Nelle scienze comportamentali il concetto di nudge si utilizza per indicare la capacità di orientare le persone verso comportamenti più accorti e consapevoli, senza l’imposizione di obblighi o limitazioni della libertà di scelta. In questo senso è definito come una spinta gentile che facilita, rendendolo più evidente, preferibile o semplice, il cambiamento.
Immagina di pedalare in città con un fazzoletto da buttare in una mano, stretto nel pugno insieme al manubrio. Ai margini della pista ciclabile trovi un cestino posizionato in obliquo, cioè perfettamente allineato alla tua traiettoria. Non devi fermarti né scendere dalla bici per gettare il rifiuto: basta un gesto rapido per centrare l’apertura. Questo è un esempio di nudge realizzato a Copenhagen, in Danimarca: il design dei cestini può quindi invitare a preferire un conferimento corretto rendendolo più facile, ed evita che tu debba fermare la bici o sia costretto a buttare altrove il rifiuto per mancanza di una soluzione pratica.
Il nudge efficace elimina infatti la fatica della scelta e la comodità della trasgressione, avvicinando il più possibile il desiderio di fare la cosa giusta alla capacità di metterlo in pratica. Per questa ragione, il nudge può essere definito anche come una cerniera in grado di accorciare la distanza che intercorre tra l’intenzione di comportarsi in maniera più accorta e l’azione che la realizza. Proprio da questa metafora prende le mosse il libro “La cerniera. La spinta gentile a servizio della sostenibilità” (Pacini editore, collana New Fabric) di Irene Ivoi, progettista esperta di strategie circolari.
Nel volume, Ivoi illustra come interventi di nudge-design ben progettati siano in grado di ridurre le resistenze cognitive ed emotive e di sbloccare comportamenti più sostenibili e responsabili. “La cerniera, in questo caso, è quel dispositivo che avvicina gentilmente due lembi distanti, il volere e l’essere: spesso ci dichiariamo a favore di obiettivi sostenibili, virtuosi e quindi positivi e desiderabili, ma purtroppo non sempre i nostri comportamenti sono coerenti con questi nostri desideri, ed è necessario che un nudge riduca lo scarto tra quello che noi desideriamo essere e quello che siamo” – ha spiegato l’autrice durante l’intervista con EconomiaCircolare.com realizzata alla recente edizione di Ecomondo (qui sotto il video completo).
Spinte gentili: istruzioni per l’uso
Sono tante le “cerniere”, i nudge implementati in Italia e all’estero raccontati dall’autrice con l’obiettivo di evidenziare il loro funzionamento e il loro impatto per incoraggiarne la replicazione. “Pimp my Carroça”, per esempio, è un’iniziativa brasiliana pensata per migliorare la percezione pubblica dei raccoglitori di rifiuti (catadores) abbellendo i loro carretti. Ma questo non è l’unico progetto che, abbattendo dei pregiudizi, è in grado di far rivalutare ciò che ci circonda. “Acquartiere” è un caso nostrano di nudge-design volto a ridurre l’uso di acqua in bottiglia a favore di quella di rete: un progetto specifico per il contesto culturale in cui l’acqua del rubinetto viene percepita come meno sicura o di scarsa qualità, che interviene installando punti di distribuzione d’acqua di rete, filtrata e refrigerata, in spazi pubblici facilmente accessibili, ecc.
Il libro approda poi in Francia per raccogliere testimonianze parigine di riparazione di beni di uso quotidiano, come scarpe e abiti. I mestieri e i laboratori di riparazione, spesso relegati ai margini del sistema produttivo odierno, facilitano l’accesso a un servizio che riduce gli sprechi di uno dei settori più interessati dall’usa e getta, contribuendo a ricostruire un legame pratico ed emotivo tra persone e risorse. Questi laboratori operano infatti non soltanto come luoghi di lavoro, ma anche come centri culturali che promuovono attivamente il riuso attraverso workshop, eventi e iniziative di sensibilizzazione.
I nudge ben costruiti, ci comunica Irene Ivoi tra le righe de “La cerniera”, sono dunque piccoli o grandi attivatori di alternative praticabili. Rivelano, perciò, due cose: che l’architettura delle nostre scelte e dei nostri stili di vita è accessibile e migliorabile anche senza usare alcuna coercizione; e, soprattutto, che un agire alternativo esiste, a condizione di ridurre il potere dei nostri confirmation bias logiche. A questo proposito, l’autrice ci ricorda che, nel momento in cui è stato formalizzato da Richard Thaler e Cass Sunstein, il concetto di nudge ha rappresentato un punto d’inciampo per quanti seguivano rigidamente le linee tracciate dalle teorie economiche classiche, convergenti nell’homo oeconomicus: una figura ideale che vede gli individui razionalmente motivati solo dalla massimizzazione del profitto.
