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venerdì, Ottobre 4, 2024

Banche che finanziano la crisi climatica: il caso degli allevamenti intensivi

Un report di Friends of the Earth mette in luce come le maggiori banche statunitensi sostengono con finanziamenti miliardari una delle industrie, quella dell’allevamento, responsabili della crisi climatica

Lorenzo Bertolesi
Lorenzo Bertolesi
Autore e attivista con base a Milano. Ha una laurea in filosofia con una tesi (vincitrice di una borsa di studio) nell'ambito "Human-animals studies". Lavora nella comunicazione digitale da anni, principalmente per diverse ONG scrivendo come ufficio stampa e occupandosi della gestione dei social, ma da tre anni è fisso a Essere Animali. Addicted di Guinness e concerti (soprattutto punk), nel tempo libero viaggia con il suo furgoncino hippie camperizzato insieme alla cagnolina Polly

“Follow the money”, seguire i soldi. Questo grande consiglio per il giornalismo investigativo – che viene direttamente dal film del 1976 “Tutti gli uomini del presidente” – è ancora oggi fondamentale per far venire alla luce scandali e verità che qualcuno tenta di nascondere, o semplicemente far passare inosservati. Ho sempre considerato questo consiglio non solo un metodo per scoprire dove finiscono i soldi, ma anche – una volta trovati – immaginare dove potrebbero essere spesi meglio.

Se andiamo alla ricerca quindi, sulla traccia dei soldi, scopriamo una cosa che potrebbe sorprenderci – o forse no -: una delle attività più inquinanti per l’ambiente, rischiosa per la salute pubblica e crudele per gli animali riceve miliardi di finanziamenti, sussidi pubblici e privati. Parliamo ovviamente degli allevamenti intensivi.

Siamo portati a pensare alle peggiori aziende che distruggono il pianeta come società miliardarie, che riescono a tenere in scacco anche i governi grazie ai loro favori economici. In parte è così, soprattutto se pensiamo all’industria fossile. Nel caso degli allevamenti però la questione è più complessa. Forse non si sa che queste attività senza sovvenzioni non potrebbero stare in pieddi. Per questo i finanziamenti sono così fondamentali per la loro esistenza.

Ma da dove arrivano questi soldi? La risposta veloce è: dalle nostre tasse e dalle banche. Sì, avete capito bene, banche e fondi d’investimento – non che sia una novità, basti pensare che Intesa San Paolo finanzia con miliardi l’industria fossile. A darci un’idea della quantità di soldi che le banche danno per finanziare, con l’allevamento intensivo, il disastro climatico  è il recentissimo report Bull in the climate shop fatto dall’organizzazione ambientalista Friends of the Earth con il supporto del un gruppo di ricerca olandese Profundo.

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Un enorme buco nei bilanci a forma di mucca

Attraverso l’analisi di database finanziari, rapporti e pubblicazioni aziendali e registri delle imprese lo studio ha scovato 56 delle più grandi aziende zootecniche le quali producono carne bovina, latticini, carne di maiale, pollo, mangimi e commerciano soia e che ricevono enormi fondi dalle banche, la cui quasi totalità finisce nelle mangiatoie degli allevamenti.

Il rapporto restituisce la cifra che le banche statunitensi erogano alle aziende produttrici di carne, derivati e mangimi: tra il 2016 e il 2023 ben 58 banche negli USA hanno fornito 134 miliardi di dollari. Di tutti questi soldi, 74 miliardi (oltre il 55%) derivano dalle Big Three, le tre grandi banche USA e cioè JPMorgan Chase, Bank of America e Citigroup — le possiamo considerarle le maggiori finanziatrici statunitensi dell’industria della carne.

Se andiamo a cercare nel rapporto, vediamo anche dove sono finiti questi soldi. Nestlé (che ha ricevuto 19,2 miliardi di dollari), ADM (oltre 15 miliardi), Cargill, Bunge e niente di meno che JBL. Insomma, le giganti mondiale dell’agroindustria.

Qual è il problema di questi finanziamenti però? Per banche di questo calibro, infatti, non si tratta di grosse cifre tutto sommato, anzi: rappresentano solo lo 0,25% dei loro prestiti in totale – davvero poco, quindi. Peccato che questo 0,25% determina l’11% delle emissioni di gas a effetto serra dei finanziamenti di queste banche, ovvero una quantità 44 volte più grande in relazione alla dimensione del portafoglio d’investimento.

Questo è un vero controsenso, dato che le tre grandi banche menzionate hanno dichiarato di impegnarsi a raggiungere il net zero delle emissioni legate ai loro finanziamenti entro il 2050. Ma ecco che, seguendo i soldi, abbiamo trovato il un bel “buco a forma di mucca” nei loro bilanci – insomma, la puzza di greenwashing si sentiva dietro alle promesse di questi istituiti finanziari.

Finanziare le emissioni inquinanti: qualche dato

A quanta CO2 corrispondono questi finanziamenti? Le 56 aziende finanziate del settore producono ogni anno più emissioni del Giappone – che è l’ottavo Paese più inquinante nel mondo.

