Il nostro sistema alimentare globale è un gigante insostenibile, un colosso capace di produrre cibo per una popolazione in costante crescita ad un costo ambientale, sociale ed economico divenuto ormai insostenibile. Si basa, infatti, su un modello prettamente lineare, quasi ottocentesco nella sua logica: si prende, si trasforma, si consuma e si getta. Un percorso a senso unico che lascia dietro di sé una scia di sprechi, emissioni e degrado. Dal campo alla tavola, questa filiera disperde un valore immenso, trasformando risorse preziose in rifiuti problematici. È proprio da questo paradosso dei nostri tempi che emerge la soluzione: un cambio di paradigma radicale, guidato dai principi dell’economia circolare. Un nuovo modello che non si limita a gestire i rifiuti, ma ripensa l’intero sistema per renderlo rigenerativo, resiliente e, finalmente, giusto.
Il paradosso di un sistema che produce per sprecare: i numeri dell’inefficienza
Per comprendere l’entità del problema, è necessario partire dai dati che sono impietosi: secondo la FAO, circa un terzo di tutto il cibo prodotto per il consumo umano viene perso o sprecato ogni anno, per un totale di circa 1,3 miliardi di tonnellate. Lo spreco non avviene solo nelle nostre case, ma lungo tutta la catena del valore. Inizia nei campi, dove raccolti perfettamente commestibili vengono scartati per non aver raggiunto standard estetici imposti dal mercato. Prosegue nelle fasi di stoccaggio e trasporto, a causa di infrastrutture inadeguate, e si amplifica nella trasformazione industriale e nella vendita al dettaglio. Infine, culmina tra le mura domestiche, dove il cibo acquistato finisce troppo spesso nel bidone dell’indifferenziato.
L’impatto di questa inefficienza è devastante: lo spreco alimentare è responsabile di circa l’8-10% delle emissioni globali di gas serra. Se fosse un Paese, sarebbe il terzo più grande emettitore al mondo, dopo Cina e Stati Uniti, consumerebbe invano un quarto di tutta l’acqua utilizzata in agricoltura e occuperebbe una superficie agricola grande quanto la Cina. È un’emorragia di risorse naturali, energia e lavoro, con un costo economico globale stimato in circa 1.000 miliardi di dollari all’anno. Un sistema che permette che tutto ciò accada mentre oltre 800 milioni di persone soffrono la fame non è solo inefficiente: è eticamente inaccettabile.
Il primo passo, quindi, è quello di invertire la rotta legata agli sprechi, lungo tutta la filiera. Tuttavia questo non è l’unico aspetto che può incidere nel ridurre le emissioni correlate alla tavola.
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La seconda vita del cibo: biometano e digestato per chiudere il cerchio
L’economia circolare interviene anche applicando il suo mantra fondamentale: lo scarto non esiste, è solo una risorsa nel posto sbagliato. Gli scarti organici, dalla frazione umida urbana (FORSU) ai sottoprodotti dell’industria agroalimentare, possono diventare la materia prima per nuovi cicli virtuosi. Una delle tecnologie più mature ed efficaci in questo campo è la digestione anaerobica: in appositi impianti, la materia organica viene decomposta da batteri in assenza di ossigeno. Questo processo genera due prodotti di immenso valore.
Il primo è il biogas, una miscela di metano e anidride carbonica. Attraverso un processo di purificazione (upgrading), il biogas viene trasformato in biometano, un combustibile rinnovabile al 100%, con le stesse identiche caratteristiche del gas naturale di origine fossile e può essere immesso nella rete nazionale del gas, utilizzato per produrre energia elettrica e termica o, in forma liquida (Bio-GNL), per alimentare i trasporti pesanti, decarbonizzando un settore ad alte emissioni.
Il secondo prodotto, altrettanto cruciale, è il digestato. Si tratta del residuo solido e liquido del processo di digestione, un bio-fertilizzante naturale ricco di azoto, fosforo, potassio e, soprattutto, carbonio organico. Sparso sui terreni agricoli, il digestato restituisce alla terra i nutrienti sottratti con le colture, riducendo drasticamente la dipendenza dai fertilizzanti chimici di sintesi, la cui produzione è altamente energivora e legata ai combustibili fossili. Questo modello, promosso in Italia dal Consorzio Italiano Biogas (CIB) con il concetto di “Farming for Future”, trasforma l’azienda agricola in una bioraffineria, capace di produrre cibo, energia rinnovabile e fertilizzante, chiudendo il ciclo della materia e del carbonio.

