23.500 chilogrammi di scarti aziendali recuperati, 3961 cittadini coinvolti, 1646 operatori dei servizi 0-6 anni che seguono corsi, 370 gruppi che seguono la formazione, 70 aziende coinvolte. Questo è l’identikit di ReMida Bologna Terre d’Acqua, il progetto che trasforma, dando una seconda vita, gli scarti. ReMida nasce nel 1996 a Reggio Emilia da un’idea di Iren Emilia e del comune, con lo scopo di raccogliere materiali dalle rimanenze e dagli scarti della produzione industriale, dando nuovo valore agli errori di produzione, attraverso nuove funzioni. “Noi abbiamo aperto a Bologna nel 2008. Siamo un’associazione di promozione sociale, in cinque siamo impegnati a tempo pieno, ma poi ci sono tante persone che ci gravitano intorno in base alle attività che svolgiamo:artisti, artigiani, architetti, web designer”. Ad introdurci al centro ReMida è Carlotta Ferrozzi, Coordinatrice Pedagogica e Responsabile, una realtà che è stata mappata come virtuosa all’interno dell’Atlante dell’Economia circolare.
Cos’è lo scarto?
“Noi lavoriamo con lo scarto industriale. E per spiegarlo si potrebbe partire dalla domanda che spesso rivolgo ai bambini: cos’è uno scarto? Abbiamo bene l’immagine di quando scartiamo i regali, teniamo il contenuto e buttiamo il resto. Noi invece – spiega Carlotta – teniamo l’involucro e lo riutilizziamo per un nuovo pacchetto o per disegnarci sopra. L’idea dello scarto è proprio questo, tenere qualcosa che sembrerebbe non servire più e che invece grazie alla genialità potrebbe avere un nuovo utilizzo. E’ un cambio di prospettiva che può evitare consumi inutili”.
Ma come funziona? ReMida Bologna_Terre d’Acqua ritira, ogni quindici giorni, da una settantina di aziende della regione Emilia Romagna, in maniera totalmente gratuita, gli scarti di lavorazione e produzione, errori e giacenze di magazzino, non più commercializzabili, garantendo che tutti gli scarti saranno utilizzati per progetti ecocompatibili in contesti culturali, educativi, didattici, sociali, creativi e non a fini di lucro (vendita). “Non si tratta di rifiuti domestici, ma cascami della produzione. Per esempio potrebbe arrivare il cono del filato. Le aziende ci guadagnano in reputazione perchè poi noi tagghaimo sui nostri social le aziende che ci aiutano e poi soprattutto, donando a noi non hanno problemi di smaltimento rifiuti e relativi balzelli. Per alcune aziende grosse si tratta di green washing per altre invece è entrare in un discorso di economia circolare”. Quello che ReMida non raccoglie sono gli scarti tossici, arrugginiti, eccessivamente taglienti o troppo sporchi e compromessi dalla lavorazione.
L’oro per ReMida: legno, rotoli, rocchetti
Chiunque all’emporio può trasformarsi in Re Mida trasformando quello che per alcuni è solo uno scarto in nuovi progetti, in un’ottica di piena sostenibilità. All’interno dell’Emporio gli utenti possono trovare, quindi, diverse tipologie di scarti aziendali: stoffe e filati (yuta, lino, cotone, lana, seta, cordame, nastri, passamaneria), metalli (ferro, alluminio, acciaio, ritagli di rame, parti elettroniche, schede madri, cavi), ceramica, plastica e derivati (plexiglass, policarbonati, minofili sintetici, nylon, acetati, gomma piuma, profilati in gomma spugna, imballaggi, contenitori, rocchetti, fibre poliammidiche texturizzate, bottoni e pre-bottoni, molle, tubi), ferro, carta e cartone (fogli, rotoli, ritagli, prove di stampa), legno (bobine, spole, rocchetti, pallets, profili e bordi fustellati, negativi e sagome, ceppi, pannelli, assi, telai).
Il centro è aperto quattro giorni a settimana e gli utenti possono venire a prelevare il materiale tutto l’anno. L’accesso è consentito agli associati e la quota annua varia dagli 80 ai 100 euro. “Con le chiusure dovute al covid abbiamo adottato un sistema di fornitura anche a distanza, con l’invio di pacchi con materiali selezionati per alcuni tipi di attività rivolte a genitori e bambini” spiega Carlotta che gestisce il centro di Via Turati 13 a Calderara di Reno (Bo) dove quest’anno si sono registrati più di 160 utenti, ma ci tiene a precisare che “non siamo un negozio, chi entra ha un progetto sostenibile. Cerchiamo anche di sensibilizzare alla quantità di prelievo del materiale attraverso dei misuratori, in un’ottica di rispetto dello scarto”.
Il problema? Farsi conoscere dalle aziende
Ad oggi attività come queste volte alla sostenibilità non beneficiano di regimi favorevoli, se non quelli che derivano da essere enti del terzo settore. “Chissà se con tutto questo parlare di transizione ecologica qualcosa cambierà? ma il problema più grande è quello di allargare il giro delle aziende che forniscono materiali, facendoci conoscere anche da altri”.
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