Il Piano di lavoro quinquennale dell’Ecodesign, pubblicato nell’aprile di quest’anno, costituisce il primo banco di prova per l’attuazione dell’Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR), il regolamento europeo che stabilisce criteri ambientali vincolanti nella progettazione dei prodotti, con l’obiettivo di migliorarne le prestazioni lungo l’intero ciclo di vita. Attraverso il Piano, la Commissione Europea definisce la traiettoria normativa dei prossimi cinque anni: seleziona le categorie merceologiche da regolamentare con priorità, pianifica l’adozione degli atti delegati e introduce requisiti orizzontali validi per più settori, come la riparabilità, il contenuto riciclato e la riciclabilità.
Pur includendo alcune delle filiere strategiche individuate nell’articolo 18 dell’ESPR – come tessili, mobili, pneumatici, acciaio e alluminio – e prevedendo misure trasversali per le apparecchiature elettroniche, il Piano lascia fuori diversi comparti ad alto impatto ambientale ampiamenti riconosciuti come prioritari: prodotti chimici, vernici, lubrificanti, cemento, plastica, calzature e infrastrutture per le energie rinnovabili, non figurano tra le aree di intervento.
Secondo Eva Bille, responsabile dell’Economia Circolare presso l’European Environmental Bureau (EEB), in questo modo “la Commissione rischia di indebolire il potenziale del quadro normativo sull’ecodesign. Se il piano di lavoro sull’ecodesign copre solo un insieme limitato di prodotti, allora deve quantomeno stabilire gli standard più elevati possibili e colmare le lacune che consentono a prodotti di bassa qualità di inondare il mercato UE attraverso le piattaforme online”.
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Il settore calzaturiero
Le calzature sono tra i prodotti più impattanti dell’intero comparto tessile: da sole sono responsabili di almeno un quinto delle emissioni climalteranti del settore e di un terzo del consumo di risorse naturali e dell’inquinamento idrico. La loro progettazione, spesso basata su materiali compositi difficili da separare o non ancora riciclabili, ne ostacola la gestione a fine vita. A ciò si aggiunge una dismissione prematura, non tanto per ragioni funzionali ma per dinamiche di mercato come l’obsolescenza psicologica: la percezione, indotta dalla pressione commerciale, che un prodotto sia ormai superato anche se ancora pienamente utilizzabile. Non sorprende, quindi, che le calzature siano state incluse all’articolo 18(5) del regolamento ESPR tra i gruppi di prodotti prioritari da affrontare attraverso misure di ecodesign. Lo studio esplorativo pubblicato dal JRC nel novembre 2024 ha confermato questa valutazione, individuando il gruppo “tessili e calzature” come il più rilevante in termini di impatto ambientale tra tutte le categorie esaminate.
Tuttavia, il primo Piano di lavoro dell’ESPR non prevede ancora misure operative specifiche per questo settore, e lo studio in corso si concentra esclusivamente sull’abbigliamento. Una mancanza che ha sollevato le preoccupazioni di una coalizione ampia e trasversale – che include European Environmental Bureau, ECOS, Right to Repair Europe, RREUSE, oltre a rappresentanti del commercio, della riparazione e del riciclo – che ha indirizzato una lettera aperta alla Commissione Europea. Le richieste sono chiare: inserire le calzature tra le priorità operative del Piano e avviare uno studio preliminare ad hoc, parallelo a quello attualmente dedicato all’abbigliamento. Nel documento, i firmatari evidenziano il rischio che la macro-categoria “tessili e calzature”, pur formalmente riconosciuta come strategica, venga affrontata esclusivamente dal punto di vista dell’abbigliamento. Una riduzione che ignorerebbe le sostanziali differenze tecniche, funzionali e materiali tra i due segmenti, e che rischierebbe di rimandare sine die qualsiasi misura per un settore dal valore di mercato superiore ai 26 miliardi di euro solo nell’Unione.
L’esclusione delle calzature dallo sviluppo di requisiti ecodesign potrebbe inoltre generare incoerenze con i regimi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR), previsti dalla Direttiva Quadro sui Rifiuti dell’UE. Qualora le calzature fossero incluse nella modulazione ecologica delle tariffe EPR – i cui criteri sono definiti proprio sulla base dei requisiti ecodesign (articolo 22c, posizione del Parlamento sulla revisione della direttiva) – sarebbe fondamentale che tali criteri venissero stabiliti ben prima dell’entrata in vigore delle disposizioni in materia.

