Si sente sempre più spesso mettere in discussione la maggiore sostenibilità dei prodotti bio-based, ottenuti da fonti rinnovabili come le biomasse, rispetto a quelli derivanti da fonti energetiche fossili come carbone e petrolio.
Per avere un’idea della veridicità di queste affermazioni, un gruppo di ricercatrici dell’Università Radboud di Nijmegen, nei Paesi Bassi, nonché di altri atenei e centri di ricerca incluso l’italiano Ispra, hanno analizzato le performance ambientali di 98 nuovi materiali bio-based rispetto al loro corrispettivo fossile, prendendo in considerazione i dati contenuti in 130 studi prospettici basati sull’analisi del ciclo di vita (LCA).
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Un impatto da valutare caso per caso
L’analisi, pubblicata il 21 dicembre scorso su Nature Communication e intitolata “Il potenziale dei prodotti emergenti a base biologica per ridurre gli impatti ambientali”, ha preso in considerazione le emissioni di gas serra e altri impatti ambientali come l’uso di energia non rinnovabile, l’acidificazione, l’eutrofizzazione, la riduzione dello strato di ozono e la formazione di ozono fotochimico.
Dall’indagine emerge un quadro articolato e una raccomandazione da parte del gruppo di ricerca: “I nostri risultati implicano che la sostenibilità ambientale dei prodotti di origine biologica andrebbe valutata sulla base del singolo prodotto e che è necessario sviluppare prodotti più in grado di raggiungere obiettivi climaticamente neutri”.
Meno emissioni e più eutrofizzazione
Per nessuno dei materiali presi in rassegna si arriva, infatti, a emissioni nette zero ma le emissioni di gas serra lungo il ciclo di vita di quelli a base biologica sono in media del 45% inferiori. Ben 80 dei 98 prodotti esaminati hanno un’impronta di gas serra inferiore rispetto alle alternative fossili, ma con una grande variabilità da prodotto a prodotto.
Per i bioadesivi, polimeri naturali che agiscono appunto come adesivi, le emissioni sono inferiori del 19%, mentre per i prodotti da bioraffineria del 73%. “L’ampio potenziale di riduzione dei prodotti della bioraffineria è particolarmente promettente” commentano le autrici della ricerca. “Le bioraffinerie producono molteplici prodotti in modo integrato, valorizzando diverse parti della biomassa, delle materie prime e dei rifiuti, e possono quindi ridurre significativamente l’impronta ambientale per prodotto”.
Sul fronte degli altri impatti, invece, lo studio ha registrato un aumento dell’eutrofizzazione delle acque per l’eccessivo apporto di sostanze fertilizzanti contenute nei materiali di origine biologica: +369% rispetto ai corrispettivi fossili. Anche se solo un numero limitato di studi, tra quelli presi in esame, includeva gli impatti sull’uso del territorio, sull’uso dell’acqua e sull’ecotossicità derivante dall’uso di pesticidi. Un dato che richiede invece una particolare attenzione se si vuole estendere su larga scala il ricorso a prodotti bio-based.
Questi ultimi hanno fatto registrare un consumo di energia non rinnovabile (NREU) inferiore del 37% rispetto ai corrispettivi fossili, mentre l’impatto dell’acidificazione, della riduzione dell’ozono e della formazione di ozono fotochimico non era significativamente diverso tra le due tipologie di materiali.
Non tutti i materiali bio-based emettono meno
Tornando alle emissioni climalteranti, il gruppo di ricerca specifica che tra i materiali bio-based c’è una variabilità del livello di emissioni prodotte molto maggiore rispetto ai materiali di origine fossile: si va da un’impronta di gas serra più alta del 294% per i bioadesivi di lignina a un’impronta più bassa del 94% per i biocompositi in fibra di legno rispetto al loro corrispettivo fossile.
“Sebbene la maggior parte dei prodotti di origine biologica – 80 su 98 – mostrino in media un’impronta di gas serra inferiore rispetto alle loro controparti fossili, nessun prodotto raggiunge emissioni nette di gas serra pari a zero. Ciò suggerisce che la maggior parte dei prodotti a base biologica riducono le emissioni di gas serra se sostituiscono le loro controparti a base fossile, ma le soluzioni a base biologica non garantiscono la riduzione delle emissioni e in alcuni casi potrebbero infatti portare a emissioni di gas serra più elevate” chiarisce lo studio.
Chimica e plastiche: sulle emissioni vince il bio-based
Lo studio passa poi ad analizzare alcuni specifici ambiti, valutando ad esempio i vantaggi in in termini di minori emissioni legati alla sostituzione delle sostanze chimiche primarie con alternative di origine biologica nell’industria chimica. I principali prodotti petrolchimici, butadiene ed etilene, sono responsabili del 34% delle emissioni di gas serra dell’industria chimica primaria. Sostituendoli con alternative di origine biologica, si potrebbe risparmiare fino al 19% del totale delle emissioni di gas serra del settore.
La sostituzione della plastica comporterebbe invece un risparmio dell’1,3% del totale delle emissioni globali di gas serra ogni anno. Per ottenere riduzioni maggiori delle emissioni di gas serra, l’aumento dei tassi di riciclo, nonché i mix elettrici dominati dalle energie rinnovabili e l’elettrificazione dei processi sono strategie cruciali che andrebbero a beneficio non solo della plastica, ma anche di tutti gli altri tipi di prodotti, sia bio-based sia a base fossile.
Occhio ai cambiamenti d’uso del suolo
Un elemento di riflessione introdotto dallo studio riguarda poi l’origine della materia vegetale utilizzata per realizzare i materiali bio-based. Nell’analisi pubblicata da Nature Communication, solo il 13% degli studi includeva le emissioni di gas serra provenienti da cambiamenti nell’uso di suolo (in sigla inglese LUC) nella propria impronta di gas serra, e queste non si traducevano necessariamente in impronte di gas serra sistematicamente più elevate. “Le emissioni di gas serra provenienti dal LUC sono molto variabili, ma possono svolgere un ruolo importante, in particolare se si considera la deforestazione” ricorda il gruppo di ricerca. “La futura valutazione dei prodotti di origine biologica dovrebbe pertanto includere le emissioni di gas serra legate ai cambiamenti d’uso del suolo, ma attualmente ciò è ostacolato dalla mancanza di una metodologia armonizzata e standardizzata”.
Tutte indicazioni preziose per lo sviluppo ulteriore della Strategia Ue per la bieconomia “sostenibile e circolare”, che integra il Green Deal e si pone l’ambizioso obiettivo di coniugare sicurezza alimentare e nutrizionale, approvvigionamento sostenibile di risorse naturali, riduzione della dipendenza da risorse non rinnovabili e non sostenibili e contrasto alla crisi climatica, rafforzando la competitività europea e creando nuovi posti di lavoro.
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