Sono passati quattro anni dall’introduzione in Italia delle Comunità Energetiche Rinnovabili, note anche con l’acronimo CER, che avrebbero dovuto rivoluzionare, o perlomeno modificare in maniera importante l’attuale sistema energetico italiano ipercentralizzato, a favore di un’energia diffusa, condivisa e a minor costo (almeno su lunga gittata).
A distanza di così tanto tempo dal decreto legislativo n°199 del 2021, che adottava la direttiva europea RED II (Renewable Energy Directive), risalente a sua volta al 2018, le CER esistenti in Italia sono appena 212, con 326 impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili per una potenza di 18 megawatt e 1956 utenze collegate.
Davvero poca roba rispetto alle aspettative. A testimoniare il flop sono i dati del Gestore dei Servizi Energetici. I ritardi normativi e le complessità burocratiche hanno finora ostacolato la reale crescita delle CER. Negli obiettivi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il PNRR, entro il 30 giugno 2026 l’Italia dovrà raggiungere l’obiettivo di 1730 MW di potenza installata attraverso configurazioni di autoconsumo collettivo o comunità energetiche. I 18 MW attuali (dati del 14 marzo 2025) costituiscono poco più dell’1% del traguardo fissato dal PNRR.

Nel portale diffuso sul sito del GSE (qui) è possibile guardare la diffusione delle CER nel nostro Paese. In maniera solo in apparenza contro-intuitiva si nota che la regione che la fa da padrone è la Lombardia, mentre il Mezzogiorno, che ha le condizioni migliori per lo sviluppo delle energie rinnovabili, ospita il 30% di queste realtà, con le sue 62 CER attive, 84 impianti collegati per una potenza di 5,9 MW e 494 utenze servite.
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Ma il fermento intorno alle CER non si arresta
“Le CER rappresentano una grande opportunità, sia a livello nazionale che regionale, per lo sviluppo di impianti di piccola taglia alimentati da fonti rinnovabili che possano favorire una gestione sostenibile e condivisa dell’energia rinnovabile, apportando vantaggi sociali, ambientali ed economici ai partecipanti e promuovendo l’accettazione e l’uso delle energie rinnovabili da parte di cittadini, enti pubblici e privati”. La descrizione del GSE nel portale delle CER è inappuntabile. Ed è stato in fondo il ritornello anche dei governi in questi anni. Eppure sono stati proprio questi ultimi a rallentarne la diffusione.
Basti pensare che il decreto attuativo della legge del 2021 che istituiva le CER in Italia è arrivato dopo tre anni, a gennaio del 2024. Nel frattempo i governi Draghi e Meloni hanno dato un’accelerata impressionante ai mega impianti fossili: nello stesso arco di tempo sono arrivati due rigassificatori (a Piombino e Ravenna), e si è a buon punto per la realizzazione del gasdotto della Linea Adriatica, che taglierà l’Italia del Centro-Nord (da Sulmona a Minerbio). Segnali chiari delle priorità del potere di mantenere un’energia dall’alta verso il basso. Eppure il fermento attorno alle CER non si arresta. Al 31 marzo 2025 il GSE ha ricevuto quasi 4.000 domande per la costituzione di nuove comunità energetiche rinnovabili diffuse sul territorio, che permetterebbero di costituire una potenza complessiva di circa 390 MW e che costituirebbero, se realizzate, di raggiungere quasi un quarto dell’obiettivo fissato dal PNRR.

Quello delle CER sarà uno dei temi strategici della sesta edizione del Green Med Expo & Symposium, in programma a Napoli, alla Mostra d’Oltremare, dal 28 al 30 maggio 2025. Un convegno-dibattito che vedrà la partecipazione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, del GSE, dell’ANCI (l’associazione nazionale dei comuni italiani), della regione Campania e di Italia Solare, l’associazione dedicata alla diffusione del fotovoltaico. Il punto di partenza del dibattito non potrà che essere la strategia per superare l’attuale stallo, pena la perdita dei 2,2 miliardi di euro previsti dal PNRR e che devono essere spesi in poco più di un anno (la scadenza, ricordiamolo, è prevista per giugno 2026). A meno di eventuali proroghe concesse dalla Commissione europea.
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Come favorire una reale diffusione delle CER in Italia?
Come sottolinea l’organizzazione del Green Med una delle poche certezze sulle CER in Italia è che si tratta di un tema molto sentito ma che di questo passo le loro potenzialità (energetiche, economiche, sociali) saranno in buona parte inespresse. “Le CER rappresentano un’opportunità di crescita in chiave sostenibile per molti piccoli Comuni – spiega Monica D’Ambrosio, event manager del Green Med -. Sono uno strumento di tutela e di sicurezza energetica per il nostro Paese che negli ultimi anni ha messo a nudo tutta la propria vulnerabilità rispetto al tema autosufficienza. Il Mezzogiorno è ricco di sole e vento, la natura ci mette a disposizione tutti gli strumenti per fare da soli e bene. Serve imparare a utilizzarli nell’interesse dell’ambiente e dell’economia locale e di scala”.
Rispetto alle tante domande di costituzione di nuove comunità energetiche rinnovabili che giacciono presso gli uffici del GSE la difficoltà maggiore consiste, come già accennato, nella possibilità di esaminare e validare tutte le richieste in tempo utile per la messa in esercizio degli impianti, che dovrà avvenire in poco più di un anno.
“Per non perdere la grande occasione del Pnrr, che fissa l’obiettivo per le Cer in 1730 MW di impianti installati al 30 giugno 2026, occorre che tutte le linee ministeriali illustrate a Rimini di recente siano decretate in tempi brevissimi”, spiega Lino Bonsignore, referente di Italia Solare per la Campania. “Oltre ad aver spostato al 30 novembre 2025 la data di presentazione delle domande, occorre che la scadenza del 30 giugno 2026 non si riferisca all’avvio in esercizio degli impianti, ma che sia sufficiente la fine lavori attestata con perizia giurata; inoltre attendiamo l’annunciata ridefinizione della platea dei beneficiari, con l’allargamento ai consorzi, agli enti di bonifica e soprattutto agli autoconsumatori individuali a distanza. Bisognerebbe inoltre – continua – ammettere al contributo anche gli impianti installati nei Comuni con più di 5 mila abitanti, spostando a 30mila la soglia limite. I tempi sono strettissimi: occorre anche snellire le procedure; è di vitale importanza per cercare di avvicinarci all’obiettivo”.
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