Tra il 2003 e il 2020 in Italia hanno perso la vita 378 persone a causa di frane, valanghe, alluvioni e violente tempeste. A preoccupare è soprattutto la crescente frequenza e intensità di questi eventi, legata ai cambiamenti climatici. Da gennaio a maggio 2023, si sono verificati 122 eventi meteorologici e idrogeologici estremi, il 135% in più rispetto ai 52 registrati nello stesso periodo del 2022.
Oltre il 90% dei Comuni italiani è a rischio, con più di 8 milioni di abitanti esposti agli effetti, anche se a essere più colpite sono le aree montane dell’Italia e i Comuni più isolati. Mentre le regioni che hanno subito i danni maggiori sono stati Trentino-Alto Adige, Lombardia, Sicilia, Piemonte, Veneto, Abruzzo e Valle d’Aosta.
È un quadro preoccupante quello che emerge dallo studio di Enea “Mortality from extreme meteorological and hydrogeological events in Italy: a rising health threat connected to climate change”, pubblicato su Safety in Extreme Environment, realizzato da Raffaella Uccelli e Claudia Dalmastri. Per dimostrare quanto sia pericoloso il trend, le ricercatrici Enea hanno calcolato la mortalità associata a eventi meteorologici e idrologici estremi nei vari Comuni italiani per il periodo 2003-2020.
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Danni per il territorio e le persone
“Gli eventi meteorologici estremi sono aumentati sia per frequenza che per intensità e si prevede che il loro numero crescerà ulteriormente in futuro, come conseguenza dei cambiamenti climatici”, è l’amara constatazione delle due autrici fin dalle prime righe dello studio. Quanto eventi climatici estremi e cambiamento climatico siano collegati tra di loro si comprende dalle previsioni fatte dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change): i danni diretti delle inondazioni previsti in futuro saranno da 1,4 a 2 volte superiori con un aumento di 2 °C del riscaldamento globale rispetto a 1,5 °C e di 2,5-3,9 volte per un aumento della temperatura di 3 °C.
È evidente, insomma, l’impatto drammatico sull’ambiente e sui territori della crescita considerevole di eventi meteorologici estremi. L’Italia è una nazione particolarmente colpita sia per le sue caratteristiche geografiche e idrogeologiche, sia per il peso notevole della popolazione residente over 65, più fragile, che è costantemente aumentata negli anni, passando dal 16% del totale nel 2001 al 24,1% a inizio 2023 (dati Istat).
La mortalità è l’unico indicatore sanitario disponibile per tutti i Comuni italiani, ma “considerare solo questa variabile – precisano le autrici – sottostima l’impatto reale degli eventi estremi” perché non tiene conto delle persone che sono sopravvissute, alcune delle quali con gravi traumi fisici e psicologici, e altri danni indiretti come i costi per le cure mediche e l’assistenza ai cittadini coinvolti, i danni alle infrastrutture e alle abitazioni, la contaminazione delle acque e la maggiore diffusione delle malattie infettive.
A tutto ciò si sono aggiunte le temperature estreme registrate in vari periodi dell’anno. Le ondate di calore e di freddo hanno avuto un impatto diretto sulla salute delle persone, in particolare gli individui più vulnerabili come gli anziani, ma anche indiretto attraverso gli effetti sull’ambiente. “Le temperature estreme ad esempio – si legge nello studio – possono prosciugare fiumi e laghi, con conseguenze su tutti gli organismi viventi che dipendono da essi, e rendere i terreni più aridi, con un maggiore rischio di incendi e una riduzione della produttività agricola”.
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I dati sulla mortalità nel dettaglio
Nel periodo esaminato di 18 anni hanno complessivamente perso la vita in Italia 378 persone: nello specifico 321 decessi sono stati causati da frane e valanghe, 28 da violente tempeste e 29 da inondazioni. A livello demografico, le vittime sono state 297 uomini e 81 donne. Secondo le autrici dello studio “la ragione di questa disparità fra i sessi potrebbe essere collegata, almeno in parte, a diversi stili di vita, alle attività svolte, agli spostamenti casa-lavoro e alle differenze nel tempo trascorso all’aperto”.
