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lunedì, Dicembre 16, 2024

Ecodesign the future, i modelli di business che fanno bene all’ambiente

Il primo incontro del workshop progettuale “Ecodesign the future: packaging edition” pone le basi per progettare modelli di business innovativi che generino benefici ambientali ed economici. "L'obiettivo è quello di passare da una soluzione prodotto-centrica a una soluzione-centrica"

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

Per passare da un’economia lineare a una circolare, non basta proporre un prodotto green, ma deve esserci un ripensamento di tutto il sistema, questo sembra ovvio. Meno ovvio è come può avvenire questa riprogettazione. Per attuarla è, infatti, necessario conoscere e saper applicare modelli di business che siano sostenibili a livello ambientale, ma anche economico.

A porre le basi teoriche di quello che sarà il lavoro progettuale dei partecipanti al workshop Ecodesign the future: packaging edition è stato Gianmarco Bressanelli, ricercatore del Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) del DIMI (Department of Mechanical and Industrial Engineering), dell’Università degli Studi di Brescia. Nel corso della prima lezione del workshop, Bressanelli ha illustrato nozioni ed esempi indispensabili ai partecipanti per avvicinarsi con consapevolezza alla seconda fase dell’iniziativa: quando cioè le studentesse e gli studenti lavoreranno a dieci nuovi concept eco-progettuali basati su riciclo e sul riuso.

Nello specifico, la prima parte della lezione si è concentrata sul ruolo del service design all’interno dell’economia circolare: uno spunto interessante che può aiutare anche chi non è un addetto ai lavori a comprendere meglio quali siano i passi da compiere per ridisegnare un business, e di conseguenza, il nostro sistema economico.

Il service design è la progettazione relativa non solo al prodotto in sé ma a tutto quello che è legato all’offerta di un prodotto circolare, ovvero il servizio, il modello di business, l’ecosistema e gli attori coinvolti.

Come spiega Bressanelli, “l’economia circolare richiede un approccio sistemico che non deve limitarsi alla mera riprogettazione del prodotto in termini di design, innovazione tecnica e materiali perché altrimenti il prodotto rischia di non essere competitivo sul mercato e di avere un costo eccessivo. Deve esserci dietro una domanda, un modello di business e una riconfigurazione del supply chain, cioè una serie di attori disposti a fornire materiali, prodotti usati la rigenerazione, a collaborare o a dare risorse finanziarie”.

Quello del costo dei prodotti eco-sostenibili è una questione spinosa: certo, l’acquisto compulsivo di merce spesso prodotta senza seguire alcuna etica lavorativa e ambientale, come avviene nella fast-fashion, ha portato gran parte dei consumatori a non essere a conoscenza del vero valore di un prodotto. Tuttavia, alcuni prodotti che rappresentano un’alternativa meno dannosa per l’ambiente rispetto a quelli che troviamo comunemente in commercio sono spesso inaccessibili a molti.

È proprio per questo che è importante strutturare una buona idea in modo che possa diventare un progetto di successo, e a guadagnarci non sarà solo l’ambiente ma tutto il sistema produttivo e di distribuzione, con notevoli vantaggi anche per le tasche dei consumatori.

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Esempi virtuosi di economia circolare

Le innovazioni dell’economia circolare possono interessare tantissimi aspetti: la gestione del fine vita di un prodotto, una nuova concezione del suo design per predisporlo facilmente a sostituzioni o riparazioni, una riconfigurazione del processo produttivo ma anche un nuovo uso dello stesso, attraverso il leasing o un abbonamento.

A questo proposito Bressanelli ha fornito ai partecipanti alcuni spunti interessanti, tra questi prendiamo in considerazione un paio di esempi.

Il primo riguarda il settore dell’industria automobilistica ed è un progetto pilota che risale al 1989, quando la casa automobilistica Renault ha avviato, nello stabilimento francese di Choisy-le-Roi, un progetto di recupero di automobili giunte a fine vita, attraverso il disassemblaggio delle stesse, con l’obiettivo di recuperare e riutilizzare le componenti per fare rigenerazione. Nel 1989 si occupava di recuperare le componenti standard di motori a diesel come le pompe d’iniezione, ha poi esteso il recupero a trasmissione e compressori. Successivamente, nel 2017, ha rinnovato l’impianto estendendolo anche alla rigenerazione delle batterie elettriche.

