Un’azienda che diventa proprietà di una fondazione, in modo che i ricavi finiscano sul “conto della natura”, per contribuire a ristabilire un equilibrio troppo spesso compromesso. È il caso della Fondazione Capellino, ente commerciale senza scopo di lucro nato nel 2018 in seguito alla donazione irreversibile dell’impresa di cibo per cani e gatti Almo Nature. L’iniziativa dei fratelli genovesi Lorenzo e Pier Giovanni Capellino ha dato il la a una serie di interventi che il presidente della fondazione, Pier Giovanni Capellino, definisce con orgoglio frutto della “Reintegration Economy”. Tolti costi, investimenti e tasse, ogni euro che entra nelle casse di Almo Nature viene utilizzato dalla Fondazione per progetti finalizzati a reintegrare la biodiversità, in Italia e nel mondo.
Il modello della Reintegration Economy
“La Reintegration Economy è un percorso che nasce da un lavoro che ho realizzato, dove attraverso numerose sperimentazioni siamo arrivati a definire una proposta concreta. Mio fratello ed io abbiamo donato l’azienda alla fondazione per continuare l’attività imprenditoriale con un’azione mirata a rispondere a un’emergenza: mettere la natura al centro delle nostre decisioni e della nostra vita quotidiana,” spiega a EconomiaCircolare.com Pier Giovanni Capellino. “Dobbiamo ricordare che siamo parte di un sistema vitale e non semplici entità irrazionali. In realtà, siamo inseriti in un sistema evolutivo e complesso, profondamente legati alla ricchezza della vita. L’idea alla base del modello è stata quella di non perseguire il denaro, che oggi ha annullato i valori fondamentali, semplificando e accelerando le decisioni distogliendoci così dai principi essenziali.”
“La nostra economia è in conflitto con molte forme di vita sulla Terra, compresa la stessa vita umana” si legge nel bilancio 2023 della Fondazione Capellino. Per risolvere questo conflitto, non è necessario inseguire il denaro né rifiutare l’idea di fare impresa, creare valore e lavoro. Al contrario, l’esperienza di Almo Nature dimostra come il valore generato dal lavoro possa essere messo a servizio della natura, trasformandola finalmente da “preda” a beneficiaria. Capellino racconta com’è nata l’intuizione: “Volevo continuare a essere un imprenditore, e per farlo ho scelto di donare l’azienda a un ente dedicato a trasformare il valore creato e i dividendi, che in una situazione normale sarebbero stati distribuiti a società o organizzazioni, in progetti per la biodiversità. Anche se avremmo potuto vendere Almo Nature per generare una rendita, riteniamo che le decisioni debbano essere condivise dalle persone. Per questo motivo, abbiamo scelto di adottare una soluzione che coinvolge direttamente il lavoro delle persone. Donando l’azienda, i dipendenti stessi diventano protagonisti nella creazione di valore. È essenziale che comprendano l’importanza di lavorare per il bene del pianeta e della natura, che sono al centro di tutto. L’obiettivo è restituire alla natura quanto le spetta, da qui il concetto di reintegration, reintegrare”.
Leggi anche: Cosa succede dopo l’approvazione della legge sul ripristino della natura?
L’impresa di mettere al centro la natura
Uno dei progetti della fondazione mira, ad esempio, a realizzare una strategia di protezione a lungo termine del paesaggio ai piedi dei monti Udzungwa, nella valle del Kilombero in Tanzania. Un corridoio ecologico di 13 chilometri per il transito degli elefanti mette in collegamento il Parco nazionale di Nyerere e quello dei Monti Udzungwa. Un grupoo di ricerca e due borsisti dell’università locale garantiscono il monitoraggio dell’area e pratiche di economia circolare producono benefici per le comunità locali, vere custodi del corridoio e della sua biodiversità, messa a rischio da un’economia di rapina e da pratiche agricole tutt’altro che sostenibili.
Habitat e corridoi di biodiversità, contrasto alla crisi climatica, un’agricoltura in grado di garantire la biodiversità, la riduzione dell’impatto umano su quest’ultima e infine un progetto localizzato a Villa Fortuna, sede della Fondazione a San Salvatore Monferrato, in provincia di Alessandria: sono tanti e diversi i progetti di reintegrazione finalizzati a ristabilire una forma di equilibrio sia nella natura sia nelle relazioni. “Se continuiamo con questa demografia vorace, l’umanità sarà a rischio, poiché tutto verrà superato dall’attività creata dall’uomo”, afferma Capellino, specificando che la sfida della Reintegration Economy sta proprio nella capacità di farlo tramite l’attività d’impresa e non necessariamente attraverso la raccolta di donazioni.
Per una produzione “diversamente sostenibile”
La presa d’atto da cui partire, spiega il presidente della Fondazione Capellino, è che l’attività d’impresa produce impatti ambientali e sociali con cui bisogna fare i conti. “Nel nostro caso – spiega – sapevamo che donando Almo Nature, l’azienda non avrebbe ridotto il suo impatto sull’ambiente il giorno dopo. Qualunque azienda è inserita in una filiera e nessuna azienda può additare un’altra della stessa industria di essere più inquinante. Non è che se si consuma energia verde si diventa immediatamente più sostenibili. Bisogna avere una visione più onesta e più ampia in questi casi. Almo Nature potrebbe essere venduta e il capitale sarebbe asservito a uno scopo, tuttavia non la si vende; quindi, sono i dividendi che seguono una logica diversa: fare cose che non impattano e far evolvere l’azienda. C’è un mercato e vogliamo farlo progredire in termini produttivi non solo di destinazione del valore aggiunto, ma anche in termini di produzione diversamente sostenibile”.
