[di Maria Rosa Pettazzoni]
Il vino è un prodotto di punta in Italia. Ed è parte di una filiera che espelle scarti in quantità, mentre percorre la strada dal vigneto al consumatore. Oppure no? SOSTINNOVI punta sul valore dei sottoprodotti
Sinossi
L’agroalimentare sta vivendo in questi anni grandi trasformazioni, e punta ora con decisione alla sostenibilità ambientale, e a generare un ritorno economico dalla valorizzazione dei sottoprodotti. La vitivinicultura è un settore di primo piano nel Belpaese, che dà occupazione a più di 1,2 milioni di addetti, e genera redditi per altrettante famiglie. Un’attività economica radicata nel territorio, espressione delle tipicità regionali, per offrire vini che solleticano il palato e animano le serate, e uve raccolte da filari che colorano colline e spianate. Una produzione principale che ne comporta una di carattere secondario: la quantità massiccia di scarti da smaltire e sottoprodotti da cui trarre nuova vita e nuovo valore. Dietro l’angolo, passata la vendemmia, si cumulano gli sfalci di potatura. In cantina, si separano feccia e vinacce. In distilleria, le borlande. Quantità ingenti da gestire, quantificare, conferire, e se possibile sfruttare ulteriormente. Grazie ai finanziamenti del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, erogati dalla Regione Emilia-Romagna, i membri del progetto SOSTINNOVI hanno profuso le loro energie per estendere il ventaglio delle possibilità per valorizzare i sottoprodotti della filiera vitivinicola. Uno sforzo collettivo e sinergico, che ha indotto ricercatori di discipline anche molto lontane -dagli ingegneri che si occupano di nuovi materiali agli esperti di energie da gassificazione, dagli agronomi agli esperti di bioplastiche, e tanti altri- a operare insieme.
È ancora il lavoro alacre di tante mani e di tecniche sapienti perfezionate nel tempo che ci consente di accompagnare i nostri piatti con un buon bicchiere di vino. Ancora, è il sole a scaldare gli acini, l’acqua a irrorare le radici, la terra a nutrire la pianta. Certo, la meccanizzazione e l’innovazione tecnologica in vigneto, il controllo avanzato dei processi in cantina, l’organizzazione logistica di grandi impianti hanno trasformato questo lavoro millenario. Il paesaggio bucolico dei filari convive con droni che rilevano la vigoria nelle varie parcelle, e forniscono coordinate per trattamenti differenziati. Le bacche d’uva possono essere immortalate in scatti. Essi rivelano, grazie ad analisi del colore ed algoritmi avanzati, il grado di maturazione, e sofisticate analisi di regressione forniscono all’operatore una stima del giorno di raccolta. I tanti dati dal vigneto ai silos di fermentazione sono raccolti in cloud, elaborati, consultabili da piattaforma web. Una rete di dati nella quale orientarsi grazie alle competenze avanzate dei tecnici.
Ma la produzione del vino rimane il risultato della terra, dell’acqua e dell’aria, e a questi elementi tornano gli scarti, dopo percorsi tortuosi ed eventuali trasformazioni. La potatura della vite, le vinacce, i raspi, la feccia. Di cosa parliamo? Per chi non fosse avvezzo alla viticultura, una carrellata: le vinacce sono le bucce di uva comprensive dei semi (vinaccioli), i raspi sono la parte erbacea che forma il grappolo, la feccia è il residuo insolubile della fermentazione del vino. Come tutte le attività dell’agroalimentare, la vitivinicultura porta sugli scaffali un prodotto per i nostri palati, ed espelle dietro l’angolo varie tipologie di scarti, in grandi quantità.
I volumi più consistenti sono quelli della potatura della vite: ogni anno, un ettaro di vigneto produce da 1 a 5 tonnellate di sarmenti, a seconda del tipo di vite, dell’età della pianta e della procedura impiegata. Si pensi che in Italia, le viti ricoprono circa 650.000 ettari, 55.000 delle quali in Emilia-Romagna. In tempi non lontani, i residui della potatutra avevano solo due strade dinnanzi: venire bruciati, oppure essere dispersi o sotterrati in campo. Soluzioni semplici, attuabili con risorse limitate, comode: non richiedono organizzazione complessa, né investimenti, né logistica. Sono alla portata di tutti.
Tuttavia, non sono le soluzioni più efficienti dal punto di vista ambientale -la prima ha l’inconveniente di generare emissioni dannose: i fumi della combustione-, né dal punto di vista economico, perché non consentono di massimizzare i vantaggi dell’energia immagazzinata negli scarti delle potature. A questi metodi tradizionali se ne sono allora aggiunti altri, sotto la duplice spinta di una nuova consapevolezza e coscienza ecologica, e della prospettiva di un maggior vantaggio economico. La ricerca di maggiore valore aggiunto, monetizzabile, dai processi di valorizzazione non riguarda solo le potature ma investe tutti i sottoprodotti della viticultura e, più a valle nella filiera, dei processi di vinificazione. Sarmenti, vinacce, raspi, fecce perdono il loro destino di scarti e diventano sottoprodotti del processo di produzione dell’uva, del vino e dei distillati, da reimmettere in altri cicli produttivi, per chiudere il cerchio.
Per le potature della vite, una soluzione ampiamente adottata ai giorni nostri è la valorizzazione energetica. La biomassa di sarmenti può alimentare centrali termoelettriche per fornire energia ai processi della cantina, e contribuire ad abbattere i costi, generando reddito accessorio nella gestione delle attività di filiera. Oppure, con uno sguardo ancora più lungimirante, le potature possono essere gassificate consentendo di produrre energia elettrica e termica, con un rendimento simile a quello della legna vergine, e biochar, un ammendante dei terreni in grado di sequestrare carbonio.
Quest’ultima è una delle soluzioni testate nel corso degli ultimi due anni dai ricercatori di “Sostenibilità e innovazione nella filiera vitivinicola” –SOSTINNOVI-, progetto di ricerca industriale coordinato dall’Università di Modena e Reggio Emilia. Il progetto, finanziato dal programma POR-FESR 2014-2020 della Regione Emilia-Romagna, è coordinato dal Centro BIOGEST-SITEIA dell’Università di Modena e Reggio Emilia (UNIMORE), in partnership con CIRI-AGRO dell’Università di Bologna, CRPV, Intermech.More (UNIMORE), SITEIA.PARMA dell’Università di Parma. Da aprile 2016, ricercatori di molteplici discipline hanno lavorato su soluzioni innovative, talvolta visionarie, e hanno fatto dialogare un ampio ventaglio di competenze ed expertise. L’operazione non avrebbe potuto funzionare se non ci fosse stato il coinvolgimento attivo delle cinque aziende vitivinicole partner di progetto. Caviro, Cevico, Riunite & CIV, Cantina Sociale san Martino in Rio, EmiliaWine sono aziende di primo piano nel territorio regionale e nazionale, che, insieme ai laboratori di ricerca, hanno individuato nella valorizzazione dei sottoprodotti della filiera un terreno su cui investire, per un futuro più sostenibile da un punto di vista ambientale e di maggiore efficienza economica. Gli operatori delle cantine hanno ospitato nei loro vigneti ai ricercatori, aperto loro le porte delle cantine, conferito campioni di sarmenti, di fecce, raspi e vinacce. Hanno discusso apertamente dei potenziali usi e del valore di mercato dei sottoprodotti, e dei limiti giuridici a soluzioni alternative -si pensi alle vinacce, che devono essere conferite alla distilleria, e il loro trasporto e conferimento deve essere tracciato e tracciabile. Preliminarmente a qualsiasi procedimento di valorizzazione, CRPV Lab ha proceduto ad una accurata caratterizzazione dei diversi sottoprodotti, essenziale per valutare gli output di processo.
