mercoledì, Dicembre 3, 2025

L’alimentazione è politica: la campagna di Altromercato a supporto della Palestina

Altromercato, Fondazione Altromercato e PARC (Palestinian Agricultural Relief Committee) sostengono l’agricoltura palestinese attraverso commercio equo, progetti di emergenza e iniziative come “Building Hope for Gaza”. Ne abbiamo parlato con Mohammed Hmidat, direttore esecutivo di PARC

Enrica Muraglie
Enrica Muraglie
Giornalista indipendente, ha scritto per il manifesto, Altreconomia, L'Espresso. Fa parte della rete FADA.

Scegliere cous cous, datteri medjoul, mandorle e olio d’oliva coltivati in Palestina significa sostenere l’autodeterminazione di chi vive e lavora su quella terra. Acquistare questi prodotti non è solo un gesto economico significativo, ma un modo per riconoscere “l’identità di un popolo e rifiutare l’ingiustizia”, come afferma Altromercato nel suo comunicato stampa. L’organizzazione è da anni al fianco di PARC Palestinian Agricultural Relief Committee, ong che tutela agricoltori e agricoltrici palestinesi impegnati nella cura dei propri campi.

EconomiaCircolare.com ha incontrato negli scorsi giorni a Firenze Mohammed Hmidat, direttore esecutivo di PARC e docente nei dipartimenti di ingegneria alimentare e di chimica presso l’Università Aperta di Al Quds, a Gerusalemme Est (uno dei Territori palestinesi occupati da Israele). Con lui abbiamo parlato di come si può continuare a dare sostegno a una delle popolazioni più martoriate, in un contesto che, anche quando è di pace apparente come quello attuale, resta segnato dalle sopraffazioni e dalla violenza.

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PARC nasce negli anni Ottanta in un contesto di forte instabilità politica. Qual è stato il processo che ha portato alla sua fondazione?

Nel 1983 un gruppo di agronomi, volontari e laureati in università internazionali come quelle russe ed europee si sono uniti per colmare il vuoto che c’era in quel periodo, durante l’occupazione e senza l’Autorità nazionale palestinese (ANP, ndr). E questo gruppo di agronomi ha cercato di fornire alcuni servizi come formazione, divulgazione, supervisione agli agricoltori palestinesi per coltivare le loro terre. Hanno iniziato nella città di Gerico, nella valle del Giordano. Giorno dopo giorno hanno costruito rapporti con le organizzazioni del commercio equo e solidale della comunità internazionale e ottenuto alcuni progetti di sostegno per gli agricoltori. Oggi è la più grande organizzazione non governativa della Palestina e opera in tutti i territori, dalla Cisgiordania alla Striscia di Gaza.

Ci racconta della collaborazione con Altromercato?

PARC lavora con quasi tutti gli agricoltori della Palestina. Quando finisce un progetto ne comincia subito un altro. Nel 1993 è stata anche fondata la Reef Company, una società di investimento e commercializzazione agricola che è il braccio commerciale di PARC, che non può svolgere attività come l’import-export. A quel tempo PARC riteneva che fosse necessario avere un braccio commerciale per aiutare i partner e le organizzazioni esterne che richiedevano prodotti palestinesi. Il nostro partner in Italia è Altromercato, esportiamo i prodotti palestinesi a loro. La collaborazione storica con Altromercato è iniziata più di 25 o 30 anni fa e si sviluppa di anno in anno. In Italia c’è una crescente domanda di prodotti palestinesi, in particolare i datteri. La richiesta si concentra anche sui prodotti biologici come il couscous e l’olio d’oliva. 

Dopo il 7 ottobre abbiamo creato un fondo che potremmo chiamare “Fondo per Gaza” e lo abbiamo aperto ai nostri partner ai quali esportiamo i nostri prodotti. Altromercato è uno di questi. Abbiamo iniziato con una piccola raccolta di denaro e acquistato prodotti palestinesi come datteri, zaatar e altro per cercare di inviarli a Gaza. All’inizio c’è stato un problema: per tre, quattro mesi abbiamo provato ma è stato impossibile far entrare le donazioni. Poi abbiamo trovato una soluzione: esportare questi prodotti in Giordania, e da lì entrare a Gaza. Quindi Altromercato ha iniziato a inviare i fondi raccolti dalla campagna direttamente a PARC, che li utilizza sia nella Striscia di Gaza che nella parte settentrionale della Cisgiordania, nell’attuale campo profughi di Jenin. Sono entrambi luoghi distrutti, molte persone sono state evacuate dalle loro case e hanno bisogno di aiuto. Perciò i fondi vengono impiegati sia a Gaza che in Cisgiordania. 

