biodiversità e dei servizi ecosistemici su scala globale dipende da una conservazione efficace ed equa di circa il 30-50% delle aree terrestri e oceaniche”. Invece, avvertono Rockström e altri autori in un aggiornamento al primo lavoro fatto nel 2015, per quattro dei nove confini planetari siamo già oltre lo spazio operativo di sicurezza, il che significa che il pericolo di un cambiamento significativo delle condizioni della biosfera è alto. La biodiversità e i cicli dell’azoto e del fosforo sono quelli che hanno oltrepassato maggiormente i loro confini, ma anche il cambiamento climatico e il mutamento delle dinamiche di utilizzo dei terreni sono al di fuori del loro spazio operativo di sicurezza.

A settembre dello scorso anno abbiamo superato sei dei nove confini, è la preoccupante conclusione degli autori dell’ultimo rapporto sul tema dei planetary boundaries. Secondo Rockström dobbiamo rientrare nello spazio operativo di sicurezza dei confini planetari relativi all’acqua dolce e all’immissione nell’ambiente di inquinanti di sintesi come le plastiche e i PFAS. L’unico a non essere minacciato al momento è solo l’ozono atmosferico. Insomma, oltre a essere nel bel mezzo di un’emergenza climatica, stiamo distruggendo anche la salute del pianeta: ovverosia ciò che potrebbe invece salvarci da alcuni dei danni del riscaldamento globale.

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I confini planetari sono interconnessi tra loro

Sebbene gli sforzi per rimanere entro 1,5 gradi Celsius siano uno dei principali obiettivi dei governi a livello globale, il cambiamento climatico è solo uno dei nove confini planetari. “Nonostante i confini planetari siano descritti in termini di singole quantità e processi separati, sono strettamente interconnessi. Non possiamo permetterci il lusso di concentrare i nostri sforzi su uno di essi in modo isolato dagli altri. Se un confine viene oltrepassato, anche gli altri sono seriamente a rischio”, ha ricordato Rockström in un articolo pubblicato su Nature a maggio 2023.

Cambiamenti significativi nell’utilizzo del suolo in Amazzonia potrebbero influenzare le risorse idriche fino al Tibet. Il superamento del confine azoto-fosforo può erodere la resilienza di alcuni ecosistemi marini, riducendo potenzialmente la loro capacità di assorbire CO2 e quindi influenzando il confine climatico. La perdita di biodiversità si verifica a livello locale e regionale, ma può avere effetti pervasivi sul funzionamento del sistema Terra e interagisce con diversi altri confini planetari.

Ad esempio, può aumentare la vulnerabilità degli ecosistemi terrestri e acquatici ai cambiamenti climatici e all’acidità degli oceani, assottigliando lo spazio operativo di sicurezza in questi due confini. A loro volta, gli oceani hanno assorbito finora il 90% del calore terrestre, ma stiamo registrando preoccupanti segnali sulla riduzione di questa sua capacità, peggiorando ulteriormente, dunque, il problema del cambiamento climatico.

Rockstrom planetary boundaries
Foto: World Economic Foruma via Flickr

Dall’Olocene all’Antropocene: arrestare il processo

Il lavoro di ricerca svolto da Rockström è l’ulteriore dimostrazione di come l’umanità sia ormai entrata nell’Antropocene, la nuova epoca geologica in cui le attività dell’uomo hanno messo il Sistema Terra su una traiettoria che si allontana rapidamente dallo stato di stabilità in cui ha vissuto nell’Olocene negli ultimi 12.000 anni: l’unico stato di cui abbiamo prova che sia in grado di sostenere il mondo come lo conosciamo. Pur riconoscendo che si tratta di una sfida enorme, Rockström pensa che ci siano, tuttavia, delle vie d’uscita. Questi cambiamenti sono, infatti, accomunati dalla presenza di sistemi economici che si basano sull’estrazione e sul consumo di risorse in una maniera non sostenibile.

“L’unico modo per risolvere la crisi climatica è quello di eliminare gradualmente i combustibili fossili e in contemporanea trasformare i sistemi alimentari globali”, ha dichiarato in una recente intervista al Wall Street Journal. Rockström suggerisce di pagare gli agricoltori per i servizi ecosistemici, come la conservazione dell’acqua o la protezione della biodiversità, e di “internalizzare le esternalità” con politiche come una moratoria universale per fermare la deforestazione delle foreste pluviali tropicali e prezzi globali su elementi chimici come il metano prodotto dal bestiame e le emissioni di biossido di carbonio.

Secondo la Banca Mondiale, in tutto il mondo esistono circa 70 iniziative per la determinazione del prezzo del carbonio. Alcune si aggirano intorno ai 100 dollari a tonnellata, ma la maggior parte sono molto più economiche. Rockström evidenzia, invece, come le ultime ricerche abbiano dimostrato che il vero costo sociale del carbonio è compreso tra 250 e 500 dollari per tonnellata, se si misura l’impatto sulle economie di eventi estremi e quello sugli esseri umani.

Infine, non solo ai governi ma alle imprese, secondo Rockström, spetta un ruolo da protagonista nel contrastare i cambiamenti climatici. Le aziende devono iniziare a parlare di più dell’opportunità della transizione ecologica, e non solo lamentarsi delle numerose nuove regole e requisiti. Molte di loro, come ad esempio IKEA, H&M, L’Oréal e Unilever, hanno adottato nel corso degli anni il planetary boundaries per guidare le loro attività. Ma, cosa ancora più importante, conclude Rockström, le imprese devono spingere i leader nazionali a stabilire politiche e incentivi nazionali all’altezza delle promesse di decarbonizzazione globale che hanno sottoscritto.

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