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giovedì, Novembre 14, 2024

Al bando le pubblicità ‘fossili’. Ecco i protagonisti delle campagne

Da Badadvertising a Fossil Ad Ban a Greenpeace: vi raccontiamo chi scende in campo per mettere fine alle pubblicità delle aziende dell’energia fossile

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Cresce il popolo “fossil ADV free”, quello che dice no alle pubblicità delle imprese fossili. EconomiaCircolare.com ha provato a tracciare una mappa – parziale e provvisoria – delle città e dei Paesi che hanno vietato, in forme diverse, le pubblicità ‘fossili’ (dai diesel gree alle auto alle crociere). Ma dietro questa mappa – a dire il vero ancora troppo puntiforme e poco ‘diffusa’ – c’è l’attivismo di associazioni, coalizioni (e creativi) che hanno fatto una scelta di campo: noi ai fossili, niente soldi da chi guadagna sulla nostra pelle alimentando la crisi climatica.

Proviamo, anche in questo caso, a raccontare chi si muove.

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Adfree cities

Rete composta da gruppi locali del Regno Unito (ad esempio da Bristol, Leeds, Cardiff) Adfree Cities è stata fondata nel 2019 e lavora su vari fronti, tra cui la lotta contro il greenwashing da parte delle compagnie petrolifere, con particolare attenzione alla pubblicità ingannevole. “Il consumismo è alla base del degrado climatico ed ecologico, danneggia il benessere e mina la resilienza locale. Insieme daremo alle comunità la possibilità di creare alternative. Il nostro movimento terrà la pubblicità dei grandi marchi fuori dai luoghi pubblici. Faremo spazio a ciò di cui abbiamo bisogno per prosperare: connessione tra comunità, solidarietà, arte pubblica e natura. Vogliamo città più felici e più sane, libere dalle pressioni della pubblicità delle aziende”.

La rete è formata da attivisti locali e organizzazioni ambientaliste che mirano a “liberare gli spazi pubblici dalla pubblicità dannosa” e recuperarli per scopi comunitari e artistici. Tra gli obiettivi, “contrastare la pubblicità legata ai combustibili fossili”), al consumismo e al degrado ambientale.

Badadvertising

Sempre nel Regno Unito, la campagna Badvertising che si batte per il divieto totale della pubblicità sui combustibili fossili, utilizzando strategie analoghe alle precedenti campagne contro la pubblicità del tabacco, diventata poi illegale nel 2007.

Sostenuta da una serie di organizzazioni ambientaliste e gruppi che si occupano di giustizia climatica come Possible, New Weather Institute e Adfree Cities, si concentra sul contrasto alla pubblicità di prodotti e aziende che contribuiscono alla crisi climatica, non solo i combustibili fossili ma anche le automobili inquinanti e i voli aerei. Mira a eliminare la pubblicità che promuove un comportamento consumistico dannoso per l’ambiente, spingendo i governi a regolamentare questi spot in modo più rigido per proteggere il clima.

Raccoglie e racconta le migliori pratiche contro gli ADV fossili da tutto il mondo.

Ban fossil fuel ads

Nata nel 2020, “Ban fossil fuel ads” è una coalizione composta da una vasta rete di organizzazioni e attivisti che si impegnano a combattere la disinformazione climatica e a promuovere una legislazione che impedisca l’industria dei combustibili fossili di fare pubblicità e sponsorizzazioni. La coalizione – composta da Greenpeace, Avaaz, Global Witness, ClientEarth, ActionAid, WWF, Ecologistas en Acción, Europe Beyond Coal, e molti altri –  combatte il greenwashing e collabora con gruppi legali come ClientEarth per contrastare le false pubblicità legate alle energie rinnovabili e alle emissioni zero, portando avanti cause legali contro grandi compagnie del settore. Il 16 giugno 2021 ha lanciato una petizione a livello europeo – Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE) – per vietare la pubblicità e le sponsorizzazioni legate ai combustibili fossili. Purtroppo la petizione non ha raggiunto l’obiettivo di 1 milione di firme necessario affinché la Commissione Europea fosse obbligata a considerare una proposta legislativa. Alla fine del periodo di raccolta firme, l’iniziativa ha ottenuto circa 353.103 sostenitori in tutta Europa, un numero significativo ma insufficiente rispetto alla soglia richiesta.

