fbpx
venerdì, Novembre 15, 2024

Break free from plastics: “Coca-cola, sponsor della COP27, è il maggior inquinatore da plastica”

Greenpeace: “Paradossale, considerando che il 99% della plastica deriva da petrolio e gas fossile”. Pubblicato ieri il report “Branded” della coalizione internazionale Break free from plastics (BFFP) che conta 2.700 organizzazioni riunite contro l’inquinamento da plastica

EconomiaCircolare.com
EconomiaCircolare.com
Redazione EconomiaCircolare.com

Quasi 207 mila volontari in 87 Paesi, tra il 2018 e il 2022, hanno girato parchi urbani, spiagge, foreste dove si accumulano rifiuti di plastica raccogliendo e catalogandoli per tipologia e marchio del produttore. Il risultato è il report “Branded, pubblicato ieri dalla coalizione Break free from plastics: “La plastica monouso dei marchi Coca-Cola, Pepsi e Nestlé è risultata, nell’ordine, la più frequente tra i rifiuti in plastica dispersi in natura che è stato possibile raccogliere e catalogare negli ultimi cinque anni”. Commenta Greenpeace Italia, che è parte della coalizione: “La Coca-Cola è sponsor della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP27) in corso a Sharm El-Sheikh, in Egitto. Considerando che il 99 per cento della plastica prodotta a livello globale deriva dalla raffinazione di petrolio e gas fossile, la partnership tra Coca-Cola e il più importante vertice dedicato all’emergenza climatica è paradossale”.

I 206.895 volontari guidati e preparati dalle associazioni che aderiscono a Break free from plastics hanno raccolto e catalogato 2.125.414 rifiuti di plastica. La tipologia di prodotti trovati riflettono i brand che li hanno prodotti: involucri per alimenti e bevande, flaconi e bustine, sono stati le principali categorie di rifiuti trovate dai volontari.

COP27 plastica
Fonte: BFFP

Di chi è la colpa?

“Per decenni, il pubblico è stato condizionato a credere che il problema dell’inquinamento da plastica, che ora si manifesta in modo senza precedenti, fosse causato dai propri comportamenti indisciplinati e dall’incapacità dei governi di istituire e attuare adeguati sistemi di gestione dei rifiuti”, ha commentato Von Hernandez, global coordinator di Break Free From Plastic. Invece “i nostri principali inquinatori sono i principali produttori di plastica”. Secondo i dati dell’Ellen MacArthur Foundation, nel 2021 The Coca-Cola Company ha usato 3.224.000 tonnellate di imballaggi monouso in plastica, Pepsi 2.500.000 e Nestlé 920.000. “Il lavoro di Break Free from Plastics – aggiunge Hernandez – ha messo in luce le vere cause di questa crisi, che è principalmente dovuto alla pratica irresponsabile e predatoria delle corporazioni di saturare le nostre società con plastiche monouso di ogni tipo senza considerare come possono essere gestite in modo sicuro e rispettoso dell’ambiente.

Leggi anche: Plastica: il Global Commitment è un mezzo fallimento

La soluzione

Secondo Hernandez “l’industria continua ad ingannare il pubblico insistendo sulla panacea del riciclaggio della plastica nonostante l’evidenza incontrovertibile del suo fallimento e della miriade di limitazioni”. Per questo, continua “ora, più che mai, i governi devono costringere chi inquina a investire nel riutilizzo e sistemi alternativi di consegna del prodotto che evitano il problema. Questo è uno dei principali cambiamenti sistemici necessari per prevenire tutte le conseguenze del cambiamento climatico e dell’inquinamento da plastica”.

Obiettivo polemico del documento sono anche gli scarsi risultati del Global commitment sulla plastica: guidato dalla Ellen MacArthur Foundation, in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, il Global Commitment ha unito più di 500 organizzazioni – che rappresentano il 20% di tutti gli imballaggi in plastica prodotti a livello globale – per un’economia circolare per la plastica, con l’obiettivo di contrastare l’inquinamento da plastica alla fonte. Ma, come EconomiaCircolare.com ha raccontato, i risultati sono al momento deludenti. “Dopo anni di greenwashing e false soluzioni, le aziende hanno dimostrato di non poter fare affidamento per realizzare un cambiamento sistemico attraverso impegni volontari”, leggiamo nel report BFFP.

“Solo un trattato globale sulla plastica, con meccanismi legalmente vincolanti e che includa politiche serie di riduzione della produzione e utilizzo, può efficacemente contrastare la crisi globale dell’inquinamento. Anziché favorire il greenwashing di aziende come Coca-Cola, i governi di tutto il mondo devono spingere le multinazionali a investire nelle vere soluzioni, come la ricarica e il riutilizzo degli imballaggi, che permettano di ridurre la nostra dipendenza dal monouso in plastica”, dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia, che a riguardo ha lanciato una petizione. “Si tratta di uno dei principali cambiamenti sistemici da attuare con urgenza per mitigare non solo l’inquinamento da plastica, ma anche la crisi climatica”.

Leggi anche: Trattato globale sulla plastica: iniziano i negoziati

La metodologia

“Questo rapporto – leggiamo nel documento BFFP – si basa sui dati auto-riportati inviati da diversi partecipanti provenienti da tutto il mondo”. I limiti sono quelli legati a questa tipologia di indagini: “I dati presentati – spiegano i promotori – sono un campione di rifiuti di plastica globali e non può pretendere di essere pienamente rappresentativo di tutto l’inquinamento da plastica”. Una sorta di carotaggio, senza pretesa di scientificità o rappresentatitivà statistica: “Una buona indicazione dei marchi più comuni trovatI in tutto il mondo”. Spiega ancora Break free from plastics: “È possibile che alcuni marchi non citati in questo rapporto producano ancora più inquinamento da plastica rispetto a quelli elencati nel report. I dati riflettono i marchi di plastica più comunemente trovati in Asia, Europa e Nord America dove BFFP ha una forte presenza”.

Inoltre, a causa delle restrizioni della pandemia, accanto ai clean up avvenuti nell’ambiente, “i partecipanti avevano anche la possibilità di condurre brand audit in casa” sugli imballaggi in plastica raccolti in una settimana. Le informazioni della raccolta domestica, sottolinea il documento, rappresentano “una piccola minoranza dei dati – solo il 13% dei dati totali nel 2020, il 16% nel 2021, il 7% in 2022”.

Break free from plastics sottolinea poi che “altre iniziative di audit (Surfers Against Sewage’s; Wastebase) che utilizzano diverse metodologie hanno dato gli stessi risultati”.

Leggi anche: Per superare la dipendenza dal gas russo serve diminuire la produzione di plastica

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie