Dal primo gennaio nel nostro Paese è in vigore l’obbligo di raccolta differenziata dei rifiuti tessili in tutti i Comuni. Frutto del recepimento italiano (D.Lgs. 116/2020) delle direttive del pacchetto sull’economia circolare, che ha anticipato la partenza di tre anni, rispetto al 2025 stabilito a livello comunitario.
La rilevanza del tessile in Europa è dimostrata dal fatto che il Piano d’azione europeo 2020 sull’economia circolare l’ha individuato tra i settori prioritari, annunciando la pubblicazione di una Strategia dedicata. Ma quanti sono i rifiuti tessili italiani? Che fine fanno? Chi se ne occupa?
Ecco, in poche cifre tratte dall’ultimo report L’Italia del riciclo 2021 di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Fise Unicircular, uno spaccato della circolarità filiera:
13% La percentuale di imprese di fabbricazione e confezionamento di prodotti tessili e articoli di abbigliamento (questi ultime sono quasi la metà del totale dei prodotti tessili) sul totale delle imprese dell’industria. A livello di addetti, quelli tessili sono il 9% del totale;
162% L’aumento del numero di imprese italiane (nel 2019 erano 2.331) che si occupano di riparazione di articoli tessili, rispetto al 2010;
480.000 Le tonnellate di rifiuti prodotti nel 2019 dalle imprese operanti nel settore tessile e dai cittadini che li conferiscono al sistema pubblico di raccolta. Rispetto al 2010, si osserva un aumento del 39,5%;
30% La percentuale di rifiuti che, sul totale, arrivano dalla raccolta urbana;
228% Il tasso di crescita dei rifiuti tessili da raccolta urbana tra il 2010 e il 2019. Il motivo è in parte effetto del “fast fashion” e, in altra parte, è legato al miglioramento della raccolta differenziata;
2.249 Il numero di soggetti che, a livello nazionale, ricevono i rifiuti del settore tessile e del post-consumo;
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46% La quota di rifiuti del settore tessile che, nel 2019, viene avviato a recupero di materia, mentre l’11% va a smaltimento. Un altro 43%, invece, viene destinato ad attività di tipo intermedio, come pretrattamenti e stoccaggio. Se facciamo riferimento al solo post-consumo – fondamentalmente capi di abbigliamento e accessori e, in misura minore, prodotti tessili come federe o asciugamani – la principale operazione intermedia è lo stoccaggio: un’attività di puro magazzino svolta tipicamente da cooperative sociali che curano la raccolta, in convenzione con i Comuni, tramite i contenitori stradali. Dopo lo stoccaggio, questi rifiuti vanno ai cosiddetti “selezionatori”, aziende specializzate in attività di cernita, preparazione per il riutilizzo e, per i prodotti non rivendibili come usato, trasformazione in pezzame industriale. In particolare, nel 2019, sul totale dei rifiuti tessili, 220.629 tonnellate sono andate a recupero di materia; 1.219 a incenerimento; 105.708 a pretrattamento; 99.181 tonnellate a stoccaggio e 9.646 in discarica;
81.000 Le tonnellate di materia prima seconda (MPS) che le nostre imprese del riciclo hanno prodotto nel 2019. È il Centro (41% del totale nazionale) la macroregione con la quota maggiore, trainata dalla Toscana che rappresenta il 30% della produzione di materie prime secondarie tessili dell’intero Paese. Seguono la Lombardia (22%) e la Campania (20%);
160 Il numero di impianti che in Italia producono MPS tessili;
3.324 Le tonnellate di indumenti e accessori usati importati dall’Italia nel 2019. Il loro valore è stato pari a 2,4 milioni di euro. Il principale Paese da cui importiamo è la Germania;
14.311 Le tonnellate di indumenti e accessori usati esportati dall’Italia nel 2019. Una quantità cresciuta del 18% rispetto al 2019 e destinata principalmente a Tunisia, Guinea e Pakistan;
28.185 Le tonnellate di stracci, avanzi e articoli tessili fuori uso esportati dall’Italia nel 2019 (-7% rispetto al 2010). Destinazioni principali: India, Francia, Pakistan.
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