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lunedì, Maggio 13, 2024

Bagnoli e il gigante di ferro: il racconto di un territorio che attende il risanamento ambientale

Dell'epopea dell'acciaio a Bagnoli ormai resta ben poco. Il sito campano, dopo il declino industriale, è oggetto di una sperimentazione innovativa di bonifica. Ma i tempi appaiono già troppo lunghi e i finanziamenti sono sempre troppo pochi. Come del resto negli altri SIN d'Italia

Giulia Sardonini
Giulia Sardonini
Laureata in Scienze per la pace: cooperazione internazionale e trasformazione dei conflitti. Si occupa di mediazione interculturale e fa parte di un’associazione di formazione su tematiche ambientali. Attivista per il clima, alla ricerca di una rivoluzione permanente!

Non lontano da Napoli e dal Parco Nazionale del Vesuvio, nella zona flegrea tra la collina di Posillipo e l’isolotto di Nisida, nel 1910 nasceva «‘o cantiere», così gli operai partenopei chiamavano l’acciaieria di Bagnoli, quel gigante di ferro entrato nell’immaginario collettivo del Paese come il primo stabilimento siderurgico a ciclo completo in Italia. Da tempo però, l’orizzonte di questa dicitura non corrisponde più alla realtà. Oggi c’è da fare i conti con quel che resta della sua caduta, con gli effetti del suo continuo vacillare e con le conseguenze del suo deperimento.

Il primo boato di questo gigante si sente con un calo di produzione nel dopoguerra, e poi arrivano una serie di conseguenze sanitarie legate a un marchio che ormai evoca malattie e disastri ambientali: Eternit. Nel 1969, quando viene accertata la pericolosità per la salute delle polveri di amianto immesse in atmosfera da Eternit, il complesso di Bagnoli vive un momento spartiacque, c’è infatti un prima e un dopo di questa storia. Inizia un conflitto ambientale che arriva fino ai giorni nostri. Dopo un’intensa fase di lotte sindacali, tra gli anni ‘70 e ‘80 vengono spesi miliardi di lire per interventi di modernizzazione e risanamento.

Nel 1977, al massimo del suo sviluppo industriale, lo stabilimento copre ormai 2000 mq di terreno e conta 8 mila operai. Il benessere si materializza, la vita si intreccia all’acciaio e alle sirene di Bagnoli. Ma nel 1985 il marchio Eternit si congeda da questa terra. E poi un altro colpo: la Comunità Economica Europea determina che l’Italia produce troppo acciaio, costringendo l’azienda siderurgica a scegliere tra il polo di Taranto e quello campano.

Da polo industriale a sito da bonificare

Il gigante di ferro cade definitivamente a terra nel 1994, quando viene sancita la sua dismissione, rientrando così nei siti d’interesse nazionale da bonificare. L’Ispra definisce come sito contaminato un’area dove le attività antropiche hanno causato un’alterazione di suolo, sottosuolo, acque sotterranee e/o marine tale da rappresentare un rischio per la salute umana ed ecosistemica.

Tra i siti contaminati, alcuni sono considerati altamente a rischio, per via della quantità e della pericolosità degli inquinanti presenti, per i quali lo Stato e il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica predispongono specifiche procedure di bonifica. Da fine anni novanta Bagnoli è parte della geografia degli ex siti industriali oggi Sin; un’eredità tossica che ha lasciato, oltre alle fibre di amianto, arsenico, piombo, zinco, mercurio, cromo, idrocarburi pesanti e leggeri. Nei pressi dell’ex sito industriale, nella zona dei pontili e della colmata e in direzione nord verso l’arenile, tutte le analisi effettuate mostrano un inquinamento generalizzato dei fondali.

L’integrazione dei risultati delle analisi chimiche ed ecotossicologiche rivelano una situazione di tossicità pesante e diffusa, e una qualità dei sedimenti inquinanti da farli rientrare nelle tre classi peggiori, quelle che richiedono forme controllate di gestione, fino all’isolamento dall’ambiente marino e al conferimento in discarica; situazione che riguarda principalmente “l’area del SIN indagata tramite vibrocarotaggi”, si legge nelle caratterizzazioni degli enti di controllo.

Tentativi di rigenerazione che falliscono

Dopo i primi interventi di smantellamento e bonifica affidati alla società che gestisce gli ultimi lavoratori Ilva – la Bagnoli spa – nel 2002 si dà avvio a una società di trasformazione urbana, la Bagnolifutura spa, una società pensata come un soggetto partecipato da attori privati, ma di fatto il Comune di Napoli ne resta il maggiore azionista per il 90% e gli vengono attribuiti i suoli, con l’obiettivo di affrontare il problema attraverso un nuovo piano urbanistico. In seguito crescono i contenziosi su suoli e debiti, fino al clamoroso fallimento di Bagnolifutura dichiarato in tribunale nel 2014.

La reazione al fallimento arriva dal governo nazionale a guida di Matteo Renzi con il decreto Sblocca Italia, assumendo la forma del commissariamento al fine di accelerare l’opera di bonifica e incaricando come soggetto attuatore delle nuove politiche nazionali, Invitalia, l’Agenzia nazionale per lo sviluppo di proprietà del Ministero dell’Economia. Il conflitto tra amministrazione cittadina e governo si attenua solo tra 2016 e 2017, fino ad approdare alla firma di un accordo tra comune, regione e governo.

