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martedì, Dicembre 24, 2024

Con i nuovi kit Apple apre al diritto alla riparazione? Gli attivisti: “Restiamo cauti”

La futura introduzione dei kit fai-da-te per due iPhone ha in parte sorpreso gli addetti ai lavori. Per Ugo Vallauri, della campagna europea Repair.eu, “tutti i modelli, a prezzi ragionevoli, devono poter essere riparati, modificando sin dall’origine i criteri con cui si costruiscono le cose”

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

“Se non te lo puoi permettere non è un vero diritto alla riparazione”. Fabio D’Alessandro fa parte del collettivo padovano Officina Informatica, che promuove l’economia circolare attraverso la giustizia sociale. Il suo commento arriva dopo la decisione di Apple degli scorsi giorni, che qualcuno ha definito storica: per la prima volta il colosso tecnologico della Silicon Valley ha riconosciuto il right to repair, aprendo alla possibilità per gli utenti di riparare da sé alcuni iPhone.

La decisione in un certo senso era nell’aria già da un po’, visto che sul diritto alla riparazione la sensibilità dei governi (pochi) e delle aziende (ancor meno) sta lentamente migliorando, grazie soprattutto alle pressioni dei movimenti come Repair.eu, la coalizione che raccoglie più di 30 associazioni europee attive nella campagna Right to repair, una mobilitazione che in questi anni ha contribuito a dare centralità al tema della riparabilità in tanti tavoli istituzionali.

Per Ugo Vallauri, tra i coordinatori di Repair.eu, “la cosa più importante di tutti è che una compagnia che finora ha fatto pressioni contro il diritto alla riparazione ha un’inversione di marcia abbastanza notevole. Di colpo non è più pericoloso riparare i propri prodotti”. La domanda che si pongono sia Vallauri che D’Alessandro è però un’altra: quanto costerà riparare da sé i propri prodotti?

Per capirlo serve fare un passo indietro. E tornare sulla decisione di Apple.

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Cosa dice Apple sul diritto alla riparazione

È il 17 novembre quando sul sito di Apple compare un annuncio colorato sul diritto alla riparazione. Più precisamente “parti, strumenti e manuali, a partire da iPhone 12 e iPhone 13, (saranno) disponibili per i singoli consumatori”. Saranno dunque due degli iPhone più venduti i primi prodotti Apple che potranno essere riparati dagli stessi utenti, con la promessa che a breve toccherà ai computer Mac con chip M1. Il programma Self Service Repair partirà negli Stati Uniti all’inizio del 2022, per poi arrivare entro la fine dell’anno nel resto del mondo.

“I clienti – si legge nell’annuncio dell’azienda – si uniscono a più di 5.000 centri Apple autorizzati e 2.800 fornitori di riparazioni indipendenti che hanno accesso a queste parti, strumenti e manuali. La fase iniziale del programma si concentrerà sui moduli più comunemente sottoposti a manutenzione, come il display dell’iPhone, la batteria e la fotocamera. La possibilità di ulteriori riparazioni sarà disponibile entro la fine del prossimo anno”. Come è noto soprattutto agli appassionati del mondo Apple, il sistema messo in piedi dall’azienda fondata da Steve Jobs è fortemente autoreferenziale: dalle app ai Mac, dagli iPhone alle tv, ogni prodotto con la mela mozzicata può “dialogare” solo con altri prodotti Apple. Così non sorprende che il diritto alla riparazione resti parziale e, nel resto dell’annuncio di Apple, vengano messi alcuni paletti ben precisi.

“Per garantire che un cliente possa eseguire una riparazione in sicurezza – scrive ancora l’azienda – è importante che riveda prima il manuale di riparazione. Quindi un cliente effettuerà un ordine per le parti e gli strumenti originali Apple utilizzando l’Apple Self Service Repair Online Store. Dopo la riparazione, i clienti che restituiscono la parte usata per il riciclaggio riceveranno un credito per il loro acquisto. Il nuovo negozio offrirà più di 200 singole parti e strumenti, consentendo ai clienti di completare le riparazioni più comuni su iPhone 12 e iPhone 13. Self Service Repair è destinato a singoli tecnici con la conoscenza e l’esperienza per riparare dispositivi elettronici. Per la stragrande maggioranza dei clienti, visitare un fornitore di riparazioni professionale con tecnici certificati che utilizzano parti Apple originali è il modo più sicuro e affidabile per ottenere una riparazione”.

