Se il mercato che si autoregola è un mito economico ormai svanito, il mondo della riparabilità ne è un esempio calzante. In questo ambito, infatti, il mercato sembra resistere anche alla forza della domanda, come nel caso della richiesta di prodotti più durevoli e riparabili.
Il sospetto, infatti, che i big dell’hi-tech non facciano abbastanza per allungare la vita dei propri prodotti, trova conferme in una ricerca indipendente americana che misura, “punti di riparabilità” alla mano, le performance dei più diffusi modelli di laptop e smartphone in vendita. Il pieno riconoscimento del diritto alla riparazione, senza regole stringenti dei governi, è ancora lontano.
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I produttori hi-tech fanno meglio ma non abbastanza
Nel complesso, i risultati relativi al 2023 della Failing the Fix’ scorecard, mostrano un miglioramento dei punteggi del settore rispetto all’anno passato, il primo dell’iniziativa. Molti produttori tecnologici, incentivati anche dall’esistenza di una pagella, progettano dispositivi che durano più a lungo. Ma non fanno ancora abbastanza sul fronte dei prezzi e della disponibilità di pezzi di ricambio, nonché sulle istruzioni a favore delle riparazioni indipendenti.
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Più caro non vuol dire più riparabile
Secondo l’indagine, inoltre, pagare un prezzo più alto per i nostri dispositivi, spesso, non significa acquistare un prodotto più durevole. Tra i dati più significativi, la ricerca rileva che, nonostante siano più costosi, i MacBook Apple sono due volte più difficili da aprire e riparare rispetto ai laptop Dell.
Dall’altra parte i Chromebook sono più convenienti, ma meno riparabili rispetto ad altri laptop. Anche sul fronte degli smartphone, Apple si aggiudica la maglia nera classificandosi ultima tra i suoi competitor con una D (i punteggi vanno da A a F), mentre Motorola risulta la migliore con una B+.
Riparare vuol dire risparmiare
L’indagine che boccia la casa di Cupertino, simbolo incontrastato dello stile di vita hi-tech americano, è stata realizzata da US PIRG (United States Public Interest Research Groups), un’organizzazione di advocacy su vari temi, quali i diritti dei consumatori e l’accesso alle cure mediche.
PIRG si presenta come una federazione su base nazionale di gruppi di ricerca di interesse pubblico indipendenti, finanziati dai cittadini, col compito di trovare soluzioni per un futuro più sano e sicuro per tutti gli americani. Nel gennaio 2021 ha rilasciato un report dal titolo “Rapair save family pig” (la riparazione protegge il salvadanaio delle famiglie) secondo il quale gli americani potrebbero risparmiare complessivamente 40 miliardi di dollari all’anno riparando i dispositivi elettronici invece di sostituirli.
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Come vivere nel mondo digitale
Secondo la ricerca, a partire dal 2019, le famiglie americane hanno speso circa 1.480 dollari all’anno per l’acquisto di nuovi prodotti elettronici. E man mano che sempre più cose sono diventate digitali, la spesa è aumentata, così come le sostituzioni. Si stima che, in media, gli americani utilizzino 24 dispositivi elettronici nelle loro case.
La società è permeata dagli strumenti digitali. Specie a seguito della pandemia, come è avvenuto in molti altri paesi, gli americani hanno fatto affidamento alle proprie “device” per il telelavoro, l’apprendimento a distanza, la cena e il bucato. E utenti abituati a vivere nel mondo digitale hanno bisogno di dispositivi sempre funzionanti.
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Un problema comune a consumatori e ambiente
L’assunto di base, dunque, è che la possibilità di riparare è un importante valore per molti cittadini statunitensi schiacciati dai costi del consumismo usa e getta, soprattutto tecnologico, e consapevoli della grande quantità di rifiuti che questo provoca. Secondo il report dell’Environmental Protection Agency, infatti, i rifiuti elettronici sono quelli ad aumentare più velocemente tra gli scarti domestici.
Mentre secondo i dati della Commissione europea, ogni anno nell’Ue la dismissione di beni potenzialmente riparabili produce 35 milioni di tonnellate di rifiuti e 261 milioni di tonnellate di emissioni di gas climalteranti, oltre a 12 miliardi di euro di perdite. La persistenza di beni non riparabili risulta un problema comune a consumatori e ambiente.
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Come si guadagnano punti di riparabilità?
Come si scelgono, allora, le aziende più virtuose e i prodotti più riparabili? Il sistema di punteggio messo a punto da US PIRG giudica attraverso sei parametri la riparabilità di 330 dispositivi elettronici. A partire dall’indice di riparabilità del sistema francese, la Failing the Fix’ scorecard fa guadagnare o perdere punti ai prodotti di marche come Google, Microsoft, Motorola, Samsung, Dell, Apple, Asus, Lanovo, Hp, Acer, etc.
Alcuni dispositivi, ad esempio, risultano riparabili fisicamente, in base al punteggio di smontaggio, ma il prezzo o la disponibilità dei pezzi di ricambio abbassano notevolmente il voto finale. È il caso della Apple, che ha aumentato la riparabilità fisica dei propri telefoni del 67% rispetto allo scorso anno, ma ottiene un risultato complessivo basso a causa del prezzo dei pezzi di ricambio.
Oltre a smontaggio e prezzi, si valuta l’accessibilità a ricambi e manuali di istruzione: strumenti indispensabili per creare solidi mercati di riparazione attorno ai prodotti. E non è tutto. La pagella prende anche in considerazione l’attività di lobbying aziendale contro il diritto alla riparazione.
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Le leggi per il diritto alla riparazione
È questo un punto cruciale della questione relativa al right to repair. Le legislazioni di tutto il mondo si stanno attrezzando per il suo riconoscimento, ma lo fanno con troppa lentezza e prudenza – lamentano gli attivisti e le associazioni dei consumatori – anche per l’azione contraria dell’industria.
Nel 2021 l’Australia ha approvato le sue prime leggi sul diritto alla riparazione, solo per il settore auto. Negli USA si va dal diritto a riparare attrezzature agricole del Colorado, fino a leggi onnicomprensive incentrate sui consumatori. Il Canada sta cercando di riformare il suo diritto d’autore per introdurre un diritto dei consumatori a riparare dispositivi elettronici, elettrodomestici e attrezzature agricole. Anche l’Unione europea ha approvato delle misure sul tema che puntano, secondo le stime della Commissione, a risparmiare 18,5 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra, 1,8 milioni di tonnellate di risorse e 3 milioni di tonnellate di rifiuti, in 15 anni. A questi numeri si aggiunge il risparmio per i consumatori, che dovrebbe aggirarsi intorno ai 176 miliardi di euro nei prossimi 15 anni.
I benefici sono evidenti per tutti. Restano escluse, forse, le aziende produttrici, che vedrebbero meno profitti se i consumatori riparassero invece di acquistare sempre nuovi prodotti, e se dovessero perdere il controllo sul mercato delle riparazioni.
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