Il tessile, ormai lo sappiamo, è una delle filiere più impattanti sugli ecosistemi e sull’ambiente. “Il fast fashion è fuori moda e le aziende si devono assumere la responsabilità del fine vita (EPR) dei loro prodotti, spingendo per il riciclo da fibra a fibra, evitando l’incenerimento e il conferimento in discarica dei tessuti”, leggiamo tra gli obbiettivi della Strategia europea per il tessile sostenibile.
L’EPR, Extended Producer Responsibility, in italiano “Responsabilità estesa del produttore”, e quel meccanismo che ad esempio in Italia ha reso possibile la nascita dei consorzi di riciclo degli imballaggi, dei RAEE o dei pneumatici. Coniato nel 1990 da Thomas Lindhqvist, docente della svedese Lund University, il concetto fa riferimento all’idea che il produttore, chi immette un bene sul mercato, debba essere responsabile anche del fine vita dello stesso bene, quando i consumatori, dopo l’uso, se ne libereranno. “Chi inquina paga”, insomma.
Il primo esempio di un EPR per il tessile viene dalla Francia e data 1 gennaio 2007. E in Italia? Nel nostro Paese, al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica si lavora per produrre una bozza di documento per regolare il meccanismo.
In questo “In circolo” abbiamo raccolto i punti di vista di diversi soggetti per capire cosa attenderci dal provvedimento.
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