“Se non cambiamo rotta tra pochi mesi troverete qui a Bruxelles gli operai del settore auto che ci obbligheranno a cambiare rotta”. A fine settembre le parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, rivolte alle istituzioni europee, toccano un nervo scoperto della vecchia/nuova Commissione retta da Ursula von der Leyen. Dopo le proteste dello scorso maggio diffuse in tutta Europa da parte degli agricoltori su alcuni provvedimenti legati al Green Deal, infatti, la Commissione scelse in quel caso di fare alcuni passi indietro rispetto alle ambizioni ambientali e climatiche.
Pur se ancora non formalmente insediata, e anzi invischiata nelle valutazioni del Parlamento europeo che rischiano di ritardare ulteriormente l’avvio delle attività, la nuova Commissione sta già ricevendo un pressing asfissiante affinché rimetta in discussione uno dei cardini del Green Deal, vale a dire lo stop alla produzione di auto a combustione termica – benzina, diesel, metano, gpl – a partire dal 2035. Lo stop rientra nell’ambito delle misure previste dal pacchetto Fit for 55, l’insieme di misure presentate dalla Commissione europea il 14 luglio 2021 con le quali l’Unione europea intende ridurre le proprie emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica nel 2050
Si tratta di una partita importante, se non decisiva, che indicherà la rotta che la rinnovata guida di Ursula von der Leyen vorrà intraprendere: di nuovo a sostegno dell’ambiente, provando a far diventare la transizione ecologica un’opportunità per governi e imprese, oppure la scelta di abdicare alla volontà di ergersi a guida globale su questi temi per spostare il focus sulla difesa dei confini e sulle guerre che preoccupano sempre più il Vecchio Continente?
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L’Italia cerca alleati sul rinvio dello stop alle auto termiche
In questo clima di incertezze serve (ri)partire dalle sicurezze. Il governo Meloni ha gettato la maschera, abbandonando le ambiguità passate, e schierandosi apertamente dalla parte di chi si oppone allo stop delle auto a combustione termica. Di più: in questa fase l’Italia intende porsi a guida dei Paesi refrattari allo stop, provando a tessere una serie di alleanze per arrivare, quando la Commissione sarà attiva (presumibilmente a gennaio 2025), a una maggioranza in grado di far passare la propria proposta.
A margine dei lavori del consiglio Competitività a Bruxelles, il ministro Urso ha tenuto una serie di incontri bilaterali per discutere della proposta italiana per il settore dell’automotive. Paesi come Polonia e Romania hanno già affermato di condividere la posizione italiana, mentre Germania, Francia e Spagna spingono ancora per mantenere il termine del 2035. Il governo ha annunciato che presenterà nelle prossime settimane un “non paper” per chiedere alla Commissione di anticipare alla prima metà del 2025 la revisione del regolamento sui veicoli a zero emissioni, che in teoria è prevista per la fine del 2026. Si chiederà, sul modello della deroga già concessa agli e-fuels (e voluta fortemente dalla Germania), di inserire i biocarburanti tra gli strumenti che consentirebbero ai vecchi veicoli a combustione di azzerare le proprie emissioni, e quindi di continuare a produrre nuovi modelli anche dopo il 2035.
Sui biocarburanti, come abbiamo raccontato più volte su questo giornale, la spinta maggiore al governo arriva da Eni, la principale produttrice in Italia e in Europa. “Dobbiamo prendere atto della realtà, i numeri sulla produzione di auto in Europa sono evidenti” ha detto ancora Urso a fine settembre. Per confermare la scadenza del 2035 sull’obbligo di immatricolare unicamente veicoli elettrici, l’Italia chiede inoltre all’UE di mobilitare fondi comuni per gli investimenti dei produttori di auto e nuovi incentivi all’acquisto per i consumatori. Altrimenti non resterebbe che il rinvio. O, più prosaicamente, bisognerà dimostrare entro pochi mesi che i biocarburanti consentono di azzerare le emissioni entro l’intero ciclo di vita.
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L’alleanza tra aziende e ong per mantenere la scadenza del 2035
In contemporanea con le manovre e le dichiarazioni del ministro Urso, a fine settembre 50 amministratori delegati e dirigenti hanno invitato la nuova Commissione europea e il Parlamento a “mantenere l’obiettivo di auto a emissioni zero al 100% nel 2035”. Per farlo hanno creato un sito, www.industryfor2035.org, sostenendo che “molti di noi hanno investito in modo massiccio per rendere questo imperativo impegno climatico una realtà. Gli standard UE sulle emissioni di CO₂ per le autovetture e i furgoni forniscono una direzione chiara che consente alle imprese di concentrarsi sulla realizzazione della trasformazione richiesta. Lo fa fornendo l’investimento e la visibilità di pianificazione tanto necessari alle aziende lungo l’intera catena del valore automobilistico. Come aziende che investono in questa transizione, siamo chiari sul fatto che l’obiettivo 2035 è sia fattibile che necessario. Chiediamo quindi ai decisori di non riaprire gli standard di CO₂ di auto e furgoni recentemente adottati e quindi di mantenere l’obiettivo di vendita di auto e furgoni a emissioni zero al 100% nel 2035”. L’elenco di chi aderisce a questa iniziativa è ampio e trasversale: ne fanno parte case automobilistiche come Volvo, colossi come Ikea, operatori nel campo delle ricariche elettriche come la francese Driveco.
