Si è appena conclusa, con un documento finale discusso e votato in piena notte, la Cop27, vale a dire la 27esima Conferenza delle Parti della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Date le scoraggianti premesse, la Cop27 è stata fin da subito accolta da critiche e da un clima generale di forte scetticismo. Al fallimento della Cop26 si è infatti aggiunto uno scenario internazionale in cui la gestione dell’attuale della crisi energetica a livello globale è stata dominata da soluzioni con al centro i combustibili fossili.
D’altronde, anche il contesto della conferenza non poteva generare aspettative promettenti. Non sembra essere bastato lasciare a una multinazionale come Coca-cola, nota per le sue politiche estrattiviste, il ruolo di sponsor aziendale: la Cop27 si è svolta in Egitto, il paese considerato dalle organizzazioni dei diritti umani come uno dei più brutali e repressivi al mondo. Questo, nonostante non abbia impedito azioni di dissenso, ha precluso l’organizzazione di grandi manifestazioni di protesta, come quelle avvenute lo scorso anno a Glasglow in occasione della Cop26.
Per queste ragioni, risulta necessario comprendere il punto di vista di alcune delle realtà ecologiste che in questi anni hanno prodotto analisi e azioni conflittuali contro il modello di gestione della crisi climatica che la Cop27 rappresenta. Abbiamo quindi deciso di chiedere un commento sulle conferenze e sulle relative azioni di protesta svolte in Italia a Laura Vallaro, una delle portavoci nazionali di Fridays For Future Italia, e Andrea Barresi, del Gruppo Nazionale Scientifico (GNS) di Extinction Rebellion italia.
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Rispetto allo scorso anno a Glasgow, quali sono state le aspettative per questa COP27 all’interno del movimento e delle realtà ecologiste?
Laura Vallaro: Partiamo dal fatto che Glasgow era stato un fallimento. Con le emissioni in crescita dopo la pandemia, i Paesi si sono persi in promesse di zero emissioni nette in qualche data lontana nel futuro e non sono nemmeno riusciti a garantire tutti i 100 miliardi promessi ogni anno ai Paesi più vulnerabili per sostenere i costi della transizione. Da quando esistono le Cop è stata emessa la metà di tutte le emissioni: siamo arrivatə preparatə a un altro fallimento, perché continuiamo a ostinarci a voler affrontare la crisi climatica con lo stesso approccio che ci ha portati fin qui. Questo è particolarmente importante da capire se vogliamo cambiare in tempo. Questa volta a essere pennellato di verde è un regime. Molte organizzazioni occidentali hanno “boicottato” questo momento per le violazioni dei diritti umani in Egitto, noi abbiamo deciso di usare l’attenzione intorno alla Cop per mostrare che le violazioni di diritti umani sono direttamente alimentate ad esempio dagli affari di Eni con l’Egitto, e che anche noi possiamo aiutare a combatterle.
Andrea Barresi: Le aspettative erano molto basse per quest’anno; tra il governo repressivo in Egitto, la corsa al gas africano per disinvestire da quello russo e ancora la Cina con problemi energetici, alcuni temevano che si sarebbe fatto un passo indietro rispetto a Cop26. Noi come GNS ci siamo organizzati per seguire gli eventi, comunicarli e interpretarli sia verso i ribelli che verso i cittadini. Speriamo di esserci riusciti. Nelle settimane successive alla pubblicazione del testo finale prevediamo di fare incontri di diffusione e interpretazione per elaborare nuove strategie sulla base degli impegni rinnovati, della direzione del governo italiano e anche degli altri movimenti. Dobbiamo accelerare ed espandere le proteste.
Come valutate i giorni che hanno preceduto gli accordi finali? Quali credete siano state le maggiori criticità?
Laura Vallaro: Fin dai primi giorni è stata centrale la richiesta di liberare il giornalista britannico egiziano Alaa Abdel Fattah, incarcerato da 10 anni perché mette in discussione le azioni del regime. Da mesi in sciopero della fame, il primo giorno della Cop Alaa ha iniziato lo sciopero della sete, aspettando la libertà o la morte, e cercando di portare la discussione sulle cose che contano davvero, e fare cadere il greenwashing. Alla Cop infatti si discute dei finanziamenti che gli Stati ricchi e ad alte emissioni devono garantire ai Paesi più colpiti e vulnerabili, ma come possiamo pensare che questi fondi vadano alle persone che ne hanno bisogno se i governi di questi Paesi sono regimi e buttano in cella chi cerca di migliorare le cose? Secondo punto critico: anche quest’anno la maggiore delegazione è formata da più di 630 lobbisti delle compagnie dei combustibili fossili, mentre moltissimi paesi del Sud Globale sono sottorappresentati e attivistə e persone della società civile non hanno avuto accesso a causa delle difficoltà con i visti e la mancanza di fondi. Ecco cosa intendiamo quando diciamo che non possiamo affrontare le cose con lo stesso approccio che ci ha portato qui.
Andrea Barresi: È stata una conferenza dolceamara; da un lato l’esagerata presenza di rappresentanti di industrie fossili è scoraggiante e mette in dubbio la validità dell’evento, così come il pressappochismo con cui l’Italia ha affrontato questo vertice. La grande speranza è trainata dai paesi del Sud Globale e dal neoletto presidente brasiliano Lula, la cui convergenza forse sta riuscendo a portare a casa una vittoria cruciale sui finanziamenti per perdite e danni. Quest’ultimo punto in particolare è sulla bocca di tutti i media inglesi, mentre non ho notato molta attenzione da parte dei giornali italiani.
Il contesto egiziano ha precluso le grandi mobilitazioni conflittuali che si sono potute svolgere lo scorso anno. Credete che questo influirà sul risultato della Cop27? In Italia si sono tenute azioni di protesta a riguardo?
Laura Vallaro: Ci sono state alcune azioni alla Cop, in particolare per chiedere la liberazione di Alaa Abdel Fattah. Il 12 novembre in varie città italiane ci siamo unit3 alle azioni nel mondo, alle ambasciate, al Museo Egizio di Torino e nelle piazze per mostrare solidarietà e chiedere la sua liberazione, e molte persone si sono unite. Altre proteste sono avvenute con la richiesta di mostrare i soldi, i 100 miliardi promessi, che sarebbero solo 10 centesimi per ogni euro investito nei combustibili fossili, dopotutto. Queste proteste ci indicano chiaramente qual è la direzione da seguire: non è quella dei negoziati basati sulle bugie e sull’idea che possiamo nascondere le cose sotto al tappeto continuando a farla franca. È quella delle persone che usano le proprie voci, i propri corpi e rischiano per difendere la vita e il pianeta.
Andrea Barresi: Le proteste in realtà non sono mancate in situ, nonostante le difficoltà alcuni gruppi di attivisti africani sono riusciti a farsi sentire all’interno degli spazi della conferenza (che è territorio sotto protezione UN e quindi il governo egiziano non ha giurisdizione). In Italia invece, purtroppo credo che il governo attuale non abbia intenzione di prestare ascolto alle proteste convenzionali. Tra le esperienze di quest’estate con i fogli di via a Torino e Milano e le recenti proposte di legge contro i raduni non approvati, sembra che il modello repressivo egiziano sarà un esempio per il governo Meloni. Per farci sentire dovremo trovare strategie più efficaci e coinvolgere maggiormente la società civile.
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