Sentiamo parlare spesso della necessità di integrare un corretto approccio alle questioni di genere all’interno del lavoro quotidiano di ricercatrici e ricercatori, soprattutto per quel che concerne la crisi climatica. Ma come si stanno muovendo alcuni tra i maggiori organismi scientifici internazionali in questo senso?
Una piccola speranza ci arriva dal webinar “Parità di genere e mondo della ricerca. Riflessioni ed esperienze a confronto dalla comunità scientifica”, organizzato dal Centro Euro-mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC).
Nel corso dell’incontro online, tenutosi lo scorso primo febbraio, sono emerse infatti le strategie che il CMCC stesso ma anche l’IPCC, il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU, sta mettendo in campo per far sì che le questioni di genere siano una priorità dentro e fuori i centri di ricerca, con risultati tangibili negli stessi report.
Il percorso del CMCC
Una prima panoramica è stata fornita da Donatella Spano, docente dell’Università di Sassari, vincitrice dell’edizione 2021 del premio Donna di Scienza, è parte del comitato strategico del CMCC e ha guidato il team a capo del programma per la parità di genere, il Gender Equality Plan (GEP).
“Equità ed inclusione, – ha detto nel corso dell’incontro – cioè i concetti base di diversità su cui dobbiamo allinearci quando vengono affrontate le questioni di genere, non andrebbero portati avanti separatamente dalla costruzione e dallo sviluppo di un’istituzione: devono guidare non solo i documenti ufficiali ma tutto ciò che condividiamo all’interno di una comunità, di un’istituzione e anche come ci relazioniamo al di fuori”.
Spano ha poi tracciato il percorso del CMCC verso una maggiore parità di genere, iniziato nel 2021 con la costituzione del Comitato Strategico; sono seguite altre azioni che comprendono attività di formazione, pubblicazione di linee guida sul linguaggio inclusivo, training su leadership inclusiva fino ad arrivare ad un più definito Gender Equality Plan (GEP): per altro, requisito di accesso richiesto dalla Commissione Europea per la partecipazione a tutti i progetti, secondo la Strategia della Commissione per l’Uguaglianza di genere 2020-2025.
Nello specifico, gli obiettivi del piano operativo sono aumentare la consapevolezza sui temi di genere, sostenere l’equilibrio di genere all’interno del personale, soprattutto nelle posizioni di leadership – nota dolente di tutti i luoghi di potere che non risparmia neanche il CMCC, come emerso dall’analisi sulla composizione del personale – promuovere attività di ricerca con una prospettiva di genere, migliorare il benessere individuale e implementare misure di contrasto alle discriminazioni e alla violenza di genere.
Per il 2024, aggiunge Spano, sono previste una serie di misure, dall’aggiornamento del codice etico, a nuove formazioni sino al fissare nuovi obiettivi.
Per ora riportiamo i piani di azione e le iniziative messe in atto che appaiono positive ma, come sottolinea anche Spano, vanno monitorate e ne va osservato l’effetto.
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Donne nell’IPCC: difficoltà e progressi
“Quando sono arrivata nell’IPCC non c’era una politica di genere”, a raccontare la sua esperienza nel corso del webinar è Anna Pirano, scienziata del CMCC e dell’IPCC, è parte del team di supporto scientifico della delegazione italiana per i negoziati climatici, è stata membro del Gender Task Group per lo sviluppo di una politica di genere all’interno dell’IPCC.
Una criticità, quella della scarsa presenza delle autrici rispetto agli autori all’interno dell’IPCC, che avevamo già raccontato su EconomiaCircolare.com e che seppur in miglioramento – si va da meno del 10% di donne nel 1990 a poco più del 30% nel 2021 – stride con i valori che stanno alla base della scelta di chi redige i report.
Sono infatti tre, spiega la scienziata, i criteri sui quali si basa la scelta degli autori e delle autrici:
- conoscenza: deve riflettere una gamma ampia di conoscenze scientifiche e tecniche
- provenienza: gli autori devono provenire da tutte le parti del mondo e avere una buona rappresentanza tra “Paesi sviluppati e in via di sviluppo”
- equilibrio tra uomini e donne
Ed è proprio da quest’ultimo punto che Pirano e il suo team hanno iniziato a lavorare nel 2016, non senza difficoltà. “Incredibilmente – aggiunge – mancava anche un codice etico che potesse essere la linea guida per il nostro lavoro, per rendere l’ambiente lavorativo appropriato e sicuro. Lo abbiamo quindi dovuto creare da zero prendendo spunto, ad esempio, da quello delle Nazioni Unite”.
Un lavoro che, dopo anni, è purtroppo ancora in corso per un problema che forse è comune anche altre grandi organizzazioni. “La maggior difficoltà che abbiamo affrontato – spiega – è l’aspetto legale, cioè quando il codice etico non è rispettato ci vuole un processo formale per risolvere o giudicare le conseguenze. In un contesto intergovernativo e internazionale come quello dell’IPCC, dove gli autori sono provenienti da tante istituzioni diverse, l’IPCC non ha un mandato legale sul comportamento degli autori e non può agire sul comportamento dei rappresentanti dei governi”.
