Quale atteggiamento e quali aspettative hanno le aziende del settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche, e della gestione dei rifiuti che ne derivano, rispetto all’utilità di attuare pratiche orientate alla sostenibilità e di dotarsi delle competenze necessarie? Quali sono in particolare le competenze che il settore percepisce come più utili in questa fase? Per scoprirlo, EconomiaCircolare.com ha chiesto a un gruppo di aziende di rispondere a una serie di domande sul tema nell’ambito del progetto Training for Circularity – Borse di studio WEEE edition, il programma formativo promosso insieme a Erion WEEE, consorzio del sistema Erion dedicato alla gestione dei RAEE, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali e al Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA.
I risultati emersi dalle 25 risposte ricevute forniscono un quadro chiaro delle esigenze e delle priorità del settore, evidenziando sia le competenze che le aziende ritengono da potenziare per supportare l’economia circolare, sia le sfide da affrontare per integrarle efficacemente nei propri processi. Dal design sostenibile alla gestione delle catene di approvvigionamento, dall’innovazione nei modelli di business alla valutazione delle performance ESG, queste aree critiche sono quelle su cui la formazione dovrà focalizzarsi per colmare il gap tra le competenze attualmente disponibili e quelle richieste, per favorire l’integrazione dell’economia circolare lungo tutti i processi, dalla produzione al fine vita.
Il fabbisogno di competenze del settore AEE/RAEE: parola alle imprese
Le organizzazioni che hanno partecipato al questionario operano principalmente a livello internazionale e variano in dimensione, con una maggioranza di PMI (Piccole e medie imprese) seguite da micro-imprese e da alcune aziende di grandi dimensioni.
Le attività delle organizzazioni partecipanti sono piuttosto diversificate, ma si osserva una marcata focalizzazione nell’ambito della produzione (44%), seguita dallo sviluppo (16%), ricondizionamento e riciclo (16%) e logistica (12%).
Il grafico a torta che segue invece, illustra come le organizzazioni percepiscono il loro livello di maturità rispetto all’adozione di pratiche circolari. Il 92% si trova ancora nelle fasi iniziali del percorso, con il 20% che dichiara di non sapere cosa sia l’economia circolare, un altro 20% che non sa come applicarla all’interno dei propri processi aziendali, e un terzo 20% che non la traduce in operatività nonostante conosca la sua importanza. Il 32%, invece, in virtù di una buona conoscenza dell’economia circolare, cominciare ad adottare alcune pratiche correlate alla propria attività. A completare il grafico rimane l’8%, che comprende le aziende che si considerano mature e che fanno della circolarità il fulcro del loro business, e che perciò lavorano per migliorare la catena di fornitura e garantire la qualità dei prodotti.
La scarsa maturità delle aziende nell’implementare pratiche circolari evidenziata nel grafico precedente è dovuta anche alla mancanza di conoscenze interne necessarie per applicarle.
Questo grafico evidenzia quali, tra le competenze considerate importanti, ciascuna azienda ritiene debbano essere sviluppate ulteriormente per sostenere l’adozione dell’economia circolare. Dalla conoscenza delle normative ambientali all’innovazione tecnologica e fino alle capacità tecniche specialistiche per la gestione dei materiali e dei rifiuti, affinché si possano via via implementare pratiche di riciclo più avanzate e utilizzare e riutilizzare le risorse in modo più efficiente. Alcune aziende sottolineano inoltre l’importanza di competenze trasversali, come la resilienza e la capacità di adattamento alle sfide ambientali e di mercato.
Come emerge dal grafico in alto, la maggior parte delle aziende non è attualmente alla ricerca di personale con competenze specifiche per le strategie di circolarità e sostenibilità. Le ragioni di questa scarsa propensione a “portare a bordo” personale dedicato a sviluppare pratiche di circolarità sono ravvisabili anche nelle risposte agli altri quesiti: molte aziende – e non a caso la maggior parte di quelle che prendiamo qui in esame sono PMI – non percepiscono come rilevante per i loro destini l’investimento in sostenibilità. A questo si aggiunge la mancanza di risorse economiche finalizzate ad assumere personale qualificato, ma anche la difficoltà di coniugare le attività ordinarie con l’impegno nella riprogettazione dei processi per implementare la doppia transizione.
La scarsa propensione ad assumere persone con queste competenze trova poi una concausa rilevante in un’offerta ancora troppo poco qualificata e non del tutto rispondente alle effettive esigenze delle singole filiere: da qui la necessità di leggere sempre più nel dettaglio queste esigenze e di costruire percorsi formativi il più possibile “su misura”.
Come accennato, tra le motivazioni per cui le aziende non assumono personale con competenze in sostenibilità c’è la mancanza di “denaro/fondi/incentivi”. Inoltre, il fatto che la sostenibilità non sia ancora vista come una priorità da alcune aziende (52,4%) potrebbe indicare una percezione limitata del ritorno sull’investimento associato a queste stesse competenze.
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