giovedì, Novembre 6, 2025

Geodiversità, il tesoro silenzioso del Pianeta. E come l’economia circolare può salvarlo (e salvarci)

Ogni 6 ottobre la Giornata mondiale della geodiversità ricorda l'importanza della geodiversità, ovvero l'infinita varietà di rocce, minerali, fossili, suoli e paesaggi che costituiscono la base non vivente del nostro Pianeta. Per diminuire l'impatto antropico l'economia circolare è la migliore delle soluzioni

Valeria Morelli
Valeria Morelli
Content Manager e storyteller 2.0. Fa parte del network di Eco Connection Media. Si occupa di strategie di comunicazione web, gestione social, consulenza 2.0 e redazione news e testi SEO. Per Green Factor, all’interno dell’ufficio stampa, si occupa delle relazioni istituzionali.

Il 6 ottobre si celebra la Giornata Mondiale della Geodiversità, un appuntamento istituito dall’UNESCO per accendere i riflettori su una componente fondamentale e spesso trascurata del nostro patrimonio naturale. Parliamo della geodiversità ovvero l’infinita varietà di rocce, minerali, fossili, suoli e paesaggi che costituiscono la base non vivente del nostro Pianeta.

Non è solo una questione per geologi o appassionati di minerali. La geodiversità è il “partner silenzioso della biodiversità”, l’infrastruttura su cui poggia ogni ecosistema e, in ultima analisi, la nostra stessa civiltà. Questa giornata, però, non è solo una celebrazione. È un monito. Il nostro attuale modello economico, quello lineare, sta erodendo questo patrimonio a un ritmo insostenibile, minacciando non solo la bellezza dei paesaggi, ma anche la nostra sicurezza economica futura e non solo: spesso purtroppo diviene ragione e causa di diversi conflitti e devastazioni ambientali. La risposta, ancora una volta, risiede in un cambio di paradigma e al suo interno l’economia circolare riveste un ruolo primario.

geodiversità 1

L’economia lineare: un modello che divora le risorse geologiche

Il modello economico che ha dominato gli ultimi due secoli è brutalmente semplice: estrarre, produrre, usare e gettare (take-make-dispose). Questo sistema si fonda sull’assunto irrealistico di una disponibilità infinita di risorse. Ogni prodotto, dallo smartphone al palazzo in cui viviamo, inizia il suo ciclo di vita con l’estrazione di materie prime geologiche: metalli, sabbia, ghiaia, minerali rari. L’impatto di questa fame insaziabile è devastante. Miniere a cielo aperto che sventrano montagne, cave che modificano per sempre il profilo delle colline, inquinamento delle falde acquifere e distruzione di ecosistemi unici.

Persino la transizione energetica, pur necessaria, porta con sé un paradosso: la domanda di litio, cobalto e terre rare, essenziali per batterie e tecnologie verdi, sta intensificando la pressione estrattiva su aree del mondo spesso fragili e ricche di biodiversità. Si parla già di estrazioni minerarie negli abissi oceanici (deep sea mining), l’ultima frontiera del nostro Pianeta, con rischi incalcolabili per ecosistemi ancora largamente sconosciuti. Continuare su questa strada significa non solo distruggere il nostro patrimonio geologico, ma anche renderci sempre più vulnerabili a shock geopolitici e alla volatilità dei prezzi di materie prime concentrate in poche aree del globo.

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Economia circolare: chiave per ridurre l’impronta estrattiva

Se il problema è l’estrazione continua, la soluzione è smettere di considerare i prodotti a fine vita come rifiuti. L’economia circolare interviene proprio qui, scardinando il modello lineare con un approccio basato su quattro azioni fondamentali: ridurre, anche grazie all’ecodesign, riutilizzare, riparare e riciclare. Progettare un prodotto affinché sia più durevole, facilmente smontabile e riparabile, significa allungarne la vita utile e posticipare la sua trasformazione in rifiuto.

Ma è nel riciclo che si compie la vera magia. Un rifiuto, se correttamente raccolto e trattato, cessa di essere un problema per diventare una risorsa: una “materia prima seconda” (MPS). Utilizzare MPS nei cicli produttivi riduce drasticamente la necessità di estrarre materie prime vergini. Così si preserva la geodiversità, limitando la necessità di nuove miniere e cave, portando peraltro con sé enormi vantaggi economici e ambientali: minor consumo di energia e acqua, riduzione delle emissioni di CO2 e creazione di nuove filiere industriali. L’economia circolare trasforma infatti davvero i nostri scarti da costo di smaltimento a fonte di ricchezza.

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Il caso Italia: da Paese povero di materie prime a potenza del riciclo

Per un Paese come l’Italia, storicamente povero di risorse minerarie e fortemente dipendente dalle importazioni, l’economia circolare non dovrebbe essere considerata solo come un’opzione, ma come una vera necessità strategica. I dati parlano chiaro: a fronte di una media europea del 22%, l’Italia dipende dalle importazioni per quasi il 48% del suo fabbisogno di materiali. Questa vulnerabilità economica può essere trasformata in un’opportunità unica. Non è un caso che l’Italia sia già oggi tra i leader in Europa per circolarità.

