giovedì, Novembre 6, 2025

Controconsumo nel mondo beauty: ecco le pratiche che sfidano l’eccesso

Mentre il mercato della cosmesi cresce, c'è chi decide di dire basta all'eccesso, senza rinunciare a prendersi cura di sé. Vi raccontiamo iniziative di controconsumo per beauty routine più sostenibili

Vittoria Moccagatta
Vittoria Moccagatta
Classe 1998. Laureata in filosofia all'Università degli Studi di Torino, è dottoranda in Design for Social Change presso l'ISIA Roma Design. È stata ricercatrice per il progetto "Torino città solidale e sostenibile"

Il mercato globale della cosmesi e della cura personale, stimato in 646 miliardi di dollari nel 2024, rappresenta una delle industrie più floride a livello internazionale. Con una crescita media annua prevista del 3,33% almeno fino al 2028, il settore continua a espandersi, trainato da dinamiche di consumo che, sebbene redditizie, sollevano alcune riflessioni critiche sulla sostenibilità ambientale e sociale, e sull’iperstimolazione indotta dal marketing. A queste si aggiunge la nascita di movimenti e campagne social che provano a rimettere al centro pratiche di consumo più sostenibili e responsabili.

Reazioni all’eccesso nate principalmente online, che propongono un diverso modo di intendere la bellezza: meno orientato all’accumulo e più attento alla durata, all’uso e alla qualità dei prodotti. Pur restando fenomeni di nicchia, queste iniziative riflettono un cambiamento culturale che spinge sempre di più a interrogarsi sulle proprie abitudini di acquisto e sui modelli di consumo.

Skincare e consumi: come cresce il mercato della cosmesi

La categoria dominante del settore, cioè la cura della pelle (“skincare” in inglese), ha conquistato circa il 40% del mercato globale nel 2024 e si prevede cresca del 6% annuo nei prossimi quattro anni. Questo successo è legato anche all’ampliamento della base degli utenti, che oggi include target giovanissimi come la cosiddetta Gen Alpha e, in misura crescente, il pubblico maschile. Uno dei più grandi motori di crescita della categoria, e del settore in generale, rimane la frequente immissione nel mercato di prodotti presentati come altamente innovativi in virtù di ingredienti che, per esempio, promettono effetti simil-botox senza ricorrere a trattamenti invasivi. Ma più che davvero innovativi, anche i prodotti beauty devono soprattutto essere rinnovati e sostituiti: è la naturale conseguenza di un sistema che si sostiene grazie alle vendite e che perciò necessita di un flusso continuo di domanda e di ricambio della merce. Ogni stagione o moda porta quindi con sé nuovi attivi, texture e colori, in un meccanismo che amplia senza sosta le varianti di maschere di bellezza, trucchi, creme e non solo. Per giustificare la sovrabbondanza di cosmetici spesso simili tra loro, si ricorre a narrazioni di specifici canoni estetici ai quali conformarsi, ma anche al culto dell’iper-specializzazione: prodotti progettati per zone del viso sempre più specifiche o per esigenze talmente mirate da trasformare dettagli trascurabili in nuovi bisogni.

Bisogni ai quali risponde anche il ventaglio di offerte di dispositivi tecnologici per uso domestico, proposti come strumenti essenziali per ottimizzare l’applicazione e l’efficacia dei trattamenti di bellezza: stiamo parlando di apparecchiature elettriche ed elettroniche come piastre “intelligenti” per capelli, lampade LED portatili per unghie, strumenti per il fotoringiovanimento fai-da-te e dispositivi sonici per la pulizia del viso un tempo prerogativa dei centri estetici e ora disponibili a costi irrisori sui marketplace e nei negozi fisici. Quelli più assurdi e superflui li abbiamo raccolti nel catalogo della campagna di EconomiaCircolare.com “L’e-commerce dell’assurdo” per riflettere sulle derive dell’iperconsumismo, che non si esauriscono con l’acquisto compulsivo. Come evidenzia anche il dossier “Contenitori senza trucco”, realizzato da EconomiaCircolare.com in collaborazione con Junker app, la complessità dei packaging cosmetici e la carenza di informazioni chiare generano errori diffusi nello smaltimento. Mascara, ombretti, flaconcini o salviette struccanti – per non parlare delle apparecchiature elettriche ed elettroniche per la beauty routine – finiscono spesso nell’indifferenziato, compromettendo i processi di riciclo e aggravando l’impatto ambientale.