A sostenere da tempo lo stop alle auto termiche c’è anche l’ong Transport & Environment. “Il regolamento sulle emissioni di CO₂ è stato il principale motore degli investimenti nella catena del valore dei veicoli elettrici in Europa – scrive T&E sul proprio sito – Con l’introduzione degli obiettivi di CO₂ delle autovetture dell’UE nel 2020, gli investimenti in EV in Europa sono aumentati di un fattore 20 (da 3,2 miliardi di euro a 60 miliardi di euro). Si prevede che oltre 50 gigafactories europee produrranno le celle delle batterie entro il 2030, richiedendo oltre 170 miliardi di euro di investimenti, sufficienti per alimentare tutte le vendite di nuovi veicoli nell’UE a partire dal 2026. Con l’incertezza sul suo obiettivo di 2035 auto a emissioni zero e una politica industriale debole, l’Europa si sta dimostrando meno attraente per i produttori di veicoli elettrici. Mentre 70 miliardi di euro di investimenti in EV da parte delle case automobilistiche sono stati annunciati per l’Europa tra il 2021 e il 2023, il Nord America ha attirato 97 miliardi di euro nello stesso periodo. Qualsiasi indebolimento degli obiettivi ridurrà ulteriormente l’attrattiva dell’Europa come destinazione di investimento”.
Lo studio delle Federazione Internazionale dell’Automobile
In attesa del 2035 la scadenza più immediata è però quella del 2025, quando verranno imposti ai costruttori di auto un limite massimo di emissioni medie riguardanti i nuovi veicoli venduti di 94 grammi di CO2 al km, rispetto ai 116 g/km del 2024. Una scadenza che ha visto lo scontro tra Stellantis – col suo amministratore delegato a favore del mantenimento perché “tutti conoscevano le regole da molto tempo e hanno avuto il tempo di prepararsi” – e Luca de Meo, amministratore delegato di Renault e presidente dell’associazione europea dei costruttori di automobili (Acea), che sottolinea il rischio di 15 miliardi di euro di multe per i costruttori o, in alternativa, rinunciare alla produzione di 2,5 milioni di veicoli inquinanti, così da abbassare la media. Uno scontro che ancora una volta allarga la questione, bloccata sulle stesse domande da anni: quanto tempo ci vuole per i costruttori per riconvertire la produzione di auto da termiche ad elettriche? Quanto sono desiderabili e convenienti le auto elettriche?.
Quesiti a cui prova a rispondere l’ultimo studio di Ricardo plc, fatto per e in collaborazione con la FIA, la Federazione Internazionale dell’Automobile. Come fa notare su LinkedIn Francesco Naso, segretario generale di Motus-E (l’associazione italiana che promuove la mobilità elettrica), si tratta dello studio più esteso sia sulle emissioni in fase di utilizzo sia in fase di produzione e smaltimento/riciclo dei veicoli, e prende in considerazione anche i biocarburanti. Ma cosa dice in sintesi questo studio? Lo spiega ancora lo stesso Naso.
“Ci dice che le BEV (le auto elettriche, ndr) hanno già oggi un impatto significativo sul taglio delle emissioni di CO₂, ovunque inclusa la Cina, e in particolare in Europa (oltre il 60% di riduzione) – scrive Naso -. In prospettiva poi non ci sono dubbi, anche rispetto ai biocarburanti, visti i promettenti sviluppi sulla produzione e sulla densità energetica delle batterie. Per quanto riguarda i biocarburanti anche in questo studio, così come nel report sulla competitività dell’industria europea di Draghi, si pone il tema della scarsa disponibilità di feedstock e della capacità produttiva dei biocarburanti da scarto (gli unici capaci davvero di decarbonizzare). Per questo è importante usarli dove ne abbiamo più bisogno (aereo, navale, parte del pesante, circolante auto endotermico esistente, se riusciamo a farne abbastanza). Chiamiamo questo concetto pluralità tecnologica ed è senza dubbio l’approccio più corretto rispetto a mettere in competizione percorsi di decarbonizzazione nell’ottica della neutralità; non abbiamo tempo ma soprattutto non abbiamo sufficienti risorse pubbliche per sviluppare tutte le strade insieme”.
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