Svolgono un ruolo cruciale negli equilibri ecologici globali, ma sono sempre più vulnerabili per via dei cambiamenti climatici: le barriere coralline (reef), sono “ecosistemi cruciali per la biodiversità marina e la sopravvivenza di molte comunità costiere”. Uno studio pubblicato sulla rivista Advanced Materials propone delle soluzioni per affrontare la progressiva degradazione delle barriere coralline, basandosi su tre coordinate: ecocompatibilità, efficacia e rapidità d’intervento.
Perché i coralli sono importanti
I coralli sono invertebrati marini che funzionano come olobionti, ossia organismi che vivono in stretta simbiosi con una complessa comunità di microrganismi. Producono carbonato di calcio per formare il loro esoscheletro, che a sua volta costruisce le barriere coralline, tra gli ecosistemi più biodiversi del pianeta.
Le barriere coralline hanno una grande importanza economica ed ecologica: contribuiscono in modo significativo alle economie locali attraverso il turismo e la pesca. L’impatto del cambiamento climatico, e in particolare l’aumento delle temperature dell’acqua marina, sta mettendo a rischio questi ecosistemi vitali. Lo stress ambientale indebolisce infatti il sistema immunitario dei coralli, rendendoli più vulnerabili alle malattie.
Si stima che entro il 2100 circa l’80% dei coralli sarà infetto. La vulnerabilità dei coralli agli attacchi patogeni è strettamente legata ai cambiamenti climatici: l’aumento delle temperature marine e il degrado della qualità dell’acqua ne indeboliscono le difese, rendendoli più suscettibili alle malattie.
L’interazione tra coralli e patogeni (batteri, funghi e virus) avviene tramite vettori biotici (componenti viventi di un ecosistema) o abiotici (non viventi), come predatori, correnti marine, movimenti dei sedimenti, scarico di fanghi e inquinamento da plastica.

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Prima della biopasta green e del cerotto
La restaurazione dei coralli non è cosa nuova: fino ad oggi si è basata per lo più sulla coltivazione e sul trapianto di colonie sui reef danneggiati. I metodi tradizionali di fissaggio, come l’uso di resine epossidiche a base di petrolio, possono comportare rischi ambientali e non garantiscono un’adesione inefficace.
Le strategie terapeutiche attualmente utilizzate possono prevedere la rimozione meccanica del tessuto infetto, la somministrazione di probiotici, una terapia con batteriofagi (virus che infettano esclusivamente i batteri) o l’utilizzo di molecole attive come gli antibiotici. Le criticità non sono poche: la rimozione meccanica può generare nuove lesioni, favorendo nuove infezioni. I probiotici funzionano bene in laboratorio, ma sono specie-specifici e poco prevedibili in ambienti naturali. La terapia fagica è efficace ma non utilizzabile quando l’agente patogeno non è noto. Gli antibiotici, sebbene efficaci, pongono il rischio di sviluppare resistenze, alterare il microbioma dell’olobionte e causare “disbiosi”, cioè alterazione dell’equilibrio del microbiota intestinale”.
Di fronte a queste problematiche, la comunità scientifica ha messo a punto approcci innovativi e rispettosi dell’ambiente, capaci di migliorare l’efficacia degli interventi senza compromettere l’ecosistema marino.
Dalla collaborazione tra l’università di Milano-Bicocca, l’Istituto italiano di tecnologia (IIT) e l’acquario di Genova nasce una biopasta green, completamente biodegradabile, in grado di ancorare i coralli e stimolare la loro crescita. Senza danneggiare l’ambiente.
Cos’è la biopasta green
Si tratta di una pasta a base di olio di soia e grafene. Si indurisce in modo “controllabile” e diventa un substrato solido e conduttivo per ancorare frammenti di corallo e favorire la Mineral accretion technology (MAT), una tecnica che stimola la crescita dei coralli utilizzando correnti elettriche a bassa intensità per depositare su strutture metalliche il carbonato di calcio degli esoscheletri.
Questa nuova bio-pasta si indurisce in appena 20-25 minuti, un tempo significativamente più rapido rispetto ai materiali tradizionali (che possono impiegare fino a 24 ore).
“Ciò che rende unica la nostra soluzione è l’integrazione di due funzioni fondamentali in un solo materiale innovativo”, spiega Gabriele Corigliano, primo autore dello studio e dottorando in Scienze marine alla Bicocca e nell’unità Smart materials dell’IIT. “Da un lato, questa pasta semplifica il fissaggio dei coralli, rendendolo più sicuro e affidabile sia nei vivai subacquei sia sulla barriera corallina. A differenza della MAT tradizionale, non sono più necessarie strutture permanenti, e viene scongiurato il rischio di corrosione e inquinamento. Nel complesso, il nostro approccio favorisce attivamente la crescita dei coralli ed è sicuro per la vita marina”.
“Ci permette di fabbricare materiali con l’idea di essere usati in mare e per il mare, tenendo sempre presente gli effetti durante e dopo il loro utilizzo, per esempio la biodegradazione”, sostiene Marco Contardi, ricercatore alla Bicocca e nell’unità Smart Materials di IIT.

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Un cerotto per la cura dei coralli
Un altro importante contributo per la tutela dei reef è stato pubblicato sulla rivista One Earth. Per curare i coralli ora sarebbe possibile impiegare una sorta di cerotto: un sistema eco-compatibile per la somministrazione mirata di antibiotici ai coralli malati. Il cerotto unisce un “film idrofilo caricato con antibiotici e realizzato con chitosano (polimero che deriva dai crostacei) a un sigillante naturale idrofobico a base di cera d’api e oli vegetali di girasole e lino, tutti materiali naturali che una volta degradati non danneggiano l’ecosistema marino”, si legge nello studio.
Una protezione dalle malattie aggressive che tendono a danneggiare i tessuti dei reef e a diffondersi rapidamente nelle barriere coralline. “Grazie al doppio strato, gli antibiotici vengono rilasciati esclusivamente sulla zona infetta del corallo e la somministrazione è isolata grazie alla pasta sigillante che ne previene la diffusione nell’ambiente marino. La tecnologia si è dimostrata particolarmente efficace contro una malattia della famiglia delle necrosi tissutali, molto diffusa nelle acquacolture”, spiega Vincenzo Scribano, uno degli autori dello studio. Nei test effettuati in acquario, questa terapia ha bloccato la progressione della malattia in oltre il 90 per cento dei casi trattati.
Una visione del mare non solo come ecosistema da tutelare, ma anche come spazio e “laboratorio per immaginare un futuro più sostenibile e in armonia con l’ambiente”. Un nuovo tassello per la mitigazione climatica.
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