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Fossil Ad Ban

Altra campagna globale che promuove il divieto di pubblicità e sponsorizzazioni da parte delle aziende coinvolte nell’industria dei combustibili fossili è Fossil Ad Ban. La campagna è stata lanciata nel 2020 da Comms Declare, un gruppo di professionisti australiani nel settore della comunicazione, creatività e pubblicità, che si impegna per l’azione climatica. La campagna mira a vietare la pubblicità e le sponsorizzazioni legate ai combustibili fossili, prendendo ispirazione dalle restrizioni già in vigore per il tabacco. “La pubblicità e il marketing funzionano, ed è per questo che le più grandi aziende del mondo investono così tanto e che le pubblicità e le sponsorizzazioni del tabacco sono vietate”. Obiettivo è impedire alle aziende dei combustibili fossili di usare la pubblicità per migliorare la loro immagine pubblica e rallentare le azioni contro il cambiamento climatico.  Tra i motivi per cui dire no alle pubblicità fossili, viene ricordato l’aumento della domanda di prodotti dannosi; gli spot “fanno apparire aziende e prodotti come falsamente puliti e sostenibili” e “hanno contribuito a ritardare l’azione per il clima per troppo tempo”.

La campagna – che invita le cittadine e i cittadini a firmare una petizione – ha fatto le pulci agli inserzionisti fossili australiani. La campagna racconta come le principali aziende australiane che inquinano di più, come AGL, Ampol, Energy Australia e Origin Energy, spendono enormi somme in pubblicità per migliorare la loro immagine. AGL ha speso 98 milioni di dollari nel 2020/21, mentre Energy Australia e Origin Energy hanno investito rispettivamente 28,2 e 32,4 milioni di dollari in pubblicità. Ampol è stata la maggiore inserzionista sulle piattaforme digitali, con una spesa di 2,5 milioni. In quegli anni, “complessivamente, le prime cinque aziende hanno investito 238,3 milioni per influenzare l’opinione pubblica”.

pubblicità fossili fossil adv

Reclame Fossielvrij

Reclame Fossielvrij (Fossil Free Advertising) è una campagna olandese che mira a vietare la pubblicità dei combustibili fossili, dei viaggi aerei e delle auto inquinanti. Avviata nell’autunno del 2019, nasce della campagna Fossil Free Education e Fossil Free The Hague, con cui ha condiviso il contrasto il greenwashing e il marketing delle multinazionali del petrolio. “Abbiamo scoperto che l’inganno dei fossili dura da decenni, è strutturale e ostacola la politica climatica”, si legge sul sito. Una strategia di disinformazione che ricorda “la strategia dell’industria del tabacco. Oggi l’industria del tabacco non può più fare pubblicità. Ecco perché ora ci battiamo per un divieto generale di pubblicità per l’industria fossile. Una legge sul tabacco per l’industria fossile”. La campagna è legata alla fondazione Climate Tipping Points. Dal 2022 è sostenuta dalla KR Foundation, ed ha ottenuto risultati importanti, come il divieto di pubblicità fossile ad Amsterdam e il successo legale contro KLM per pubblicità ingannevole.

Résistance à l’agression publicitaire

Résistance à l’agression publicitaire (RAP) è il movimento francese nato per contrastare l’invasione della pubblicità nello spazio pubblico e ridurre l’impatto sui consumi e sull’ambiente. Fondato nel 1992, RAP si è impegnato con successo nella promozione di una legislazione più restrittiva sulla pubblicità, chiedendo che la pubblicità dei combustibili fossili venisse regolamentata in modo simile a quella sul tabacco e sugli alcolici. Il movimento mira a sensibilizzare l’opinione pubblica sui rischi della manipolazione pubblicitaria Tra le azioni di RAP, la partecipazione a numerose manifestazioni e l’organizzazione di eventi per evidenziare come la pubblicità influenzi negativamente la percezione della crisi climatica, esigendo un divieto totale su questo tipo di pubblicità.

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Clean Creatives

Se finora abbiamo raccontato di campagne che chiedono di non dare più spazio alle fonti fossili, anche dall’altro lato dello steccato – quello di chi gli spot li immagina e realizza – arrivano voci contro le imprese climalteranti. Come Clean Creatives: “Siamo un movimento di pubblicitari, professionisti delle pubbliche relazioni e loro clienti che tagliano i ponti con i combustibili fossili”, così si descrivono i membri del gruppo che ad oggi raccoglie 2300 professionisti e 1128 agenzie.