Solo nel 2022 i finanziamenti agli allevamenti di queste 58 banche hanno eguagliato le emissioni dell’Austria nel 2020 (63,1 milioni di tonnellate di CO2 equivalente).

Ultimo paragone, prometto – con in loro investimenti in carne e derivati le Big Three sono responsabili dell’equivalente di 5,4 milioni di auto guidate in un intero anno. Quest’ultimo dato è legato soprattutto al fatto che le Tre Grandi supportano Cargill, ADM, Bugne, Nestlé e JBS, che sono tra le società più impattanti a livello climatico e che più sono responsabili quindi della crisi climatica a causa delle loro produzioni: queste aziende costituiscono infatti la maggior parte delle emissioni finanziate dalle tre grandi banche.

Come evidenza il rapporto di Friends of the Earth, la vera bomba a orologeria di questi finanziamenti riguarda il metano – che è il grande assente dal dibattito climatico quando si parla di gas serra e allevamenti. Come sappiamo questo gas ha una proprietà climalterante circa 25 volte più potente rispetto alla CO2, ed è la principale fonte fossile in relazione agli allevamenti. Il metano infatti rappresenta quasi la metà delle emissioni legati ai finanziamenti delle 58 banche. E come spesso accade, manca all’appello proprio l’allevamento intensivo nelle promesse di riduzione fatte dalle banche, che pure hanno preso impegni più o meno concreti sul finanziamento al fossile.

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Potrebbe essere molto peggio di così

Le preoccupazioni sollevate dal rapporto non finiscono però qui. Perché il report dimostra che le emissioni effettive delle aziende finanziate dalle banche potrebbe essere fino a quattro volte superiori ai dati riportati – ancora una volta, si sente la puzza di greenwashing dell’industria delle carne.

E qui, almeno in teoria, anche le banche potrebbe essere state fregate. Perché è prassi comune per le aziende produttrici di carne e derivati sottostimare le proprie emissioni. Delle 56 aziende finanziante, infatti, solo il 22% rende note le proprie emissioni indirette (conosciute come Scope 3) mentre il 56% non segnala alcune emissione – hanno trovato la soluzione al problema ambientale degli allevamenti e non l’hanno detto a nessuno?

E pensare che quelle indirette possono costituire fino al 90% delle emissioni di un’azienda agricola – per capire, nel caso di Nestlé sono ben il 95%. Capite bene che non dichiarare questo dato – come ha fatto JBL – vuol dire escludere una bella fetta della propria impronta ambientale.

Costi nascosti, rischi finanziari e possibilità

Facciamo finta che alle banche interessino solo i soldi – sperando che non sia così, ovviamente. Sicuramente considerano gli investimenti per supportare le industrie della carne redditizi. Peccato stiano sbagliando anche in questo! Il finanziamento di attività inquinanti è a tutti gli effetti un rischio finanziario non da poco. Secondo una stima del colosso delle assicurazioni Swiss Re, finanziare la crisi climatica potrebbe costare fino a 23 trilioni di dollari entro il 2050. Un domani, infatti, sarà molto più complesso per gli allevamenti produrre cibo a causa della siccità, della esondazioni e di difficili condizioni climatiche.

Ed è importante considerare che per quanto riguarda gli allevamenti e l’agricoltura in generale ci sono tutta una serie di costi nascosti. Per costi nascosti intendiamo tutti i costi che non vengono pagati dai produttori né dai consumatori, ma gravano sulla società intera. Nel caso della carne pensiamo all’impatto ambientale in termini di CO2 equivalente, inquinamento delle falde acquifere e sfruttamento di risorse. Senza considerare i costi sanitari: un’alimentazione a base di proteine animali comporta diverse malattie e patologie che contribuiscono alla mortalità — come problemi cardiovascolari, ictus, tumori, diabete — le cui spese gravano sulla società.

Ecco, di tutto questo prima o poi arriveremo a dover pagare i conti tutte e tutti noi, e potremmo puntare il dito verso chi ha investito in un’attività che, di fatto, porta e nel futuro porterà a enormi spese da parte della società.

Cosa dovrebbero fare, queste banche quindi? Come dicevamo all’inizio, il bello di seguire i soldi è capire come poterli spendere diversamente, dopo aver mostrato lo “scandalo”. La risposta è incredibilmente semplice: smettere di dare enormi quantità di denaro ad attività che devastano l’ambiente e contribuiscono alla crisi climatica – se non lo vogliono fare per il bene della collettività, almeno lo facciano per lo stessi perché, come abbiamo visto, gli investimenti in queste attività non sono buoni sul medio-lungo termine.

Questi stessi fondi potrebbero essere usati per attività che davvero rappresentano un’alternativa sostenibile al nostro attuale sistema alimentare – chissà se queste banche hanno mai sentito parlare di riconversione infatti.

© Riproduzione riservata

 

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