Compost: l’oro nero che rigenera la terra e combatte la crisi climatica
Parallelamente alla via energetica, esiste quella del recupero di materia per eccellenza: il compostaggio. Attraverso un processo aerobico (in presenza di ossigeno), gli scarti organici vengono trasformati in compost, un ammendante di alta qualità che è una vera e propria medicina per i nostri suoli impoveriti. L’uso del compost in agricoltura e nel giardinaggio apporta benefici sistemici:
- aumenta la fertilità in quanto restituisce al suolo sostanza organica, il cuore pulsante della sua vitalità, migliorando la disponibilità di nutrienti per le piante;
- migliora la struttura del suolo poiché rende i terreni più soffici e areati, facilitando lo sviluppo delle radici e contrastando la compattazione causata dalle lavorazioni meccaniche intensive;
- aumenta la ritenzione idrica in quanto un suolo ricco di sostanza organica si comporta come una spugna, trattenendo l’acqua piovana e rilasciandola lentamente. Questa caratteristica lo rende più resiliente ai periodi di siccità, sempre più frequenti a causa del cambiamento climatico;
- sequestra carbonio contenuto nel compost che viene stoccato stabilmente nel terreno, sottraendo CO2 dall’atmosfera. I suoli agricoli del mondo hanno un potenziale enorme come “carbon sink” e il compostaggio è una delle strategie chiave per attivarlo.
La raccolta differenziata della frazione organica e la sua trasformazione in compost di qualità non sono, quindi, solo una corretta pratica di gestione dei rifiuti, ma anche un pilastro fondamentale per la salute del suolo, la sicurezza alimentare e la lotta alla crisi climatica.
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Prevenire è meglio che curare: l’agricoltura rigenerativa per un suolo vivo
Se la valorizzazione degli scarti rappresenta una cura efficace, la vera rivoluzione circolare sta nella prevenzione. L’obiettivo è passare da un’agricoltura estrattiva ad un’agricoltura rigenerativa. Questo approccio non si limita a “sostenere” lo status quo, ma mira attivamente a ripristinare e migliorare la salute dell’ecosistema agricolo, a partire dal suo cuore: il suolo. L’agricoltura rigenerativa si basa su un insieme di pratiche che imitano i processi naturali. Ecco alcuni esempi di pratiche adottate:
- minime lavorazioni o semina su sodo (No-Till). Si evita di arare in profondità il terreno, lasciando intatta la sua struttura e la sua complessa rete di vita microbica. Ciò riduce l’erosione, conserva l’umidità e mantiene il carbonio stoccato nel suolo;
- colture di copertura (Cover Crops). Tra un raccolto principale e l’altro, il terreno non viene lasciato nudo, ma seminato con piante specifiche (come leguminose o graminacee) che lo proteggono dall’erosione, soffocano le erbe infestanti, arricchiscono il suolo di azoto e materia organica;
- rotazioni colturali complesse. Si abbandona la monocoltura a favore di una rotazione diversificata di colture che interrompe i cicli di parassiti e malattie, migliora la fertilità e aumenta la biodiversità;
- integrazione tra agricoltura e allevamento. Il pascolo controllato degli animali sui terreni coltivati permette una fertilizzazione naturale ed una gestione efficace delle erbe infestanti, creando una simbiosi benefica.
Un suolo rigenerato è un suolo vivo, resiliente, più produttivo nel lungo termine e capace di offrire “servizi ecosistemici” gratuiti, come la regolazione del ciclo dell’acqua e lo stoccaggio del carbonio. È la base per produrre cibo più sano e nutriente, riducendo al contempo l’uso di input esterni come pesticidi e fertilizzanti.
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Verso una bioeconomia circolare: un impegno collettivo
Trasformare il nostro sistema alimentare non è un’utopia, ma una necessità strategica che richiede un’azione coordinata a tutti i livelli. Le politiche europee − come il Green Deal e la strategia “Farm to Fork” − stanno già spingendo in questa direzione, incentivando pratiche agricole sostenibili e fissando obiettivi ambiziosi per la riduzione degli sprechi e l’uso di fertilizzanti. La tecnologia gioca un ruolo chiave, con l’agricoltura di precisione che permette di ottimizzare l’uso di acqua e nutrienti e con le innovazioni nel campo del packaging che possono estendere la vita dei prodotti. Tuttavia il cambiamento più profondo deve essere culturale: come consumatori, le nostre scelte quotidiane hanno un potere enorme ed è quindi necessario ridurre lo spreco domestico, privilegiare prodotti locali e di stagione, supportare le aziende agricole e le imprese che dimostrano un reale impegno verso la circolarità.
Dalla valorizzazione di uno scarto di cucina alla scelta di un’agricoltura che cura la terra, ogni azione contribuisce a tessere la trama di un nuovo sistema alimentare che non si limita a nutrire l’umanità, ma rigenera le risorse dalle quali tutti dipendiamo. Chiudere il cerchio non è più un’opzione, ma l’unica via per garantire un futuro alimentare sicuro e sostenibile per tutti.

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