Agro-foresta e zero chimica
I fondatori di Almo Nature hanno avviato diverse collaborazioni con il mondo accademico e con le istituzioni, in modo da approfondire aspetti quali la misurazione degli impatti ambientali della propria attività e per continuare a perseguire un modus operandi etico e rispettoso. La prima attività progettuale della fondazione è stata avviata con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: un lavoro di misurazione della filiera che vede coinvolta un’azienda in Thailandia. “Ci sono anche altre attività che simboleggiano l’intento di restituzione di cui si è discusso fino ad ora” spiega l’imprenditore a EconomiaCircolare.com. “Insieme all’azienda è stata donata la proprietà di San Salvatore Monferrato, qui verrà avviata la ristrutturazione degli edifici decadenti che esistevano in questa zona agricola. È stata messa in atto una sperimentazione in quest’area di 22 ettari che è per metà bosco e per metà è caratterizzata da esperienze di agro-foresta, produzione di frutta con alberi che hanno una funzione sia protettiva, sia di produzione di biomassa che deriva dalle potature e che viene in seguito messa sul terreno per la reintegrazione della fertilità. Una funzione che sarà da accertare, perché la natura ha i suoi tempi”. Insieme agli alberi da frutta ci sono piante officinali, vigneti e due tipi di impianto dove non si utilizzano prodotti chimici.
Un altro progetto della fondazione coinvolge un gruppo di ricerca olandese, che sta progettando possibili corridoi ecologici in territorio europeo, per connettere aree protette e favorire il passaggio di specie animali e vegetali. L’obiettivo è “vedere se ci possa essere un corridoio che l’Unione Europea fa suo e che possa diventare un progetto a cui associarne altri in modo da realizzare una rinaturalizzazione”, spiega Pier Giovanni Capellino, interpretando appieno lo spirito della Nature Restoration Law europea recentemente approvata. Perché la natura va reintegrata a tutte le latitudini e perché, come dice più volte il presidente della Fondazione, “siamo parte di un’evoluzione” e dove ci porta questo processo dipende dalla nostra capacità di immaginarlo e costruirlo.
Leggi anche: Vent’anni di innovazione e impegno per la conversione ecologica: la storia di AzzeroCO2
Climate change e biodiversità
Una delle sfide che l’umanità si trova ad affrontare è quella relativa ai cambiamenti climatici e alle emissioni di CO2 che inevitabilmente portano con sé ulteriori elementi critici cui si deve iniziare a pensare e far pronte prima che si arrivi ad un punto di non ritorno quali ad esempio: perdita della biodiversità, qualità della vita, impatto delle azioni nel settore agroalimentare, etc.
La Fondazione Capellino con l’obiettivo di essere uno dei pionieri e attore attivo nel voler promuovere, grazie alla propria esperienza e al supporto di partner qualificati nei singoli ambiti di appartenenza, un percorso virtuoso di rinascita ha realizzato un progetto pilota per le città che si concretizza nello studio e analisi dello status quo urbano e conseguente creazione di specifiche soluzioni nature-based.
“Il progetto, attivo nella città di Firenze, ha lo scopo di creare un modello di possibili azioni in grado di mitigare l’impatto del cambiamento climatico, di favorire la biodiversità urbana e le condizioni di salute dei cittadini, nonché di realizzare un’analisi interdisciplinare in grado di studiare questi fenomeni e le loro relazioni, facilmente replicabile in altre realtà urbane italiane e straniere. La progettazione di questo modello pilota è stata realizzata dallo Studio Bellesi Giuntoli, in collaborazione con esperti scientifici del CNR e dell’Università di Firenze, partendo da un’analisi delle componenti biotiche e abiotiche” spiega Pier Giovanni Capellino. “Il progetto “Firenze – Climate Change & Biodiversità” è un importante testimonianza verso la comunità e di come la sinergia di ognuno di noi possa essere utile alla creazione di iniziative che vadano a beneficio di tutti per la salute del pianeta” conclude il presidente di Fondazione Capellino.
Leggi anche: Soluzioni naturali per la crisi climatica, cosa sono e come ne mitigano gli effetti
Aree marine, un patrimonio da proteggere
La superficie del nostro pianeta è ricoperta per il 70% da mari e oceani. A questo pianeta blu dobbiamo la produzione di più del 50% dell’ossigeno che respiriamo e l’assorbimento di circa il 30% delle emissioni di CO2 generate ogni anno dall’attività umana e dall’inquinamento terrestre. Con l’obiettivo di ridare alla natura e al pianeta quanto gli è stato sottratto Fondazione Capellino e Blue Marine Foundation, di concerto con la Regione Sardegna e il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) hanno voluto mettere a fattor comune le singole competenze per migliorare l’efficacia di gestione della Riserva transfrontaliera del Mediterraneo promuovendo così la conservazione di habitat cruciali e specie vulnerabili, secondo le attuali linee guida europee.
Iniziato nel 2022, il progetto di conservazione dell’Asinara – che vedeva il coinvolgimento dell’area 1000 ettari – ha superato le aspettative, ampliando l’Area Marina Protetta a oltre 66.000 ettari.
“La protezione dei mari e degli oceani è cruciale per il nostro pianeta. Con l’ampliamento di oltre 55.000 ettari di superficie marina protetta grazie a questo progetto, stiamo contribuendo attivamente alla sostenibilità ambientale e alla conservazione della biodiversità.” commenta il Presidente della Fondazione Capellino. “Attraverso il principio della Reintegration Economy, la Fondazione reinveste il 100% dei profitti di Almo Nature – al netto di costi e tasse – in progetti che non solo proteggono la biosfera ma anche favoriscono la rigenerazione ecologica. Questo modello non solo restituisce spazi vitali alla natura ma promuove anche la diversità delle forme di vita, fondamentale per preservare l’equilibrio del nostro pianeta”.
© Riproduzione riservata