“Impegnarsi a non lavorare per chi inquina i combustibili fossili – spiega il manifesto fossil free dei pubblicitari – è il modo migliore per dimostrare il proprio impegno a favore di un futuro sostenibile per l’industria creativa. Continuare a lavorare per le aziende produttrici di combustibili fossili mette a rischio la reputazione, il reclutamento e la fidelizzazione delle agenzie. I marchi sostenibili hanno bisogno di agenzie pulite per crescere”. La parte più importante dell’impronta inquinante di un’agenzia “è il lavoro che svolge per i suoi clienti, e l’impronta dei clienti dei combustibili fossili è enorme”. Le multinazionali dei combustibili fossili, si legge ancora, sono “i principali inquinatori del mondo e i più grandi greenwashers, e non hanno alcun piano sostanziale per cambiare”.

Il movimento sottolinea i pericoli del marketing e delle PR per i combustibili fossili, ricorda come queste aziende, principali inquinatori globali, utilizzino il greenwashing per migliorare la loro immagine senza cambiare realmente. “Le aziende produttrici di combustibili fossili sono dalla parte sbagliata di molte delle questioni fondamentali della nostra epoca”. Soprattutto rispetto alle giovani generazioni, più attente alle questione ambientali e climatiche. Per questo “lavorare con i combustibili fossili mette chiaramente le agenzie in disaccordo con i loro futuri talenti”.

pubblicità fossili fossil adv
Foto: Canva

Cittadini Sostenibili

Anche in Italia qualcosa si muove. Proprio sulla scia dell’invito lanciato dal segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres lo scorso giugno in occasione della Giornata mondiale dell’Ambiente, l’associazione genovese Cittadini Sostenibili APS ha presentato ai Comuni liguri una proposta: l’adozione di restrizioni o divieti sulle pubblicità relative alle fonti fossili.

Oggi è del tutto normale che i cartelloni pubblicitari alle fermate dei bus non promuovano più prodotti legati al tabacco, e che i pacchetti di sigarette riportino avvertenze come ‘nuoce gravemente alla salute’”, afferma Andrea Sbarbaro, presidente di Cittadini Sostenibili. “La scienza è unanime nel confermare che l’uso di fonti fossili è uno dei principali responsabili del cambiamento climatico. Diverse hanno già deciso per questo motivo di non dare spazio a prodotti e servizi che possono aggravare la salute del nostro pianeta. Ai Comuni liguri non chiediamo di inventarsi nulla, solo di dare eco a una iniziativa già consolidata e che sta correndo veloce di città in città”.

L’iniziativa è stata presentata al momento a 15 Comuni liguri: Imperia, La Spezia, Savona, Alassio, AlbengaCairo Montenotte, Celle Ligure, Chiavari, Finale LigureLoano, Rapallo, Sestri Levante, Sanremo, Vado Ligure, Varazze. Ma il lavoro di invito nelle altre città continua. “La speranza- si legge sul sito web – è che Sindaci e Consiglieri di Comuni che hanno potuto toccare con mano rischi legati alle fonti fossili, come l’attuale dibattito sul rigassificatore o i recenti impatti della centrale a carbone di Vado Ligure, possano dimostrarsi sensibili e aperti al tema”.

Leggi anche: Un sondaggio ha chiesto a 73mila persone cosa pensano della crisi climatica

Greenpeace contro un Sanremo a sei zampe

Abbiamo già detto del coinvolgimento di Greenpeace nella coalizione Ban fossil fuel ads. Ma l’impegno dell’associazione contro gli spot fossili ha visto in Italia il culmine durante gli ultimi Festival di Sanremo, che ha visto Eni tra i principali sponsor per il terzo anno consecutivo. “Il greenwashing di ENI è subdolo e diffuso, con sponsorizzazioni di eventi culturali e manifestazioni sportive, accordi con scuole e università, pubblicità sui media per condizionare l’informazione sul clima”, scrive Federico Spadini, campaigner clima e trasporti dell’associazione: “ Il Festival di Sanremo non dovrebbe più accettare finanziamenti da un’azienda come Eni che, continuando a lucrare sul gas e sul petrolio, causa migliaia di morti ogni anno”.

Perché dire no alle pubblicità fossili

A spiegare nel dettaglio perché dobbiamo azzerare le pubblicità fossili ci ha pensato un report pubblicato nell’ottobre del 2021 da Greenpeace Olanda (“Words vs. Actions: The Truth Behind Fossil Fuel Advertising”). Elaborato con Desmog, analizza oltre 3000 annunci pubblicitari e promozioni di sei compagnie europee di combustibili fossili (Royal Dutch Shell, Total Energies, Preem, Eni, Repsol e Fortum).