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Da dove arriva la decisione di Apple sul diritto alla riparazione

Forse non è un caso che il giorno prima dell’annuncio su Apple su Yahoo Finance venga pubblicato un articolo in cui si apprende che “si prevede che il mercato globale dei servizi di riparazione di apparecchiature elettroniche crescerà a un ritmo del 4,30%, in termini di valore, per raggiungere 128,07 miliardi di dollari entro il 2026”. Secondo Reportlinker.com “le offerte innovative rivolte ai clienti, la rapida urbanizzazione e i progressi tecnologici stanno alimentando la crescita del mercato globale dei servizi di riparazione di apparecchiature elettroniche. Inoltre, fattori come la disponibilità di un’assicurazione per le apparecchiature elettroniche, l’introduzione della legge sul “diritto alla riparazione” e l’ingresso di vari attori stanno ulteriormente alimentando il mercato dei servizi di riparazione delle apparecchiature elettroniche a livello globale”.

Nel 2019, così come accertato da un rapporto pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), “è stato riscontrato che nel 2019 la quantità di rifiuti elettronici generati ha raggiunto il record di 53,6 milioni di tonnellate”. Un numero impressionante e che giustamente desta preoccupazione, tanto da far correre ai ripari, seppur ancora molto timidamente, sia i governi (pochi) che le aziende (ancor meno). Ma qualcosa, comunque, sta cambiando. E il diritto alla riparazione comincia a diventare un business. Per Yahoo Finance anche in questo caso la pandemia è stato un acceleratore di tendenze già in atto.

“La pandemia di Covid-19 ha rappresentato una sfida per il settore dei servizi di riparazione di apparecchiature elettroniche – si legge – Le aziende di servizi di riparazione elettronica hanno subito un impatto poiché i clienti evitavano di uscire perché non erano più a loro agio nell’incontrare un estraneo e lasciare che toccassero le loro apparecchiature elettroniche e che consentissero agli estranei di entrare a casa. Durante la pandemia, le persone utilizzavano dispositivi elettronici molto più del solito. A causa del completo blocco e delle rigide restrizioni del governo, le persone preferivano le loro apparecchiature elettroniche anche se parzialmente rotte”. Insomma: Apple, da sempre raccontata come azienda all’avanguardia, sul diritto alla riparazione rischiava di diventare la più conservatrice. È solo questo il motivo del cambio di direzione?

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Troppo bello per essere vero? I commenti alla decisione di Apple 

“Troppo bello per essere vero?”: è la domanda che si pone il movimento Repair.eu, in un comunicato di commento alla decisione di Apple. Per rispondere a questa domanda abbiamo scelto di intervistare Ugo Vallauri. “Rimaniamo molto cauti per una serie di motivi – spiega uno dei coordinatori della campagna che promuove il diritto alla riparazione – Non si può giudicare un annuncio su un servizio che non è ancora disponibile, soprattutto perché manca il prezzo dello stesso. Il secondo elemento di cautela riguarda il fatto che Apple ha una tradizione di software proprietario per limitare le riparazioni fatte da chiunque: in pratica richiede di abbinare un pezzo di ricambio installato al device. Ciò vuol dire che se si utilizzano pezzi di ricambio non originali si perdono alcune funzionalità del device, e a volte ciò vale anche per i pezzi originali. Ci chiediamo dunque se queste pratiche resteranno”.

In sostanza, secondo Vallauri, l’annuncio di Apple potrebbe lasciar presagire un cambio di approccio rivolto più alla volontà di “controllare il mercato di ricambio”.  Per il coordinatore di Repair.eu si tratta comunque di una “notizia potenzialmente positiva, ma la nostra campagna europea si batte per un diritto alla riparazione per tutti. Non soltanto per due modelli di smartphone scelti da Apple, ma tutti i modelli, a prezzi ragionevoli, devono poter essere riparati, modificando sin dall’origine i criteri con cui si costruiscono le cose. La Commissione europea sta lavorando a una legislazione sull’ecodesign – continua Vallauri – Ma aziende come Apple, poi, cercano di rallentare molto i vincoli che l’Unione europea vorrebbe imporre. Con l’annuncio del 17 novembre  l’azienda sembra voler aprire al diritto alla riparazione, però finora, per quel che abbiamo potuto modo di vedere, intende contrastare l’ambizione delle leggi europee e posticiparne l’applicazione”