Anche nell’IPCC sono diverse le attività che, appoggiandosi a dei consulenti esterni, sono state promosse negli ultimi anni per rispondere alle esigenze di parità di genere: oltre a formazioni, webinar e attività obbligatorie per tutti e tutte, azioni rivolte a chi ha ruoli di leadership e di coordinamento, e opportunità di condividere spontaneamente con esperti questioni o idee.
Tuttavia, come sottolinea Pirano, “non è sufficiente parlarne bisogna mobilitare e allocare risorse per mettere in atto attività, percorsi e strutture. C’è bisogno di un protocollo formale per implementare il codice di condotta. Per l’IPCC sarà importante quest’anno lavorare su questo aspetto”.
Quello che le scienziate intervenute nel corso del webinar hanno tenuto a sottolineare è che queste misure hanno, in pratica, un duplice vantaggio: da una parte il benessere all’interno dell’ambiente lavorativo, dall’altra una maggiore accuratezza del lavoro prodotto, e dunque anche una maggiore possibilità che venga accettato dalla società civile.
“Per l’IPCC – spiega Pirano – l’integrazione della diversità, l’uguaglianza, l’inclusione, aumenta la qualità del rapporto da un punto di vista diversità scientifica: non solo migliora la qualità del prodotto ma impatta anche la rilevanza politica e il suo impatto finale”.
L’IPCC sta infine organizzando l’IPCC Expert Meeting, una riunione formale di esperti dalla quale proverranno raccomandazioni di cui l’organismo deve prendere atto. Si terrà nel corso del 2024 e tratterà ampiamente gli argomenti diversità, equità e inclusività dal punto di vista della valutazione scientifica dell’organo di ricerca.
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I numeri raccontano
A ricordare la necessità di queste misure è stata poi Tonya Blowers, coordinatrice di Organization for Women in Science for the Developing World (OWSD), un’unità di programma dell’Unesco che mette insieme eminenti scienziate con l’obiettivo di rafforzare il loro ruolo all’interno del processo di crescita e di promuovere la loro rappresentanza nella leadership scientifica e tecnologica.
Blowers ha riportato alcuni dati significativi. Nel mondo solo il 30% delle studentesse sceglie materie Stem e solo il 45% di tutte le donne del mondo ha un collegamento internet.
D’altronde, se proseguiremo in questo modo, per raggiungere l’obiettivo 5 dell’Agenda 2030 che riguarda l’uguaglianza di genere impiegheremo appena 300 anni: situazione esacerbata dai conflitti, dagli effetti della crisi climatica e dalla pandemia.
Blowers ha poi fatto riferimento al Premio Nobel, esempio emblematico della considerazione delle donne in ambito scientifico. In più di 120 anni infatti ne hanno ricevuto uno solo 65 donne in totale, contro i 905 premi assegnati agli uomini. Tra questi, i premi Nobel nelle discipline STEM riservati alle donne sono ancor più esigui.
A questo proposito, il report dell’UNESCO Science Report: The Race Against Time for Smarter Development del 2021 presenta alcuni dati utili ad inquadrare meglio il fenomeno. Ad esempio il numero di ricercatrici nel mondo in base all’area geografica variano dal Sud Est Europa dove la percentuale è del 51,2%, passando per l’Unione europea dove è solo del 33%, fino ad arrivare al 26% del Sud-Est asiatico. Per quanto riguarda i singoli Paesi, si va dall’Argentina in cui si raggiunge oltre il 50% al Giappone con solo il 16%, ma non va meglio in Germania con il 27%, in Svezia con il 32% e anche l’Italia arriva solo al 34% di donne ricercatrici.
Blowers sottolinea inoltre un aspetto fondamentale all’interno della ricerca che riporta il lavoro di molte donne, al netto della giusta suddivisione del lavoro domestico e di cura, ad una dimensione umana. “Il viaggio necessario per arrivare ad essere uno scienziato o una scienziata eccellente è tortuoso, magari devi fermarti per prenderti cura di qualcuno nella famiglia, un anziano, un bambino o un teenager che ha bisogno di attenzioni: sono responsabilità di famiglia che in questo momento cadono per la maggior parte sulle donne. Può anche essere che la giornata abbia delle interruzioni o che non tutti riusciamo a lavorare ogni mese dell’anno allo stesso modo: abbiamo dunque sviluppato dei meccanismi che riconoscono questi bisogni”.
“Sono esperienze – aggiunge – che portano una vitalità e una conoscenza dei bisogni della comunità che è fondamentale nello sviluppo della scienza. Quindi, invece di scusarci quando in un colloquio ci chiedono ‘in questi due anni cosa è successo’, vogliamo riconoscere che questi momenti ci portano a capire le difficoltà delle altre persone e ad implementare soluzioni. L’esperienza delle donne e delle persone che non sono nel mainstream portano elementi che hanno un valore incalcolabile”.
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