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lunedì, Dicembre 23, 2024

Con la consultazione pubblica sulle acque reflue l’Italia prova ad adeguarsi all’Europa

Fino al 31 marzo sul sito del ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica è possibile presentare le proprie osservazioni sul decreto del presidente della Repubblica che disciplina il riutilizzo delle acque reflue urbane depurate ed affinate per diversi usi. Per adeguarsi al regolamento UE attivo dal 26 giugno

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Redazione EconomiaCircolare.com

Sul riutilizzo delle acque reflue urbane depurate ed affinate per diversi usi l’Unione europea ha stilato un nuovo regolamento che sarà attivo dal 26 giugno. Già approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, il regolamento (UE) 2020/741 del 25 maggio 2020 definisce per la prima volta requisiti minimi per l’utilizzo delle acque di recupero.

In questo ambito l’Italia è uno dei 27 Stati membri dell’Unione europea che già da tempo pratica il riutilizzo delle acque reflue depurate, con tutte le più adeguate tecniche volte alla protezione della salute pubblica e dell’ambiente. Lo fa attraverso una disciplina nazionale, attiva dal 2003, che però, alla luce delle nuove disposizioni europee, rischia di provocare un cortocircuito tra gli operatori e le operatrici del settore.

Ecco perché il Ministero dell’Ambiente e Sicurezza Energetica (MASE) ha posto  in consultazione pubblica il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) che armonizza la disciplina nazionale con quella europea sul riutilizzo delle acque reflue urbane depurate ed affinate per diversi usi. La bozza del nuovo DPR, oggetto della consultazione pubblica, è consultabile sul sito del MASE. Le osservazioni e le integrazioni potranno essere inviate entro il 31 marzo 2023 alla mail USSRI-5@mase.gov.it, secondo il format predefinito scaricabile.

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Una pratica di economia circolare per rispondere alla carenza d’acqua

Scrive il ministero che “il testo nazionale e quello europeo si differenziano per una serie di profili, tra cui l’ambito di applicazione e diversi utilizzi, l’approccio basato sulla gestione del rischio, le categorie dei soggetti responsabili, una diversa tipologia di approccio per la verifica di qualità delle acque. Per questo, la Direzione generale Uso sostenibile del Suolo e delle risorse idriche del Ministero si è attivata per equilibrare le due discipline, con l’obiettivo di non imporre agli operatori italiani un gravoso doppio binario normativo e diffondere in maniera efficace la pratica del riutilizzo”.

Una pratica di economia circolare che, come ricordano la viceministra all’Ambiente Vannia Gava e il ministro Gilberto Pichetto Fratin, è anche una misura per affrontare la scarsità d’acqua. Le cosiddette acque di recupero, infatti, sono già utilizzate e possono essere ulteriormente messe a disposizione dell’agricoltura, in ambiti civili e industriali, nonché per rafforzare gli ecosistemi. Dopo la storica siccità dell’estate 2022, infatti, che ha messo in ginocchio tutta l’Italia, all’orizzonte si prospetta una situazione ancor più complicata, soprattutto per la Pianura Padana, come lascia presagire il fiume Po in secca già oggi.

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Le differenze tra l’Italia e l’Europa sulle acque reflue

Il DPR sottoposto alla fase di consultazione pubblica è composto da 20 articoli e da due allegati, a loro volta composti da varie sezioni. Si tratta dunque di un provvedimento complesso in cui sono indicati, ad esempio, gli obblighi in materia di qualità delle acque affinate, le modalità di monitoraggio e di controllo, le modalità di riutilizzo e le campagne di informazione e sensibilizzazione. L’obiettivo, appunto, è quello di armonizzare la recente disposizione europea e quella italiana, antecedente nel tempo e rimodulata più volte nel corso degli anni.

“Con riferimento all’approccio strategico scelto dai differenti legislatori – si legge nella relazione illustrativa del dpr – si segnala che il regolamento europeo prevede il metodo della gestione del rischio sito specifico. Ciò significa che ai fini della produzione, dell’erogazione e dell’utilizzo di acque affinate, l’autorità competente dovrà provvedere a che venga stabilito un piano di gestione dei rischi connessi al riutilizzo dell’acqua, ciò con l’obiettivo di garantire la gestione proattiva e sicura delle acque reflue affinate, senza rischio per salute umana, animale e senza rischio ambientale. Al fine di azzerare il rischio emerso durante l’analisi del rischio, il piano di gestione del rischio e il permesso rilasciato dall’autorità competente potranno prevedere delle prescrizioni supplementari rispetto alle prescrizioni minime stabilite dal regolamento”.

Al contrario, “la normativa italiana in vigore dal 2003 detta prescrizioni e parametri rigidi da applicare a ogni ipotesi di riutilizzo, sia per fini irrigui che per fini civili, ambientali e industriali. Di tali differenze si è tenuto conto nell’elaborazione del nuovo DPR, in un’ottica evolutiva di adeguamento. L’opportunità di un superamento della disciplina attualmente vigente nasce anche dall’esigenza di rivedere l’intero impianto normativo di settore alla luce dell’introduzione del nuovo metodo della gestione del rischio sito specifico. Tanto premesso, si è ritenuto di procedere emanando una nuova bozza di DPR che disciplini la pratica del riutilizzo alla luce dei nuovi interventi normativi”.

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