È arrivata martedì 12 marzo, con 467 voti favorevoli, 65 contrari e 74 astensioni, il via libera dell’Europarlamento alla Direttiva Green Claims contro il greenwashing. Anche se la legislazione volge al termine, questo voto è importante: il voto espresso in plenaria è infatti giuridicamente vincolante anche nella legislatura successiva. Dopo il voto del 6-9 giugno i nuovi rappresentanti riprenderanno i dossier da dove si erano interrotti per portarli alle fasi successive, in questo caso il trilogo con Consiglio e Commissione, dopo che anche i rappresentanti dei governi nazionali in seno al Consiglio avranno approvato la propria posizione negoziale.
“È giunto il momento di porre fine al greenwashing. – ha dichiarato il relatore della commissione Ambiente Cyrus Engerer (S&D, Malta) – La nostra posizione pone fine alla proliferazione di dichiarazioni ecologiche fuorvianti che hanno ingannato i consumatori per troppo tempo. Faremo in modo che le aziende dispongano degli strumenti giusti per adottare pratiche di sostenibilità autentiche. I consumatori europei vogliono fare scelte sostenibili. Tutti coloro che offrono prodotti o servizi devono garantire che le loro dichiarazioni siano verificate scientificamente.”
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Cosa prevedrebbero le nuove norme contro il greenwashing
La Commissione ha presentato la propria proposta contro il greenwashing un anno fa, dopo aver osservato che il panorama delle dichiarazioni ambientali è quantomeno preoccupante. Almeno il 75% dei beni sul mercato già dal 2014 conteneva dichiarazioni green. Tuttavia, secondo l’esecutivo Ue, nel 2020 almeno il 53,3% delle informazioni su ambiente e clima presenti in etichetta su un campione esteso di prodotti era ingannevole. E il 40% completamente prive di fondamento.
Vediamo cosa prevede il testo approvato dall’Europarlamento:
- Prove scientifiche. “Biodegradabili”, “meno inquinanti”, “a risparmio idrico” o “a base di materie prime biologiche”: non vedremo più affermazioni del genere sui prodotti in commercio a meno che le imprese che li producono non siano in grado di giustificale scientificamente. Secondo la direttiva, infatti, e in questo il Parlamento è in linea con la proposta dalla Commissione, quando un’azienda presenta delle affermazioni sulle prestazioni ambientali di un prodotto, dovrà fornire prove scientifiche sulla loro veridicità, prendendo in esame l’intero ciclo di vita del prodotto. E dovranno essere verificate da terze parti (cioè soggetti indipendenti);
- Dimostrazioni preventive. La prove che le affermazioni sono veritiere e scientificamente affidabili dovranno essere preventive, secondo il Parlamento: dovranno cioè essere fornite prima di poter commercializzare i propri prodotti;
- 30 giorni di tempo. Saranno i Paesi membri a dover identificare i soggetti pubblici tenuti alla valutazione sulla veridicità dei green claims. Il Parlamento vuole che le dichiarazioni e le relative prove siano valutate entro 30 giorni, ma le dichiarazioni e i prodotti più semplici potrebbero beneficiare di una verifica più rapida o più semplice.
- Eccezioni per la microimprese. Le microimprese non sarebbero tenute ad allinearsi alle nuove norme e le PMI beneficerebbero di un anno in più per conformarsi rispetto alle imprese più grandi.
- Compensazione delle emissioni. Gli eurodeputati confermano il recente divieto (Direttiva Empowering consumers for the green transition) dell’Unione Europea di fare dichiarazioni ecologiche basate esclusivamente sui cosiddetti schemi di compensazione delle emissioni di anidride carbonica (carbon offset). Aggiungono che le aziende potranno ancora citare gli schemi di compensazione se hanno già ridotto “il più possibile” le loro emissioni e utilizzare questi schemi solo per le emissioni residue (la Commissione europea, stando al testo del Parlamento Ue, avrebbe un anno di tempo dopo l’entrata in vigore della direttiva per produrre, insieme al Comitato scientifico consultivo europeo sui cambiamenti climatici, una metodologia coerente per definire quali emissioni possono essere considerate residue). I crediti di carbonio degli schemi devono essere certificati, come stabilito dal Carbon Removals Certification Framework (su cui Parlamento e Consiglio hanno da poco trovato un accordo).
- Multe. Le aziende che utilizzano dichiarazioni ambientali non comprovate per commercializzare i propri prodotti potrebbero essere sanzionate con multe pari ad almeno il 4% delle entrate annuali, o esclusioni fino a un anno dalla partecipazione ad appalti pubblici o sussidi.
- Sostanze pericolose. Il Parlamento ha inoltre proposto che le dichiarazioni verdi sui prodotti contenenti sostanze pericolose saranno permesse per il momento, e sarà la Commissione a valutare prossimamente se debbano essere vietate del tutto.
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Le reazioni
Favorevoli all’avanzamento dell’iter legislativo gli ambientalisti. “L’esito del voto è una vittoria per i consumatori- ha commentato Dimitri Vergne, responsabile del team per la sostenibilità della European Consumer Organisation (BEUC) – D’ora in poi sarà semplice: niente prove, niente dichiarazioni ecologiche, niente greenwashing”. Margaux Le Gallou, responsabile del programma ECOS – Environmental Coalition on Standards, ha esortato i responsabili politici dell’UE e gli Stati membri a portare a termine questo dossier legislativo prima delle elezioni europee: “L’Europa ha un disperato bisogno di regole per prevenire le dichiarazioni ambientali ingannevoli e sostenere i consumatori e le imprese sostenibili, invece delle aziende che fanno false promesse: questa direttiva potrebbe essere la soluzione”.
Contrari invece parte del mondo produttivo e della politica. La proposta di Direttiva sui Green Claims “pone troppi ostacoli per il conseguimento delle asserzioni verdi da parte delle piccole e micro imprese. – ha detto l’europarlamentare Elena Lizzi (Lega-Identità e Democrazia) – Serve una maggiore flessibilità affidata ai singoli Stati membri. Il testo uscito dai negoziati – continua Lizzi – è un compromesso che non soddisfa noi e neppure le associazioni di categoria. In particolare, si riduce l’utilizzo dei crediti di carbonio derivanti dalle pratiche agricole e forestali, col risultato di limitare il ricorso al carbon farming da parte degli agricoltori e di ridurre ancor di più gli strumenti disponibili sul mercato per facilitare la transizione verso gli obiettivi climatici del Green Deal”.
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