mercoledì, Dicembre 3, 2025

Se un codice ATECO può spingere l’economia circolare

In Italia è stato da poco introdotto un codice ATECO (classificazione delle attività commerciali) specifico per i negozi dell’usato conto terzi. Gli operatori dell’usato plaudono: “Primo riconoscimento concreto dell’economia reale del riutilizzo”. Ma una parte rilevante di quel mondo resta ancora in una zona grigia. Intervista ad Alessandro Giuliani di Leotron, e Pietro Luppi di Rete ONU (operatori dell’usato)

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

La differenza tra un negozio che vende beni usati per conto di terzi e un’agenzia immobiliare, se li guardiamo con gli occhi della statistica e della burocrazia, è un codice di sei cifre. Ma questa differenza è emersa solo da qualche mese, da quando, nell’aprile scorso, è stato introdotto un nuovo codice ATECO specifico per l’intermediazione nel commercio al dettaglio di articoli di seconda mano (47.91.10). Fino ad allora, per lo stato, per l’ISTAT e per il fisco chi vendeva beni usati era classificato nella stessa categoria (agenzie di intermediazione d’affari) delle agenzie immobiliari, appunto.

Ma cos’è un codice ATECO? È una sigla utilizzata in Italia per classificare le attività economiche: elaborata, aggiornata e gestita dall’ISTAT, la classificazione ATECO viene usata principalmente per fini fiscali, statistici e amministrativi.

Come accennato, nell’aprile di quest’anno, finalmente, è arrivato un codice ATECO dedicato al mondo dell’usato (ma solo in parte, come vedremo). Ne ho parlato con Alessandro Giuliani (AG nell’intervista), patron di Leotron, network di mercatini dell’usato conto terzi; e Pietro Luppi (PL), presidente di Rete ONU (Rete Nazionale degli Operatori dell’Usato).

Un codice ATECO dedicato ai mercatini dell’usato in conto terzi: da quanto lo attendevate?

(PL) Da quindici anni, ossia da quando è nata la nostra associazione. Rete ONU rappresenta le molte anime del settore del riutilizzo, e uno dei nostri comparti chiave è quello dei negozi dell’usato conto terzi. Gli esponenti di questo segmento già soffrivano da anni per l’incoerenza dei codici ATECO e hanno posto fin da subito questo tema al centro della nostra piattaforma politica. Non ne potevano più di essere inquadrati con codici generici da “procacciatori d’affari”, con tutte le inevitabili incertezze fiscali e burocratiche che ne conseguivano. Con Rete ONU abbiamo lavorato a lungo per ottenere un codice dedicato, dando impulso a numerose proposte di legge e spiegando l’assurdità della situazione in tutti i tavoli ai quali ci è stato concesso partecipare.

(AG) Si tratta di un risultato storico che porta chiarezza normativa e riconoscimento istituzionale. Leotron ha dato un contributo concreto, dal basso, facendo sì che i propri negozi affiliati evidenziassero sistematicamente l’incoerenza dei codici ATECO negli studi di settore da loro inviati all’Agenzia dell’Entrate. Dopo aver ricevuto centinaia di nostre istanze, l’Agenzia delle Entrate ha portato la questione al comitato presieduto da ISTAT che nel 2024 ha aggiornato i codici ATECO. Crediamo che questo sia stato il fattore decisivo.

riuso usato
Baby Bazar. foto: Leotron
È applicabile ai soli rivenditori di usato conto terzi? Resta fuori un pezzo

(AG) Sì. Il nuovo codice è nato per gli operatori che fanno intermediazione tra privati tramite il conto vendita, inquadrati come agenzie d’affari ai sensi dell’articolo 115 del Testo Unico Leggi Pubblica Sicurezza. Non riguarda chi compra in proprietà e rivende con regime del margine, né gli ambulanti, né i centri comunali di riuso: è specifico per i mercatini dell’usato conto terzi.

Tutti questi altri operatori dell’usato restano allora in un limbo burocratico?

(PL) L’Ateco per il conto terzi è un primo importante passo verso il riconoscimento dell’economia reale del riutilizzo, ma continuano a rimanere in zona grigia ampissimi settori della seconda mano. Quello più importante in quanto a numero di addetti è quello degli ambulanti, condannato all’informalità nell’anno 2000, in seguito ai decreti ministeriali applicativi della Legge Bersani sul commercio e all’eliminazione dell’articolo 121 del TULPS che regolamentava la loro attività. Si tratta di circa 60.000 operatori che oggi sono afflitti da una condizione di estrema precarietà e vulnerabilità perché negli ultimi trent’anni non sono stati presi in considerazione né dall’evoluzione normativa né dalle politiche di gestione dei rifiuti. Eppure i loro risultati ambientali sono molto rilevanti: attorno alle 200.000 tonnellate di beni usati riutilizzati ogni anno, secondo le analisi a campione  realizzate nel 2024 dall’Università St. Andrews. Nonostante Rete ONU chieda da anni la loro ri-regolarizzazione, il quadro normativo ancora non è stato aggiornato. L’Alleanza Internazionale dei Waste Pickers, sindacato mondiale degli operatori vulnerabili del riutilizzo e recupero dei rifiuti, accreditato presso le Nazioni Unite, ha lanciato un segnale d’allarme sulla situazione italiana e sta valutando l’inizio di un procedimento legale presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

In che modo un codice statistico può migliorare la vita degli operatori dell’usato?