A entrare nel dettaglio della scelta Apple è invece Fabio D’Alessandro, che fa parte del collettivo Officina Informatica. “È vero che la parziale apertura dell’azienda riguarda due soli iPhone – osserva – ma sono quelli più usati. La verità è che i prodotti Apple non sono pensati per la riparazione, anche volendo da solo puoi cambiare poche cose. Inoltre se tu ripari da solo il tuo iPhone rischi di perdere la garanzia, specie in America, e questo spaventa gli utenti. Poi c’è da considerare il target di questi prodotti, che sono pensati di solito per persone benestanti. Apple infatti punta proprio su questo versante: ti vendo un prodotto unico, che ti faccio pagare molto, che puoi permettere di cambiare appena arriva il nuovo modello. E allora perché riparare quello vecchio? Per tornare alla decisione del 17 novembre, a me pare che in parte l’azienda abbia cambiato approccio, almeno negli Stati Uniti, per via dell’imponente piano ambientale promosso dal presidente Joe Biden. Anzi, a dirla tutta, forse la scelta di Apple non ha niente a che fare con l’ambiente, semplicemente l’azienda vuole entrare nel mercato del ricambio”.

Se il punto è effettivamente questo, viene però da chiedersi cosa cambia per gli utenti. “Ci stiamo avvicinando a quello che già avviene con i dispositivi Android – riflette l’attivista – Certamente aumenterà la qualità dei prodotti di ricambio, perché finora chi ha fatto da sè per forza di cose si è dovuto rivolgere a prodotti cinesi. Resta il problema classista, nel senso che anche questa forma di diritto di riparazione potrebbe rafforzare le disuguaglianze: chi è benestante potrà acquistare i prodotti di ricambio targati Apple, chi lo è meno tornerà a rivolgersi ai cinesi”.

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La posizione di IFixit

Non potevamo non citare, infine, la posizione di iFixit, il sito su base wiki su cui trovare istruzioni, manuali e consigli per riparare gli apparecchi e le tecnologie che usiamo tutti i giorni. L’azienda, che oggi fattura più di 30 milioni di dollari, nasce nel 2003 quando il cofondatore Kyle Wiens ha cercato di riparare il suo iBook ma è stato bloccato da un manuale di servizio. Wiens però non si è scoraggiato, ha aggirato l’ostacolo e da quel momento ha deciso di supportare coloro che volevano fare da sé a livello tecnologico, in una sorta di antesignano diritto alla riparazione. Ora, nel commentare la decisione di Apple, la mette sull’ironico.

In un pezzo intitolato “Ognuno è un genio, Apple offrirà parti e strumenti per le riparazioni fai-da-te” si legge che l’annuncio dell’azienda è “una notevole concessione alla nostra competenza collettiva. Apple ha a lungo affermato che consentire ai consumatori di riparare le proprie cose sarebbe pericoloso, sia per noi che per le nostre cose. Ora, con il rinnovato interesse del governo nei mercati delle riparazioni, e subito dopo una notevole cattiva stampa per l’abbinamento delle parti, Apple ha riscontrato un interesse inaspettato nel lasciare che le persone aggiustino le cose che possiedono”.

Per iFixit si tratta di “una grande notizia per tutti” e inoltre “sarà la prima volta che l’azienda pubblica manuali di riparazione per iPhone (nel 2019, hanno pubblicato in modo alquanto controverso un paio di manuali iMac scritti per i fornitori di servizi autorizzati Apple, scatenando disaccordi interni). Speriamo che i manuali fai-da-te di Apple contengano le stesse informazioni fornite ai fornitori di servizi autorizzati Apple, ma riscritti pensando ai clienti”.

In ogni caso l’azienda ci tiene a precisare che “questa non è la rivoluzione della riparazione open source che abbiamo cercato attraverso la nostra lotta per il diritto alla riparazione”. Tra i motivi di una gioia solo parziale c’è il fatto, secondo iFixit, che “controllando il mercato dei ricambi, Apple può anche decidere quando i dispositivi diventeranno obsoleti: una volta ottenuto il controllo totale sulla disponibilità delle parti, nulla impedisce loro di ridurre di un anno o quattro l’impegno. Nulla li ferma, ad eccezione della legislazione sul diritto alla riparazione: in Francia le parti di riparazione per smartphone sono legalmente obbligate a essere disponibili per 5 anni. Attualmente, non esiste un mandato del genere da nessun’altra parte, anche se stiamo lottando per risolverlo, nel Congresso degli Stati Uniti, in 27 stati e in tutto il mondo”. Come a dire che la strada per un diritto alla riparazione passa (anche) attraverso nuove norme.

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