I nudge sono possibili proprio perché gli esperimenti e i test di psicologi ed economisti del comportamento hanno potuto mettere in discussione le teorie del passato dimostrando quanto le decisioni umane sono spessissimo influenzate da bias cognitivi, euristiche e limiti nella capacità di elaborazione logica delle informazioni. L’avversione alla perdita, l’euristica della rappresentatività o la preferenza per lo status quo, per esempio, portano spesso le persone a scegliere opzioni meno ottimali temendo rischi associati alla rinuncia di qualcosa, anche quando una nuova soluzione si dimostrerebbe più vantaggiosa.
Il nudge si inserisce proprio in questo solco, tra l’automatismo e la novità, per aiutare a rendere quest’ultima più evidentemente vantaggiosa e preferibile. Se le persone giudicano la salubrità degli alimenti associando meccanicamente “light” e “naturale” (o altre etichette spesso sfruttate dal marketing) all’immaginario della qualità, allora per riorientare il giudizio verso gli effettivi valori nutrizionali, ma senza lasciare l’occhio da solo di fronte a cifre e informazioni complesse, il nudge del nutri-score guida in modo più chiaro verso scelte d’acquisto più coerenti.
Intervenire e rendere le alternative più evidenti, accessibili e desiderabili, non è quindi semplice a causa di simili resistenze cognitive, che è necessario conoscere e saper smontare.
Nudge o persuasione?
Tali resistenze cognitive, ma anche gli stili di vita e le abitudini che si prova a instaurare o a cambiare attraverso i nudge, sono oggetti molto complessi. Per questa ragione l’autrice ricorda che per modificarli occorre rifarsi a un vero e proprio design del comportamento: una cornice teorica e pratica all’interno della quale si è chiamati a dare una lettura attenta e tra le righe del sociale, e a destreggiarsi col delicato strumento della persuasione. Il nudging è infatti definito paternalistico perché orienta e spinge verso comportamenti considerati virtuosi, ma anche insieme libertario poiché lascia intatta la possibilità di scegliere diversamente: proprio questa tensione ossimorica tra paternalismo e libertà costituisce uno dei nuclei di discussione principali che riguarda il rapporto dei nudge con la persuasione, un concetto che ha trovato ampio spazio nella letteratura recente sulla società dei consumi.
Il sociologo statunitense Vance Packard la tratta sin dal titolo di una delle sue opere più famose, “I persuasori occulti” (1957), in cui analizza e denuncia le strategie pubblicitarie volte a influenzare inconsciamente i comportamenti dei consumatori e a rendere l’acquisto un gesto identitario e svincolato da bisogni autogeni. La persuasione non è dunque sempre uguale: quella occulta è quella manipolazione massmediatica che maschera gli interessi commerciali di una società iperconsumistica dietro una libertà individuale indebolita perché ristretta a scelte perlopiù inconsapevoli e dissonanti, cioè dirette nei presupposti verso i propri bisogni e negli effetti verso quelli dell’iperconsumo stesso. La spinta poco gentile dei persuasori occulti non porta infatti a riorganizzare l’architettura delle scelte a partire da una rinnovata accessibilità ad alternative più virtuose e sostenibili e all’indebolimento di euristiche, bias e fallacie logiche; al contrario, sfrutta queste ultime e le irrigidisce per limitare, e non allargare, l’orizzonte di informazioni e di opzioni alternative – d’azione e d’immaginazione – disponibili.
La comprensione delle vulnerabilità cognitive umane si può quindi utilizzare in vario modo: non solo per persuadere a compiere delle svolte comportamentali che portino ad azioni più sostenibili e responsabili, ma anche per persuadere alla costruzione di bisogni artificiali o di aspirazioni e promesse che non fanno dell’agire (e del consumare in particolare) davvero un tramite, bensì un punto d’arrivo. Le accezioni del termine “persuasione” sono dunque nettamente distinguibili. Se il nudge, come abbiamo detto, si inserisce come ponte tra cognizioni/azioni abituali e alternative desiderabili e consapevoli, la persuasione occulta invece si frappone tra le prime e qualsiasi tentativo di risolverle al di fuori di gesti consumistici, che dunque rubano la scena agli altri possibili, e che, al posto di accorciare, amplificano vertiginosamente il divario tra ciò che le persone credono di volere e ciò di cui avrebbero bisogno. Un divario che nonostante tutto bisogna poter immaginare richiudibile, cerniera dopo cerniera…
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