Le compagnie petrolifere e del gas cercano di dipingersi come promotori di soluzioni climatiche sostenibili mentre continuano a investire pesantemente nelle fonti di energia inquinanti, conferma il dossier. Un ruolo decisivo lo svolgono le campagne pubblicitarie “che promuovono false soluzioni climatiche o esagerano l’importanza delle loro iniziative ecologiche”.

I punti chiave:

Greenwashing. Tutte e sei le aziende fanno greenwashing. In media, “il 63% degli annunci pubblicitari delle aziende analizzate è classificato come greenwashing, mentre solo il 16% promuove esplicitamente i combustibili fossili”;

False Soluzioni. Un’altra importante problematica individuata nel rapporto riguarda la promozione di false soluzioni climatiche, cioè “tecnologie o approcci che non rappresentano una vera alternativa sostenibile ai combustibili fossili”. Tra queste, figurano la cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS), il gas naturale presentato come “pulito” e l’uso delle cosiddette soluzioni basate sulla natura (nature based solutions), come il riforestamento. Secondo Greenpeace, la media delle pubblicità che promuovono false soluzioni tra le aziende esaminate è del 12%;

Discrepanza tra parole e fatti. Il rapporto evidenzia come, nonostante la retorica “green”, la maggior parte delle aziende continui a dedicare gran parte dei propri investimenti ai combustibili fossili. Shell, ad esempio, ha speso circa 16-17 miliardi di dollari in petrolio e gas nel 2021, mentre solo 2-3 miliardi di dollari sono stati destinati a energie rinnovabili. Eni invece promuove un piano di decarbonizzazione entro il 2050, ma questo include l’uso massiccio di tecnologie di compensazione e CCS, senza affrontare adeguatamente la necessità di ridurre la produzione di petrolio e gas. Secondo Greenpeace, il 24% delle pubblicità di Eni riguarda soluzioni climatiche false o dannose per l’ambiente.

In sintesi, secondo il rapporto, le campagne pubblicitarie delle compagnie di combustibili fossili sono progettate per deviare l’attenzione dalle loro attività inquinanti e rallentare le azioni necessarie per affrontare la crisi climatica. Per questo l’indagine propone un “divieto assoluto di pubblicità e sponsorizzazioni” da parte di queste aziende, simile a quello già esistente per l’industria del tabacco nell’Unione Europea, come misura necessaria per prevenire il greenwashing e accelerare la transizione verso le energie pulite.

Stampa libera per il clima

Se gli spot sono uno dei cavalli di troia che Big Oil usa per minare il processo di decarbonizzazione, l’altro è l’influenza sulla stampa. “Sui media italiani la crisi climatica continua ad avere scarsa visibilità, mentre aumentano le pubblicità delle aziende inquinanti responsabili del riscaldamento globale, che in questo modo esercitano un’influenza pericolosa sul mondo dell’informazione”, sostiene Greenpeace. “Per questo abbiamo deciso di dare vita alla coalizione ‘Stampa libera per il clima’”.

Stampa libera per il clima” è una coalizione, di cui anche il nostro magazine fa parte, cui hanno aderito ad oggi 20 testate.

Per entrare a far parte della coalizione occorre rispettare cinque criteri:

Copertura mediatica: dedicare la massima attenzione alla crisi climatica, dandole lo spazio che merita un’emergenza a cui occorre reagire con urgenza;

Cause e responsabili: menzionare i combustibili fossili in almeno metà degli articoli o dei servizi in cui si parla delle cause della crisi climatica, senza omettere le gravi responsabilità dell’industria del gas e del petrolio;

Voce delle aziende inquinanti: ridurre lo spazio offerto alle aziende inquinanti nel discorso mediatico sulla crisi climatica, la cui voce tra i soggetti che parlano del clima non deve superare quella degli esperti. Nessuno spazio deve essere più concesso ai negazionisti del riscaldamento globale;

Trasparenza: rendere pubblico in modo trasparente ogni finanziamento proveniente dalle aziende dei combustibili fossili.

Finanziamenti: assumere pubblicamente l’impegno, nei tempi e nei modi stabiliti dalla testata, a ridurre progressivamente o a eliminare ogni forma di finanziamento proveniente dall’industria dei combustibili fossili, incluse le inserzioni pubblicitarie.

La nostra testa non riceve finanziamenti da imprese delle energie fossili.

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