La Corte internazionale di giustizia ha stabilito che l’occupazione dei Territori palestinesi da parte di Israele è illegale e rientra nel sistema di apartheid con cui Tel Aviv domina e opprime i palestinesi, causando sofferenze su scala di massa. Com’è possibile in un contesto del genere operare a difesa dei diritti umani, tutelando l’ambiente e le comunità rurali? 

Abbiamo un progetto di emergenza per le persone, almeno per quelle che sono state evacuate. Questa è una cosa. Un’altra è la campagna a sostegno della raccolta delle olive, si chiama “Siamo con voi”. In questo caso portiamo alcuni volontari della comunità internazionale per stare con gli agricoltori, palestinesi e anche stranieri, amici internazionali che accompagnano gli agricoltori vicino al frutteto per dare loro un po’ di protezione. Nonostante questo ci sono sparatorie e uccisioni da parte di Israele, ma cerchiamo comunque di trovare un modo per proteggere i contadini stando in gruppo con persone locali e internazionali, così forse potranno raccogliere i loro frutti senza essere attaccati dai coloni.

L’occupazione israeliana della Palestina ha un peso notevole (e forse maggiore) sulla vita delle donne palestinesi. Nella vostra carta valori un punto importante riguarda l’emancipazione femminile, come ci riuscite?

Il 90% dei nostri dipendenti sono donne. Dentro PARC abbiamo un dipartimento speciale che si occupa dei diritti delle donne e del diritto delle donne di difendere i propri diritti, ossia di fare attivismo. Nel lavoro agricolo ci siamo concentrati sulla collaborazione con le donne che lavorano nelle cooperative, e che oggi sono membri del consiglio di amministrazione. Alcune di loro sono presidenti di cooperative con cui collaboriamo.

Avete ricevuto solidarietà o sostegno da parte di associazioni della società civile israeliana?

Tutta la società civile israeliana sta virando a destra seguendo l’ideologia secondo cui questa terra gli è stata data da Dio e tutte le persone indigene dovrebbero andarsene. Negli ultimi anni anche il partito di sinistra in Israele è diventato insignificante e inefficace. Ecco perché da parte dei nostri alleati internazionali ci aspettiamo sostegno in due o tre modi. Il primo è politico, per promuovere la pace nella regione, fermare le uccisioni e costruire qualcosa per il futuro dei nostri figli, sia nella nostra regione che nel resto del mondo. Il secondo modo è attraverso il sostegno, ossia l’acquisto dei prodotti palestinesi. In questo modo le entrate torneranno agli agricoltori palestinesi, che avranno più margine di resilienza e resistenza. Il terzo modo, forse quello più urgente e che spero duri solo pochi mesi, è quello che stiamo facendo con altri partner, il progetto “Building Hope for Gaza” (Costruire speranza per Gaza, ndr). Una forma di sostegno alle persone che hanno perso il loro reddito, le loro case, le loro terre, per aiutarle a sopravvivere e a riabilitarsi.

I dati di Altromercato e Fondazione Altromercato sulla campagna “Building Hope for Gaza”

  • Oltre 5,1 milioni gli interventi realizzati da ottobre 2023 nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania: aiuti alimentari, acqua potabile, kit igienici, rifugi e beni essenziali.
  • 2,8 milioni gli interventi di sicurezza alimentare: 411 mila pacchi alimentari, 327 mila pasti caldi, 21mila e-voucher, 819 kit per neonati.
  • 1,9 milioni gli interventi WASH: 126 mila m³ di acqua distribuita, 103mila kit igienici, oltre 12mila dignity kit e 226 wc mobili.
  • 448 mila interventi per rifugi e beni non alimentari: 7.692 rifugi di emergenza, più di 6mila kit per neonati, 20mila coperte e 25 mila sacchi di vestiti.

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