Il nostro tessuto industriale ha dimostrato in diversi contesti una straordinaria capacità di innovare nei processi di riciclo, trasformando i rifiuti in valore. Adottare in modo sistemico il paradigma circolare significa costruire una solida autonomia strategica, affrancandoci dalle fluttuazioni dei mercati globali e rafforzando la nostra competitività. Significa, in altre parole, costruire le miniere del futuro non nel sottosuolo, ma nelle nostre città.

RAEE: le miniere urbane da cui estrarre il nostro futuro

L’esempio più lampante di questa opportunità sono i RAEE, i Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. Smartphone, computer, televisori e piccoli elettrodomestici sono veri e propri concentrati di materie prime preziose e critiche: oro, argento, rame, cobalto, palladio. Gettarli in discarica o, peggio, lasciarli in un cassetto, è un enorme spreco economico e ambientale. Attivare una filiera efficiente di raccolta e riciclo dei RAEE equivale ad aprire delle “miniere urbane” sul nostro territorio.

Qui, però, emergono le nostre contraddizioni. Se da un lato siamo bravissimi a riciclare ciò che raccogliamo, dall’altro siamo drammaticamente carenti nella raccolta. Nel 2023, abbiamo raccolto poco più di 349.000 tonnellate di RAEE, con un calo del 3,1% rispetto all’anno precedente e un tasso di raccolta fermo al 30%, lontanissimo dall’obiettivo europeo del 65%. Le cause sono note: una parte dei cittadini non smaltisce correttamente questi rifiuti, ma soprattutto esiste un’ampia dispersione verso canali non ufficiali che intercettano questi materiali per il loro valore intrinseco, senza garantirne un trattamento ambientale adeguato. 

Il vero costo di un gioiello: quando la bellezza deturpa e depreda

A questo discorso vogliamo affiancarne un altro. Un anello, un ciondolo, un simbolo d’amore eterno o di un traguardo personale. Ma qual è il vero costo di quella brillantezza? L’estrazione di metalli preziosi come l’oro e di gemme come i diamanti è tra le attività umane più invasive e spesso devastanti per la geodiversità e le comunità locali. Per estrarre pochi grammi d’oro si possono distruggere intere aree, utilizzare e disperdere nell’ambiente sostanze altamente tossiche come mercurio e cianuro che avvelenano suoli e falde acquifere per decenni.

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Questo processo deturpa paesaggi unici e troppo spesso depreda le popolazioni locali delle loro risorse, alimentando conflitti, violazioni dei diritti umani e sfruttamento del lavoro minorile in quelle che vengono tristemente definite “miniere di sangue”. Di fronte a questa realtà, la consapevolezza del consumatore diventa il primo, potentissimo strumento di cambiamento. La domanda “da dove viene?” deve diventare un nostro riflesso condizionato prima di ogni acquisto. Fortunatamente, le soluzioni per non rinunciare alla bellezza, ma renderla responsabile, esistono e sono figlie del pensiero circolare. La prima, e più virtuosa, è quella di guardare a ciò che già possediamo. L’oro è un materiale eterno, riciclabile all’infinito senza perdere minimamente le sue proprietà e il suo valore. I nostri vecchi gioielli dimenticati in un cassetto, l’oro odontoiatrico, persino le piccole quantità contenute nei rifiuti elettronici (RAEE), costituiscono la più grande, etica e accessibile delle “miniere urbane” a nostra disposizione. Scegliere “oro riciclato” significa azzerare la domanda di nuova estrazione.

Per chi cerca il nuovo, è fondamentale affidarsi a filiere etiche certificate, come quelle garantite da marchi come Fairmined o Fairtrade Gold, che assicurano la tracciabilità del metallo, il rispetto dei diritti dei lavoratori e l’adozione di pratiche a minor impatto ambientale. E per le gemme? L’alternativa sostenibile esiste e brilla tanto quanto l’originale: pietre e diamanti creati in laboratorio sono identici per composizione chimica, fisica e purezza a quelli estratti, ma senza il pesante fardello etico e ambientale. Scegliere un gioiello etico, riciclato o con pietre “lab-grown” significa trasformare un gesto d’affetto in un atto di responsabilità, dimostrando che il vero lusso, oggi, è la sostenibilità.

La Giornata Mondiale della Geodiversità ci invita quindi a guardare oltre la superficie. Ci chiede di riconoscere che la salvaguardia delle rocce e dei paesaggi passa per le nostre scelte quotidiane di consumo e smaltimento. Il futuro non si scava, si rigenera. E le risorse più preziose le abbiamo già in casa.

Leggi anche: Giornata Mondiale della Biodiversità: un appello all’azione per salvare il nostro futuro

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