Nella mia vita, con cadenza quasi decennale, si chiude una fase e se ne apre una inedita. Tra le novità che avevo in proposito di attuare all’inizio di quest’anno, come già vi ho raccontato, c’era l’introduzione, all’interno della mia gestione domestica, di un nuovo modo di fare la spesa che coniugasse la sostenibilità ambientale alla praticità.
Dall’inizio del 2020, quasi fosse portato dal vento dall’est – quello capace di far apparire Mary Poppins – ogni settimana sul mio zerbino si posa – portata da una bicicletta – una “zolla” di prodotti bio e a km zero. Nelle stesse settimane in cui Zolle entrava nella mia vita, io, per la prima volta, mettevo piede nello studio di una nutrizionista e ne uscivo con una lunga lista di cibi che stravolgeva le proporzioni di ciò di cui solitamente mi nutrivo. La grande novità riguardava il pesce: un alimento che assumevo non più di due volte a settimana diventava mio “compagno” per almeno sette pasti!
Pur conoscendo l’importanza del pesce all’interno di una dieta equilibrata (per chi è onnivoro, si intende), la mia scarsa capacità nel cucinarlo mi aveva portato a ridurne l’utilizzo e ad essere piuttosto ripetitiva nel suo impiego. Fra le indicazioni della dottoressa, poi, risuonava nella mia mente il “possibilmente pescato” così come, per la carne, aveva precisato che doveva provenire da allevamenti estensivi: anche se lei non poteva saperlo, io, in ogni caso, non avrei fatto una scelta diversa.
Come ricorda infatti il WWF nella sua Seafood guide, “quando ci troviamo al banco del pesce abbiamo l’opportunità di cambiare il destino degli oceani e delle persone che vivono di pesca”. Come? Diventando consumatori responsabili! Per farlo, bisogna raccogliere tutte le necessarie informazioni e noi siamo qui per fornirvele.
Esistono tipologie di pesca sostenibili?
Se vi chiedessi se esistono coltivazioni non sostenibili sicuramente la vostra risposta sarebbe positiva, ma se vi ponessi la stessa domanda in materia di prodotti ittici, molti di voi, credo, non farebbero fatica a confessare di non aver mai riflettuto su questo argomento.
Partiamo dal presupposto che, anche per la pesca, esistono tecniche tra loro diverse. Alcune di esse sono sostenibili poiché sono attuate da tanti pescatori che potremmo definire “artigianali” i quali – al contrario di una serie di operatori “industriali – sanno bene che è necessario preservare l’equilibrio dei mari affinché le specie si riproducano garantendo il pescato anche nel futuro. Questi operatori, pertanto, pescano solo le tipologie ittiche ammesse utilizzando attrezzature a ridotto impatto su flora e fauna, avendo anche cura a liberare gli esemplari troppo giovani. Non tutti però, purtroppo, non adottano queste accortezze. Come possiamo quindi indirizzare la nostra scelta di consumatori verso prodotti sostenibili? Vivendo in un paese pressoché circondato dal mare è semplice trovare sui banchi del mercato pesce locale proveniente dal Mediterraneo. Personalmente ho trovato una pescheria aperta giusto tre mattine a settimana che mi consente di avere in tavola il pescato del Lazio e quindi è diventato semplice ottenere prodotti ittici sostenibili. Prima di questa “svolta” personale, ho però cercato di capire come poter scegliere.
Quali sono le regole da seguire nella scelta del pesce?
1 Innanzitutto optate per “il miglio zero” o, in alternativa, scegliere il pescato locale.
2 Mangiate solo pesce adulto: se il pesce è troppo giovane non avrà avuto il tempo fisiologico per riprodursi e si rischia di interrompere il ciclo del ripopolamento. Chiedete quindi informazioni al pescivendolo o consultate le tabelle messe a disposizione da numerose guide come la fishfinder di Greenpeace.
3 Scegliete solo pesce catturato in maniera sostenibile. Come ricordato nella pratica guida per la scelta consapevole di Greenpeace ad oggi tecniche di pesca artigianali e a basso impatto sono:
– la nassa che è quella specie di gabbia che attira il pesce con un’esca e lo intrappola senza ucciderlo consentendo quindi ai pescatori di rilasciare in acqua pesci non commercializzati o troppo giovani;
– la rete da imbrocco/posta idonea a catturare specie che vivono vicino ai fondali come sogliole, scorfani, seppie, cefali;
– il palangaro di fondo che, contrariamente al palangaro derivante (inserito tra i sistemi insostenibili), se correttamente usato, risulta tra i metodi approvati dall’importante associazione ambientalista
– la rete circuizione (o cianciolo) che consiste in una potente sorgente di luce (lampara) che attira i banchi di pesci – soprattutto il cd “pesce azzurro” (sgombri, sardine e acciughe) – che riescono quindi ad essere circondati dalle reti e quindi catturati in maniera selettiva.
4) Non fossilizzatevi sui soliti piatti: esistono circa 500 specie commestibili nel Mediterraneo e le specie meno conosciute non sono meno appetitose di quelle più utilizzate e, tendenzialmente, costano molto meno. La guida WWF assicura molteplici ricette per tutti i gusti
4) Imparate a leggere le schede che indicano l’origine dei prodotti, la modalità della pesca e se siano freschi o, ad esempio, decongelati. Se il pesce è conservato in barattolo o in scatola – e quindi non abbiamo il pescivendolo a consigliarci – possiamo avvalerci di certificazioni come quella MSC (Marine Stewardship Council) e ASC (Aquaculture Stewardship Council) o la voce “biologico”. In tali casi saprete che vi è una garanzia del rispetto di criteri di sostenibilità.
L’alleanza tra i pescatori e il mare
Sono tanti i pescatori che hanno accettato la sfida di attuare una pesca in maniera sostenibile. Raccontare le storie di tutti non sarebbe possibile, ma sono attivi dei progetti che ho seguito in prima persona e posso testimoniarne i preziosi risultati.
Ad esempio, il progetto TartaLife, promosso nelle 15 regioni italiane che si affacciano sul mare, è nato per ridurre la mortalità della tartaruga marina Caretta Caretta legata alle attività di pesca nel Mediterraneo: grazie alla collaborazione dei pescatori, in questi anni è stato possibile assistere ad una riduzione della mortalità accidentale di Caretta Caretta determinata dalle attività di pesca professionale attraverso 2 obiettivi specifici:
– riduzione del bycatch effettuato con palangari, reti a strascico e da posta, con diffusione di ami circolari e TED perfezionati e sperimentazione di luci UV come deterrente per le tartarughe e di un attrezzo alternativo alle reti da posta;
– riduzione mortalità post cattura, con formazione dei pescatori e rafforzamento dei Presidi di recupero/primo soccorso”.
Tra i tanti centri di recupero tartarughe marine, ho potuto seguire il CRTM Manfredonia Legambiente coinvolto in TartaLife ma anche in TartaLove, progetto di tutela delle tartarughe portato avanti dalla nota associazione ambientalista. Ogni anno sono centinaia le tartarughe che vengono accidentalmente catturate da pescatori che le consegnano al centro per poterne valutare lo stato di salute. Questa collaborazione ha consentito di salvare tantissimi esemplari malati o che stavano per soffocare a causa dei molteplici frammenti di plastica ingeriti.