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Le plastiche e i polimeri
Un altro settore strategico rimasto escluso dal Piano di lavoro dell’ESPR è quello delle plastiche e dei polimeri. A sottolinearne l’assenza è una lettera firmata da un ampio fronte di organizzazioni – tra cui ECOS, Break Free From Plastic Europe, Rethink Plastic, EEB e ISDE – indirizzata alla Commissione Europea. Il documento ricorda come le plastiche fossero state incluse nella shortlist del Joint Research Centre tra i prodotti intermedi da trattare con priorità. Tuttavia, nonostante tale riconoscimento formale, il settore è stato classificato solo al terzultimo posto su sette nella graduatoria finale, dietro a ferro e acciaio, metalli non ferrosi, alluminio e prodotti chimici. Per comprendere le ragioni del posizionamento marginale e rafforzare la richiesta di un’azione regolatoria mirata, ECOS e Rethink Plastic hanno condotto un’analisi approfondita sulle fonti e metodologie del JRC. Lo studio evidenzia che la valutazione si basa in larga misura sul documento POL BREF (Best Available Techniques Reference Document for the Manufacture of Polymers), utilizzato come riferimento tecnico per affermare che il settore fosse già sufficientemente coperto dal quadro normativo esistente. Secondo lo studio, il POL BREF risulterebbe ormai superato e inadeguato a supportare l’attuazione dell’ESPR: non contempla interi segmenti produttivi rilevanti, come i poliuretani, e tratta le altre tipologie di plastica in modo parziale o contraddittorio. Inoltre, aspetti ambientali cruciali – quali gli impatti su biodiversità, suolo e risorse idriche – risultano largamente sottorappresentati, nonostante l’ampia documentazione scientifica disponibile.
In generale, molti dei settori già inclusi nel Piano – come tessili, pneumatici e vernici – si basano largamente sull’impiego di polimeri plastici come componenti fondamentali della loro struttura o funzionalità. Pertanto, senza introdurre requisiti di ecodesign specifici per le plastiche e i polimeri a monte della catena del valore, l’efficacia degli interventi previsti per questi settori a valle rischia di essere fortemente limitata. Per esempio, obiettivi cruciali come la tracciabilità delle sostanze pericolose lungo il ciclo di vita del prodotto o l’incremento dell’utilizzo di materiali riciclati – pilastri del Digital Product Passport e delle normative europee sulla trasparenza – dipendono dalla disponibilità di dati, criteri e controlli sin dalle prime fasi di progettazione e produzione delle materie plastiche. Senza una regolamentazione upstream, le misure downstream potrebbero agire su prodotti già “compromessi” dal punto di vista ambientale e tecnico.
Infine, la lettera sottolinea le implicazioni geopolitiche di questa scelta: escludere le plastiche dal Piano potrebbe indebolire la posizione dell’Unione nelle negoziazioni internazionali sul Trattato Globale sulla Plastica, compromettendo il ruolo di leadership finora esercitato.

Un colpo basso alla riparabilità di smartphone e tablet
Un altro nodo critico riguarda la riparabilità dei dispositivi elettronici. A portare l’attenzione su questo ambito è un documento pubblicato dalla coalizione Right to Repair Europe, che rappresenta oltre 180 organizzazioni in 30 Paesi europei attive nella promozione del diritto alla riparazione. Il testo prende in esame una recente proposta di modifica al regolamento (UE) 2023/1670, e solleva dubbi sulla tenuta complessiva dell’approccio europeo alla progettazione sostenibile e riparabilità di apparecchiature elettriche ed elettroniche.
La versione originale del regolamento prevedeva che batterie e display – le due componenti più soggette a usura – fossero non solo fornite come pezzi di ricambio, ma anche direttamente sostituibili dagli utenti finali. Tuttavia, una proposta correttiva avanzata dalla Commissione a poche settimane dall’entrata in vigore ha eliminato l’obbligo di sostituibilità del display da parte dell’utente, mantenendo il solo requisito di disponibilità del componente. Right to Repair Europe sottolinea che questa modifica riduce in modo sostanziale l’efficacia e l’ambizione del testo normativo, creando una contraddizione evidente: il componente sarà reperibile, ma non potrà essere effettivamente sostituito dall’utente, vanificando così il potenziale di estensione del ciclo di vita del dispositivo.
Il documento evidenzia come tale scelta non solo indebolisca la coerenza interna del regolamento, ma risulti disallineata rispetto alle strategie europee per la riduzione dei rifiuti elettronici e per la promozione di un’economia circolare inclusiva. La possibilità tecnica di produrre dispositivi effettivamente riparabili è già stata dimostrata da vari attori della filiera e rinunciare a rendere i display user-replaceable significa, secondo la coalizione, perdere un’occasione cruciale per tradurre in pratica i principi dell’ESPR: sostenibilità, durabilità e riparabilità come standard progettuali.
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