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A proposito di e-commerce

Nel Regno Unito si stima che entro la fine del 2025 il 56,3% del fatturato del beauty sarà generato dalle vendite online. L’e-commerce si è integrato con esperienze digitali avanzate realtà aumentata, algoritmi di personalizzazione, community online modificando il rapporto tra marca e consumatore. Piattaforme come Temu e Wish, ma anche TikTok Shop (370 milioni di vendite beauty nel 2024 solo nel Regno Unito) hanno amplificato il fenomeno, portando alla ribalta brand come Made by Mitchell o Hair Syrup grazie a trend virali. La pressione ad acquistare è spinta anche da contenuti social che oscillano tra intrattenimento e promozione: spesso gli influencer, più vicini al ruolo di testimonial commerciali che a quello di esperti indipendenti, alimentano un cortocircuito tra autenticità e logiche di mercato.

Nell’era dell’iperconsumismo, il rovescio della medaglia della democratizzazione della bellezza è la natura usa-e-getta dei prodotti che la dovrebbero realizzare: fragili, spesso non riparabili, concepiti per essere sostituiti e di fatto rimpiazzati rapidamente, anche quando funzionano ancora o quando il flacone non è nemmeno terminato; una dinamica che intensifica l’accumulo di rifiuti cosmetici, packaging non riciclabili e scarti generati dal turnover incessante dei prodotti. La promessa di una bellezza hi-tech “self-service”, veloce e accessibile, si traduce così in un’estetica dell’accumulo più che della cura, dove la ricerca del beneficio cede il passo alla pressione costante del rinnovamento. 

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La bellezza del controconsumo

In questo contesto nascono progetti di controconsumo, sfide collettive e movimenti social per spostare l’attenzione dal “cosa comprare dopo” al “cosa sto già usando”. Tra i più noti, il Project Pan invita le persone a terminare i prodotti che già possiedono prima di lasciarsi tentare da nuovi acquisti. Il nome stesso deriva dall’idea di “raggiungere il fondo della confezione” che in inglese si dice “hitting pan”, un’espressione che richiama la visione del fondo metallico di una cialda di cipria, blush od ombretto man mano che il prodotto viene utilizzato. L’obiettivo è trasformare il semplice gesto di finire un prodotto in un atto di responsabilità e consapevolezza sul proprio stile di consumo, ma anche in una narrazione pubblica: sui social, molti utenti e influencer condividono foto e aggiornamenti sui prodotti arrivati “a fondo”, trasformando il gesto in un piccolo traguardo personale.

In modo simile, il movimento Shopping Your Stash propone la sfida di riscoprire i prodotti dimenticati nei cassetti prima di comprarne di nuovi. Il concetto è semplice: “fare shopping” nel proprio armadio o beauty case, valorizzando ciò che già si possiede e dando nuova vita a ciò che non si usa più. A questa logica si ispira anche la pratica del Weekly Basket, che invita a selezionare, a inizio settimana, un piccolo kit di prodotti già acquistati da utilizzare lungo i sette giorni. È un esercizio di focalizzazione che aiuta a ridurre la dispersione e il desiderio costante di novità. Al termine della settimana, si riflette su quanto e come quei prodotti siano stati effettivamente usati, al fine di riscoprire il valore dell’uso e non solo dell’acquisto.

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Ci sono inoltre trend di beauty routine minimaliste che stanno riportando al centro l’idea di una bellezza più essenziale e consapevole. Si tratta di pratiche che invitano a semplificare, a scegliere prodotti versatili e di qualità, riducendo l’eccesso e promuovendo una cura della persona più mirata e sostenibile. Un elemento chiave che promuovono è la riscoperta della multifunzionalità. Per esempio, alcuni rossetti possono essere usati anche come blush, alcune creme come primer: soluzioni semplici, che non solo ottimizzano l’uso dei prodotti, ma riducono anche sprechi e spese. Questa stessa sensibilità si inserisce anche in un fenomeno più ampio emerso sui social: le tendenze dell’underconsumption e del de-influencing. I contenuti che ne fanno parte invitano a ridurre gli acquisti impulsivi, evitare sprechi e riscoprire il vero valore della propria collezione di cosmetici. Emblematico è il successo di format come le empties reviews” e i monthly empties”, in cui influencer e appassionati non si limitano a mostrare i prodotti terminati, ma ne offrono recensioni ragionate solo dopo averli effettivamente utilizzati fino in fondo. Questo ribalta la logica della shopping craze e sposta l’attenzione verso un rapporto posato e critico rispetto al consumo beauty.

Nati come fenomeni di nicchia, questi progetti intercettano oggi un bisogno diffuso di rallentare e dare nuovo valore ai gesti quotidiani, opponendosi alla logica dell’acquisto impulsivo con quella della scelta consapevole. E forse è proprio in questo cambio di prospettiva che si gioca la sfida culturale più interessante per il futuro della cosmesi.

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