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sabato, Dicembre 14, 2024

Includere gli ecosistemi nel calcolo del PIL: la proposta del Joint Research Center

Non tenere conto della salute degli ecosistemi rende il Pil una misura fallace: perché le risorse provengono dalla natura, e distruggerla significa compromettere il benessere. Per valutare lo stato di un’economia bisognerebbe affiancare al Pil un indicatore come il Prodotto ecosistemico lordo: il centro di ricerca della Commissione europea è al lavoro per farlo

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

I servizi ecosistemici come l’impollinazione, l’assorbimento del carbonio delle foreste o la depurazione delle acque sono importantissimi per qualsiasi economia e dunque dovrebbero essere considerati nel calcolo del Prodotto interno lordo. Nello studio Gross Ecosystem Product in Macroeconomic Modelling report il Joint Research Center della Commissione europea ha perciò elaborato un nuovo indicatore, il Prodotto ecosistemico lordo (Gep, dall’inglese Gross Ecosystem Product), da affiancare al tradizionale Prodotto interno lordo nell’analisi macroeconomica come strumento per valutare il benessere di un’economia.

Questo concetto è in grado di cogliere il valore che i servizi ecosistemici forniscono in termini economici e secondo gli autori sarebbe particolarmente utile se adottato a livello istituzionale, migliorando la qualità delle decisioni macroeconomiche e, come conseguenza, il capitale naturale delle nazioni. Mentre continuare a tralasciare il contributo che la natura può dare all’attività economica, rende il Pil uno strumento inadeguato e che, anzi, può portare le istituzioni a prendere decisioni sbagliate e dannose.

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L’importanza dei servizi ecocistemici e la fallacia del Pil

Il Pil, infatti, per giudicare lo stato dell’economia nazionale calcola il valore totale della produzione e del reddito generato annualmente, ma non include la svalutazione degli asset, di cui senza dubbio il degrado dell’ambiente naturale è il più importante. Questo rende in sostanza il Pil una misura funzionale per la gestione macroeconomica di breve periodo, ma inaffidabile per valutare uno sviluppo davvero sostenibile.

Un’economia, infatti, può registrare un alto tasso di crescita del Pil svalutando i suoi asset, ad esempio attraverso un’estrazione incontrollata delle risorse naturali, ma non sarebbe possibile coglierne i danni economici guardando solo le statistiche nazionali. E purtroppo, negli ultimi decenni, è stato proprio l’erosione degli asset naturali lo strumento privilegiato dall’economia mondiale per raggiungere la crescita economica.

Invece la natura è alla base di qualsiasi società umana e attraverso i servizi ecosistemici contribuisce in maniera positiva all’attività economica. Il World Economic Forum ha calcolato che più della metà del Pil globale, equivalente a 44 trilioni di dollari, dipende in una certa misura dalla natura. Non può perciò essere danneggiata in maniera irreparabile perché questo, restando sempre nell’ottica economica, senza considerare tutte le altre ragioni di ordine etico e di giustizia sociale, vorrebbe dire rendere inutile qualsiasi miglioramento degli standard di vita materiali. E nel lungo periodo, distruggere l’economia stessa di un Paese.

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Calcolare il peso economico dei servizi ecosistemici

I servizi ecosistemici sono definiti nella Classificazione internazionale comune dei servizi ecosistemici (CICES – in collaborazione con l’European Environmental Agency) e comprendono servizi di approvvigionamento (ad esempio cibo, legname, acqua), servizi di regolazione e mantenimento della biosfera (ad esempio depurazione dell’acqua, sequestro del carbonio) e servizi culturali (ad esempio ecoturismo, esperienze nella natura per la salute mentale).

Il prodotto ecosistemico lordo è definito come il valore economico totale dei servizi ecosistemici di approvvigionamento, dei servizi ecosistemici di regolazione e mantenimento e dei servizi culturali in una determinata nazione o regione in un anno. Sebbene siano ampiamente riconosciuti come estremamente importanti per qualsiasi economia per i benefici che forniscono alle imprese e alla società, stimare il valore economico di questi servizi può essere complicato, perché molto spesso non presentano volumi, prezzi o mercati ben definiti, oltre alla difficoltà nel raccogliere i dati necessari.

Per calcolare il prodotto ecosistemico lordo il Joint Research Centerha utilizzato un modello macroeconomico chiamato Magnet, che permette di confrontare l’impatto delle politiche sul Pil e sul Gep, sviluppato dal Wageningen Economic Research (WEcR) e i dati dell’Inca (Integrated Natural Capital Accounting), un progetto del Joint Research Center che ha lo scopo di valutare economicamente i servizi ecosistemici. Ad esempio, all’interno dei confini Ue, i terreni coltivati sono stati valutati 61.441 milioni di euro, i pascoli 29.071 milioni di euro e boschi/foreste 81.414 milioni di euro.