Si riscontrano così benefici, come anticipavamo, sia da un punto di vista ambientale ma anche e soprattutto economico: si riesce infatti a riparare i veicoli esistenti con un consistente risparmio sui costi di acquisto per i consumatori e un incremento dei posti di lavoro. Riparare un’automobile genera infatti più posti di lavoro rispetto alla produzione che segue una catena produttiva tradizionale e che usufruisce maggiormente di sistemi robotizzati.

Un altro esempio virtuoso è Aquafil, un’azienda italiana che produce filato di nylon che più di dieci anni fa ha ideato una tecnica di depolimerizzazione chimica del nylon. Dopo essersi resi conto dell’enorme produzione di rifiuti derivante dalle moquette che a fine vita venivano buttate in discarica, l’azienda ha investito nella ricerca ed è arrivata a sviluppare una tecnica che permette di produrre nuovo filato rigenerato, proveniente da vecchie moquette e altri prodotti di nylon per poi rivenderlo sia all’industria della pavimentazione tessile che a quella dell’abbigliamento tecnico-sportivo.

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I vantaggi ambientali dei business servitizzati

Per fare economia circolare è dunque necessario ripensare i modelli di business: con quelli tradizionali il cliente chiedeva un prodotto e all’azienda bastava progettare o vendere quel prodotto; oggi invece, come ha spiegato ancora Bressanelli, i clienti chiedono una soluzione e l’azienda deve progettare l’intera soluzione.

Per entrare meglio nel vivo della questione, il ricercatore ha citato la startup olandese produttrice di jeans, Mud. Questa ha infatti inventato un nuovo modello di business, quello del jeans circolare e servitizzato, cioè non incentrato sulla vendita del prodotto ma del servizio. Stravolgendo il paradigma della fast-fashion, i jeans non vengono acquistati ma sono offerti in leasing: gli utenti interessati pagano una tariffa iniziale e poi una tariffa mensile per utilizzare il prodotto. In genere la durata del leasing è di 12 mesi, al termine di questo arco di tempo gli utenti possono decidere se proseguire con l’utilizzo oppure restituire il jeans all’azienda: se il capo è ancora in buono stato viene riutilizzato, se non lo è viene avviato al riciclo e il filato recuperato è utilizzato per produrre un nuovo paio di jeans.

Questi modelli di business servitizzati sono utilissimi all’economia circolare per diverse ragioni: in primo luogo la proprietà del prodotto rimane in capo al fornitore che è così incentivato sia a progettare a livello di design e di concept un prodotto più durevole, sia a recuperare un prodotto quando non è più utilizzabile. È, inoltre, più facile per clienti poter usufruire di un prodotto di qualità o ad alta efficienza energetica perché non devono sostenere un grande costo iniziale ma solo versare una piccola quota mensile. Infine, la condivisione dei prodotti riesce a soddisfare la domanda, riducendo il numero degli stessi prodotti.

“L’obiettivo – ha puntualizzato Bressanelli – è passare da una soluzione prodotto-centrica, in cui l’azienda offre un prodotto e poi tutto quello che ha a che fare con quel prodotto diventa un problema del consumatore finale o di chi si occuperà del fine vita, a modelli di business più evoluti, focalizzati sull’utilizzo, come ad esempio il leasing e altre modalità di abbonamento, oppure risultato-centrica, dove il cliente non acquista direttamente il diritto di utilizzare un prodotto ma acquista il risultato finale”.

Una guida per nuovi modelli di business

Cambiare il proprio modello di business, ossia la modalità attraverso la quale un’azienda crea, distribuisce e cattura valore, può dunque essere un’ottima idea non solo per l’ambiente ma anche per aderire ad un modello di sviluppo che, fortunatamente, sta prendendo sempre più piede. Il primo passo è applicare un business model canvas, uno strumento strategico che utilizza il linguaggio visuale per creare e sviluppare modelli di business innovativi.

Per chi volesse avventurarsi in questo tipo di impresa ma non sa da dove iniziare è online una guida pratica della Ellen MacArthur Foundation che offre delucidazioni, spunti e modelli scaricabili, relativi a ogni aspetto legato alla riprogettazione del proprio business in un’ottica di economia circolare, un cambiamento non solo auspicabile ma necessario.

Leggi anche: “Ecco le strategie per rendere un business circolare”. Il report dell’Eea

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