(AG): In molti modi. Prima di tutto la chiarezza normativa, perché vengono eliminate le ambiguità legate all’applicazione degli altri codici, che sono più compatibili con l’universo dei procacciatori, degli intermediari e delle agenzie. Essendo maggiormente riconoscibili ci aspettiamo rapporti più semplici con banche, Comuni e Camere di Commercio; con questi enti ora le incomprensioni dovrebbero essere risolte alla radice.

Non vogliamo più passare per situazioni come quella del lockdown, quando eravamo penalizzati da uno schema di aperture e chiusure che dipendeva dal codice di attività e dove noi ci trovavamo immancabilmente in una scomoda zona grigia.

A livello di policy, ci aspettiamo che la misurabilità delle nostre performance, data dall’esistenza di un codice inequivoco e a sé stante, dimostri qual è il nostro peso specifico nell’economia italiana, e qual è il nostro apporto all’ambiente. Alla luce di queste evidenze formali, speriamo nel prossimo futuro di poter negoziare con maggiore efficacia agevolazioni ed incentivi al riutilizzo professionale. D’ora in poi non saremo più un’anomalia difficile da interpretare, ma un settore che ha una propria dignità formale.

Avete già raccolto i frutti di questa novità?

(AG) No, non ancora. Oggi siamo nella fase in cui dobbiamo spiegare alle Camere di Commercio qual è il nostro codice ATECO effettivo. In molti casi, infatti, viene attribuita in automatico una trasformazione “di default” che non rispecchia la realtà dell’attività. È un passaggio inevitabile: serve tempo perché gli uffici recepiscano la novità e si allinei la prassi amministrativa. Ci auguriamo che, una volta stabilizzata questa fase, il nuovo codice porti numerosi frutti a tutti i livelli, aprendo la strada a incentivi legati alla prevenzione dei rifiuti, come ad esempio le riduzioni di IVA e Ta.Ri., a un coinvolgimento negli schemi di reverse logistic della responsabilità estesa del produttore, ed altre cose ancora, che sommate tra di loro favoriranno la nascita di nuovi negozi professionali e il consolidamento di quelli esistenti.

riuso usato
Baby Bazar. foto: Leotron
E in che modo il nuovo ATECO può portare vantaggi all’economia circolare?

(PL) Il riutilizzo è in cima alla gerarchia dei rifiuti. Eppure le filiere del riutilizzo non vengono prese in considerazione, nonostante in Italia impieghino almeno centomila persone reimmettendo in circolazione mezzo milione di tonnellate di beni. Agli occhi dei decision makers è come se non esistessero. E quindi il riutilizzo rimane un concetto astratto, e questo induce le istituzioni nazionali e locali a volerlo concretizzare per mezzo di progetti inventati a tavolino. È un grandissimo errore di impostazione. Provate a immaginare come sarebbero le policies sul riciclaggio se non si tenessero in nessun conto gli impianti di trattamento, e si ignorassero non solo le loro questioni economiche ed operative, ma loro stessa esistenza. Sarebbero policies fondate sul riciclo amatoriale della cartapesta, e ovviamente non ci sarebbero risultati ambientali da registrare. Nel riutilizzo, per quanto sembri assurdo, fino a oggi ha funzionato esattamente così. Le politiche ambientali tendono a focalizzarsi sulle realtà amatoriali, mentre il riutilizzo reale va avanti solo ed esclusivamente grazia all’iniziativa privata, che però a volte arranca. Il codice ATECO dell’usato conto terzi fa emergere uno dei segmenti più importanti del riutilizzo in Italia. Si tratta di un primo riconoscimento concreto dell’economia reale del riutilizzo, e speriamo che sia l’inizio di un percorso che porterà presto a policies più sensate. L’Agenzia Europea per l’Ambiente ha riconosciuto che i mercatini dell’usato conto terzi in Italia riutilizzano oltre 230.000 tonnellate di beni annui. Siamo sicuri che grazie al riconoscimento questi volumi aumenteranno, e che ad aumentare saranno anche i posti di lavoro diretti.

Anche i consumatori che scelgono usato avranno benefici?

(AG) Sì, in due modi. Innanzitutto, il riconoscimento dei negozi professionali incrementerà le offerte di beni di seconda mano di qualità, con sicurezza, tracciabilità e garanzie per chi acquista. Dopodiché, se a partire dal riconoscimento riusciremo a ottenere riduzione IVA, riduzione Ta.Ri. e classificazione come attività di pubblico interesse, ci saranno più margini per competere sui prezzi, e ciò andrà a sicuro vantaggio delle famiglie.

© Riproduzione riservata

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