Tra modelli circolari di bonifica e nodi da sciogliere

A seguito del dissequestro dell’area nel luglio del 2019, il caso Bagnoli torna alla ribalta. Sta accadendo qualcosa? Quest’anno è stata avviata una prima sperimentazione innovativa di bonifica tramite l’utilizzo combinato di microrganismi e corrente elettrica a basso voltaggio. Due tecniche che hanno come obiettivo diminuire la concentrazione di contaminanti tossici nei sedimenti marini. Il piano di monitoraggio permetterà di conoscere le variazioni di concentrazione dei contaminanti presenti (idrocarburi, metalli pesanti e diossine). Non solo: in questo periodo si sono riaccesi i riflettori su due principali criticità. La prima è la questione della colmata, ossia quella striscia di 195.000 mq di materiale di risulta proveniente dall’ex insediamento siderurgico.

Questa colmata dovrebbe essere completamente rimossa, ponendo però il problema della movimentazione: parliamo di più di 1 milione di metri cubi. Infatti, secondo l’attuale sindaco e commissario straordinario per Bagnoli, Gaetano Manfredi, occorrerebbero tra i 200 e i 400 camion al giorno per molti anni. Contrariamente all’ultima relazione generale per la progettazione relativa alla rimozione della colmata pubblicata ad agosto 2023, Manfredi recentemente ha dichiarato che un’altra opzione in fase di valutazione sarebbe la messa in sicurezza; in altre parole si tratterebbe di sigillare tutto, ma la decisione è rinviata a un’ulteriore valutazione economica da parte del soggetto attuatore, ossia Invitalia.

Le risorse per Bagnoli

L’altra questione è economica: nonostante i circa 800 milioni di euro già spesi negli anni, “il complessivo fabbisogno ulteriore – stimato dal soggetto attuatore Invitalia Spa sulla base dei livelli di progettazione raggiunti – si attesta su circa 930 milioni di euro, di cui 302 per il completamento delle bonifiche a terra e per le infrastrutture e 629 per il risanamento marino finalizzato al recupero della balneabilità della baia di Bagnoli”, si legge nella relazione commissariale. Se a queste si aggiungono le risorse necessarie per la realizzazione del parco urbano e del waterfront – che ammonta ad ulteriori 288 milioni di euro circa – il fabbisogno complessivo totale è pari a circa 1.220 milioni di euro. All’appello mancano ancora 629,1 milioni e il governo si riserverà di stilare una valutazione finanziaria a seguito di un’ulteriore verifica tecnica da parte di Invitalia.

A questi due punti cruciali si aggiungono le preoccupazioni delle persone che abitano e vivono il territorio di Bagnoli. Infatti, i movimenti che lo animano – Laboratorio Politico Iskra, Mare libero e gratuito, Napoli e Villa Medusa – Casa del Popolo, in un documento congiunto parlano di un’ennesima fase di stallo e di nuove incertezze sul futuro della bonifica, soprattutto con il sovrapporsi del ritorno del bradisismo in zona flegrea.

Ma qual è la situazione generale dei SIN in Italia?

Secondo l’ultimo rapporto ISPRA, pubblicato nel 2023, sullo stato delle bonifiche dei Sin in Italia, sono 3706 i comuni interessati da un procedimento di bonifica in Italia (circa il 47%): 1.689 i comuni con un solo procedimento in corso, mentre 1.440 comuni hanno tra 2 e 5 procedimenti e solo queste due categorie insieme rappresentano l’85% dei comuni interessati da procedimento di bonifica in corso. In 307 comuni insistono attualmente tra 6 e 10 procedimenti e i comuni che hanno un carico significativo, maggiore di 10 procedimenti, sono 270. In particolare, tra questi, 20 comuni hanno fino a 100 procedimenti e 11 oltre 100 procedimenti in corso, invece sono quasi assenti nelle aree montane alpine, appenniniche e dell’arco calabro.

La regione con più comuni interessati da 100 o più procedimenti di bonifica in corso è proprio la Campania, seguita dalla sola città metropolitana di Milano e alcuni comuni della regione Toscana, a cui si accodano la città metropolitana di Roma e tre grandi comuni del Veneto.

Tra i SIN, un caso particolare è rappresentato poi dai cosiddetti Siti orfani, ovvero quei siti contaminati che non sono stati bonificati dai responsabili o dai proprietari dei terreni, perché sconosciuti o inadempienti. I siti orfani costituiscono in totale 787 procedimenti, nella maggior parte dei casi tuttora in corso. C’è, però, una grande differenza tra i siti individuati con procedimento in corso (90%) e quelli conclusi (10%).

Leggi anche: L’eredità dei siti orfani e i soldi del Pnrr

Il motivo è semplice: l’individuazione del responsabile dell’inquinamento che non agisce, o la sua sostituzione, non garantisce il procedimento, ma molto spesso è necessario il finanziamento per poter eseguire gli interventi. I procedimenti finanziati sono complessivamente meno di quelli individuati (275 contro 512), ma mostrano percentuali di conclusione del procedimento maggiori (42%).

L’individuazione e il finanziamento dei siti orfani rappresentano la risposta della pubblica amministrazione al mancato intervento del responsabile della contaminazione; in effetti distruggere è facile, costruire sicuramente più faticoso, ma bonificare è molto difficile. Lo sa bene chi vive a Bagnoli. Così storie e territori come quella di Bagnoli e del suo gigante di ferro attendono un vero risanamento.

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente

© Riproduzione riservata

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