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Cambiare modelli di produzione e di consumo

Il problema principale legato ai servizi ecosistemici è che la domanda di servizi di fornitura tra cui cibo, fibre, biocombustibili, legname, acqua e pescato cresce costantemente, mentre i servizi di regolazione e supporto calano. C’è perciò la necessità di trovare un nuovo equilibrio in cui la crescente domanda di servizi di fornitura conviva con la tutela dei servizi di regolazione. E qui può rivelarsi utile il Prodotto ecosistemico lordo, perché permette di misurare molto meglio del Pil come raggiungere il nuovo equilibrio.

Oltre alle strategie volte a impedire la distruzione degli habitat, che ovviamente hanno l’effetto negativo più diretto sui servizi ecosistemici, questi ultimi possono essere supportati efficacemente con l’adozione di sistemi di produzione più sostenibili: l’agricoltura rigenerativa e organica, l’agrosilvicoltura o acquacoltura a basso livello trofico sono pratiche capaci di rafforzare i servizi di regolazione (come l’impollinazione e la regolazione della qualità dell’aria), e nello stesso tempo fornire cibo.

L’economia circolare è un altro esempio di strategia essenziale per eliminare l’impronta ecologica dei materiali prelevati dalla biosfera e quelli rilasciati come scarti, oltre a generare un impatto economico positivo grazie alla creazione di nuovi posti di lavoro. Un aspetto che incide parecchio sull’impronta ecologica delle attività umane è la dieta ricca di prodotti animali, che porta allo sfruttamento dell’80% del suolo mondiale per terreni destinati al pascolo o alla coltivazione dei mangimi e genera emissioni di gas serra dalle dieci alle cinquanta volte superiori rispetto al cibo a base vegetale.

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Un esempio di calcolo del Prodotto ecosistemico lordo

Ipotizzando uno scenario in cui i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori portano a un graduale aumento del consumo di proteine di origine vegetale, i ricercatori del Joint Research Center hanno simulato l’utilizzo del Prodotto ecosistemico lordo. Utilizzando solo il Pil, nel nuovo scenario si registrerebbe un impatto economico positivo, ma molto ridotto: un aumento dello 0,01% nell’Unione europea nel 2030. Al contrario, l’indice Gep aumenterebbe dell’1,5%: ciò corrisponde a 2,3 miliardi di euro, un impatto economico significativo che il Pil non è riuscito a cogliere.

Nel dettaglio, questo scenario porterebbe nell’Unione europea a una leggera diminuzione del 5% della superficie dei pascoli e dei servizi associati, ma a un aumento del 3% della superficie forestale e del 4% delle produzioni vegetali entro il 2030. Di conseguenza, crescerebbero i servizi ecosistemici legati alle terre coltivate e alle foreste, tra cui la rigenerazione della natura, l’approvvigionamento delle colture, la purificazione dell’acqua, l’impollinazione, il controllo delle inondazioni, l’approvvigionamento di legname e il sequestro del carbonio, quest’ultimo grazie all’espansione della superficie forestale. Tutti benefici per i quali è evidente la ricaduta positiva non solo ambientale ma anche economica.

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Uno strumento per valutare l’impatto delle politiche europee

Alcune nazioni si stanno già muovendo per adottare misurazioni che incorporino il valore dei servizi ecosistemici nella pianificazione delle politiche economiche. La Cina è recentemente diventata il primo paese a impiegare il Gep, mentre i Paesi Bassi e l’Islanda hanno deciso di tenere conto del valore dei servizi ecosistemici nelle statistiche nazionali. Eppure, secondo uno studio condotto dall’università di Amburgo e pubblicato su Science, i governi finora non sono ancora riusciti a valutare in maniera attendibile il valore monetario dei servizi ecosistemici.

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L’Unione europea cerca da tempo di promuovere alternative al Pil e ha iniziato a sviluppare una nuova serie indici di ricchezza e benessere già nel 2007, organizzando la prima conferenza dal titolo “Beyond Gdp” (oltre il Pil). A partire dal 2017 la Commissione europea ha messo a punto una serie di indicatori alternativi, tra cui speranza di vita alla nascita, tasso di mortalità dovuto alle malattie croniche, tasso di suicidi, morti sul lavoro, incidenti stradali mortali.

Sintomo della presa di coscienza che una reale economia del benessere richiede di concentrarsi sulla prosperità a lungo termine di tutte le generazioni future e di promuovere un pianeta sano, invece di distruggerlo in nome della crescita economica. Eppure, quando si tratta di prendere scelte di politica economica, il Pil resta l’unico criterio di valutazione, causando danni enormi all’ambiente e remando contro quelli che sono davvero gli obiettivi dello sviluppo sostenibile fissati dalle Nazioni Unite.

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