Le regioni con il maggior numero di decessi e di Comuni coinvolti sono risultate Trentino-Alto Adige (73 decessi e 44 comuni), Lombardia (55 decessi e 44 comuni), Sicilia (35 decessi e 10 comuni), Piemonte (34 decessi e 28 comuni), Veneto (29 decessi e 23 comuni) e Abruzzo (24 decessi e 12 Comuni). Altre regioni con un elevato numero di Comuni coinvolti e, in alcuni casi, con un alto numero di decessi sono state anche l’Emilia-Romagna (14 decessi e 12 comuni), la Calabria (12 decessi e 10 comuni) e la Liguria (19 decessi e 10 comuni). Tra le regioni ad alto rischio c’è anche la Valle d’Aosta con 8 decessi, un dato notevole se visto in rapporto al numero degli abitanti.
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Quali Comuni sono più colpiti e a rischio elevato
Come emerge dalle statistiche, non è tanto la divisione geografica Nord-Centro-Sud Italia la discriminante per la maggiore o minore mortalità e la probabilità di un comune di essere duramente colpito dagli eventi climatici estremi, quanto variabili orografiche e caratteristiche intrinseche dei centri abitati. In poche parole: il rischio è superiore nei Comuni montani e con una bassa densità di popolazione. Dei 247 Comuni italiani con almeno un decesso, circa il 50% erano centri poco abitati e località montane.
Mentre negli agglomerati urbani con un’alta densità di popolazione il rischio è stato inferiore. L’ipotesi delle autrici è che queste aree siano meno pericolose rispetto ai Comuni isolati perché hanno maggiori protezioni infrastrutturali e richiedono tempi più brevi affinché i soccorsi arrivino ed siano operativi. Le regioni più colpite, infatti, sono state proprio quelle più montuose: Trentino-Alto Adige, Lombardia, Piemonte, Veneto, Valle d’Aosta, Abruzzo e Sicilia, oppure comuni molto isolati nelle Marche o in Sardegna.
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Un preoccupante e costante crescita di eventi estremi
La crescita del numero e della frequenza degli eventi meteorologici estremi è confermata anche da altri rapporti periodici stilati dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), da Legambiente e dall’Istituto Italiano per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Quest’ultimo, in particolare, ha sottolineato l’aumento consistente di frane e alluvioni. La situazioni non è né diversa né migliore nel resto d’Europa. L’estate del 2022 è stata la più calda mai registrata nel Vecchio Continente, con vaste aree distrutte da incendi boschivi mentre, d’altro canto, alcune zone hanno vissuto forti ondate di freddo.
Sulla base degli scenari climatici futuri, è probabile che le precipitazioni annue e le forti piogge saranno una costante nel Nord Europa, con periodi di siccità sempre più rari, mentre l’Europa centrale sperimenterà precipitazioni estive inferiori rispetto al passato ma eventi meteorologici estremi più gravi (forti piogge, inondazioni, siccità e incendi), e una marcata alternanza nei dodici mesi tra periodi di aridità e di precipitazioni intense. Nell’Europa meridionale, infine, si prevede una diminuzione delle precipitazioni annue e delle precipitazioni estive, mentre è probabile un aumento di aridità, siccità e incendi.
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Agire subito per mitigare i rischi
Al di là del valore statistico dello studio, spiegano le autrici, “la conoscenza delle aree italiane a maggior rischio può essere utilizzata nei processi decisionali per valutare le priorità, allocare le risorse finanziarie, definire le misure di allerta e intraprendere azioni preventive o di mitigazione”. Tuttavia, “nonostante la crescente consapevolezza scientifica del legame tra cambiamento climatico e salute, le azioni intraprese finora non sono sufficienti a contrastarne gli effetti”, notano le ricercatrici di Enea. Affrontare gli eventi idro-meteorologici, invece, è una priorità e una sfida di governance e le autrici individuano alcune azioni da intraprendere in tempi rapidi per mitigare i danni.
“La prima necessità nelle regioni e nei comuni ad alto rischio di mortalità – si legge nelle conclusioni dello studio – è attuare piani d’azione a lungo termine volti a garantire la sicurezza delle persone, degli edifici e dei beni. In secondo luogo, quando le azioni preventive risultano insufficienti, è importante essere preparati ad attivare le strutture sanitarie, anche rispetto ai posti letto e alle terapie adeguate per i traumi fisici e psicologici subiti dalla popolazione. Strategie di emergenza – proseguono le autrici – per evitare il consumo di cibo e acqua contaminati, potenziale causa di epidemie, devono essere attivate immediatamente. In terzo luogo, devono essere subito operativi ed efficaci i piani tecnici volti al ripristino di tutte le condizioni ambientali, infrastrutturali, economiche e sociali preesistenti all’evento estremo”.
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