Nel caso delle potature, i ricercatori del Beelab di UNIMORE le hanno impiegate, dopo opportuna trinciatura e riduzione a cippato, come input di un processo di gassificazione che produce il syngas, una miscela di gas combustibili da usare in un motore a scoppio che aziona un alternatore per la produzione di energia elettrica, e calore che può essere vantaggiosamente recuperato. Il residuo della gassificazione è una carbonella, il biochar, che può essere utilizzato per scopi agricoli come ammendante in grado di assorbire ingenti quantità di acqua, da rilasciare lentamente, contrastando così i fenomeni di carenza idrica. Oppure, può essere impiegato come prezioso scambiatore di ioni: ristabilisce l’equilibrio minerale nel suolo e fornisce un ambiente favorevole alla microflora e microfauna del terreno, fondamentale nell’ecologia del suolo e più in generale nel sistema agricolo. Non da ultimo, il biochar è una forma “recalcitrante di carbonio”. In altri termini, il carbonio viene sequestrato e sottratto definitivamente all’atmosfera, combattendo così l’emissione di gas serra. Un passo avanti rispetto ai sistemi, pur virtuosi, di valorizzazione energetica delle biomasse, che producono gas.
Ci si chiederà a cosa sono serviti i fondi Europei della Regione Emilia-Romagna in questo ambito. A verificare una ipotesi e quantificare i risultati, a fornire dati attendibili grazie a metodi tracciabili e standardizzati: questo del resto fa la ricerca scientifica applicata. Test di gassificazione condotti su 11 vitigni tipici del territorio emiliano-romagnolo hanno puntato a misurare l’efficienza del processo. I risultati sono più che incoraggianti, anche comparati alla gassificazione della biomassa di riferimento, la legna vergine, che si può preservare. A valle del processo, i ricercatori di BIOGEST-SITEIA hanno valutato l’efficacia del biochar, prima in semenzaio, poi applicando la carbonella in campo, e misurato il suo impatto sulle piante come fertilizzante.
Altri gruppi di ricerca hanno esplorato percorsi per la valorizzazione degli altri scarti di vigneto e cantina. All’interno di Intermech.More, ricercatori in scienza e tecnologie dei materiali, afferenti al gruppo di ricerca “materie plastiche” hanno tentato di ricavare da raspi e vinacce, sostanze antiossidanti usate per la stabilizzazione di matrici polimeriche e di realizzare con queste bioplastiche ad uso alimentare con migliori prestazioni. Inoltre, sono stati individuati sottoprodotti adatti per essere utilizzati come filler (agenti di carica) per lo sviluppo di nuovi materiali sostenibili a ridotto contenuto di polimeri di origine petrolifera. Il vantaggio? Ridurre il consumo di materiale vergine, facendo dei sottoprodotti della filiera una materia prima seconda.
Infine, il team del laboratorio SITEIA.PARMA si è spinto ad immaginare nuovi materiali per l’edilizia da realizzare con scarti della filiera. Da una parte, quantità opportunamente dosate di fecce e/o raspi sono stati essiccati e macinati, miscelate ad argilla, e successivamente cotte, grazie alla collaborazione di una fornace emiliana, per ottenere materiali ceramici eco-alleggeriti, che mostrano proprietà di isolamento termico e acustico.
Raspi e vinaccioli, macinati a vari gradi di finezza, sono usati come carica per la realizzazione di solid surfaces: lastre di finto legno da utilizzare come top per arredo interno, fornendo materiali facilmente lavorabili e gradevoli dal punto di vista della resa estetica. Il progetto SOSTINNOVI ha dimostrato che la filiera vitivinicola offre numerosi spunti per chiudere i cicli e realizzare una autentica economia circolare, attraverso il recupero di sostanze utili in altre filiere produttive, o all’interno del ciclo di produzione del vino. Di rilievo nel progetto sono gli aspetti energetici, sia per il risparmio di energia, sia per la produzione di energia da scarti produttivi. Il generoso impegno dei professionisti coinvolti nel progetto ha messo in luce come e fino a che punto in campo viticolo-enologico ci sia ampio spazio per l’innovazione e per la razionalizzazione dei processi in una chiave di bioeconomia.